Skip to content


Vaccini

Riprendo qui un sintetico e rigoroso articolo del fisico dell’Università di Catania Alessandro Pluchino, pubblicato qualche giorno fa su Corpi & politica. Una forma mentis scientifica permette, se adeguatamente esercitata, di cogliere l’evidenza che ideologie oscurantiste e interessi di varia natura tendono a nascondere.

===============
Vaccini: realtà e superstizione

di Alessandro Pluchino
(29.3.2021)

[Pubblichiamo un nuovo intervento di Alessandro Pluchino, fisico e professore di Fisica teorica, modelli e metodi matematici nell’Università di Catania. Si tratta di un contributo molto significativo anche perché va ben oltre la diatriba tra fautori e avversari della vaccinazione di massa, cogliendo invece alcune assai serie criticità. La lucidità ed evidenza delle riflessioni di Pluchino sono sconcertanti e confidiamo che aiutino i nostri lettori a comprendere sempre meglio che cosa è in gioco, quale regresso antiscientifico sia in atto nella gestione politica dell’epidemia e negli atteggiamenti superstiziosi che i media attivamente diffondono].

Sulla questione dei vaccini, un’opinione assolutamente non precostituita ma, per quanto possibile, oggettiva, emerge in maniera naturale dalle seguenti evidenze:

1) Tutti gli attuali vaccini sono stati approvati dalle agenzie del farmaco grazie – diciamo così – a una sorta di rito abbreviato, legato alla situazione di emergenza, dunque sono ancora per lo più sperimentali, e la vera sperimentazione la stanno facendo con chi si sta vaccinando e si vaccinerà in questi mesi; lo dimostra, se ce ne fosse bisogno, il caso Astrazeneca, che modifica di settimana in settimana il suo bugiardino a seconda delle reazioni avverse che si registrano in giro per il mondo dopo la sua somministrazione (che, si noti, inizialmente era vietata per gli over 55, adesso sta invece diventando vietata per gli under 55…!).
Il governo, il CTS e i media dovrebbero essere estremamente chiari su questo punto e dire: signori, siamo in una condizione di emergenza, e a fronte di questo vi proponiamo dei vaccini che sono ancora sperimentali; se ritenete, in base alla vostra età e al vostro stato di salute, che il gioco valga la candela, vaccinatevi pure, ma la vostra deve essere una scelta consapevole del fatto che non conosciamo i rischi a medio e lungo termine della vaccinazione. Purtroppo invece si procede esattamente nella direzione opposta, insistendo sul fatto che i vaccini sono comunque “sicuri” (che vuol dire “sicuri”? al 100%? al 99%? al 90%? all’80%?) e addirittura minacciando, direttamente o indirettamente, ritorsioni su chi non è intenzionato a vaccinarsi, dal licenziamento per le categorie degli operatori sanitari fino all’ormai famigerato “passaporto vaccinale”.

2) Incomprensibilmente (o forse non tanto…), si sta puntando tutto sui vaccini senza minimamente considerare l’efficacia, ormai fuor di dubbio, delle terapie domiciliari diciamo “alternative”, diverse cioè dalla prescrizione ufficiale che – con pochissime eccezioni lasciate all’autonomia regionale – prevede ancora, in caso di Covid-19, solo “tachipirina e vigile attesa”… sì, attesa che ti portino nei reparti di Terapia Intensiva (per poi dire che sono intasati); sono infatti ormai centinaia i medici che testimoniano di aver impedito il manifestarsi di sintomatologie più gravi a pazienti Covid di tutte le età semplicemente attuando, in maniera tempestiva (cioè al sorgere dei primi sintomi), terapie a base essenzialmente di cortisone, eparina e antibiotici (e con farmaci mediaticamente “tabù”, quali l’idrossiclorochina o l’ivermectina), evitando così nella stragrande maggioranza dei casi il ricovero.

3) Ma anche (ed è difficile farlo) chiudendo un occhio sui primi due punti, qualunque campagna di vaccinazione che sia sensata non dovrebbe prescindere dalla seguente distribuzione dei decessi per fasce d’età:

Guardandola, non ci vuole infatti un esperto per capire che vaccinando per primi tutti gli over 70 (come ad esempio stanno facendo in Paesi come l’Inghilterra o la Francia), si abbatterebbe di circa il 90% il numero dei decessi, che sono gli unici che contano. E invece in Italia che facciamo? Continuiamo a vaccinare categorie presunte “a rischio” (tra cui anche i docenti universitari…), a prescindere dall’età, arrivando al paradosso di avere – ad oggi – più vaccinati nella fascia 20-29 (cioè giovani per cui il Covid ha una pericolosità confrontabile con quella della comune influenza stagionale) rispetto alla fascia 70-79.

E nel frattempo si continua a terrorizzare la gente per cercare di convincere a vaccinarsi persone relativamente giovani e in ottima salute per cui il rischio derivante da vaccini sperimentali potrebbe essere maggiore rispetto a quello derivante dal Covid. Il tutto con l’obiettivo utopico di puntare a vaccinare, nel minor tempo possibile, tutta la popolazione italiana (peraltro mentre il virus muta con una rapidità impressionante lasciando aperti molti dubbi sull’efficacia degli attuali vaccini contro le nuove varianti), laddove è chiaro che, una volta “protetta” la categoria a maggior rischio (gli over 70), tutti gli altri – come ho scritto già in passato su Corpi & Politica – potrebbero essere lasciati circolare liberamente, se lo vogliono, con semplici precauzioni, così da raggiungere in maniera naturale la famigerata immunità di gregge. Ma c’è il sospetto che, una volta acquistati (preventivamente e spesso con contratti capestro) decine di milioni di vaccini, in qualche modo dovremo smaltirli…
E potrei ovviamente continuare, ma per il momento mi fermo qui.

Medicina

Dopo il primo incontro -dedicato a Viaggio al termine della notte Morte a credito– continueremo il nostro percorso dentro l’opera di Louis-Ferdinand Céline occupandoci della tesi di laurea in storia della medicina, che discusse nel 1924.
Il ciclo è organizzato dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict.
L’appuntamento è per il 12 marzo 2021 alle 15,30 nella sede del Centro Studi di via Plebiscito 9, a Catania. L’evento è purtroppo (ma inevitabilmente) a numero chiuso. Le richieste di partecipazione vanno inviate all’indirizzo dell’Associazione: assocstudfilunict@gmail.com.

«Niente è gratuito in questo basso mondo. Tutto si espia, il bene, come il male, si paga prima o poi. Il bene è molto più caro, per forza. […]
Semmelweis attingeva la sua esistenza a fonti troppo generose per essere ben compreso dagli altri uomini. Egli era di quelli, troppo rari, che possono amare la vita in ciò che essa ha di più semplice e di più bello: vivere. L’amò oltre il ragionevole. Nella Storia  la vita non è che un’ebrezza, la Verità è la Morte»

(Il Dottor Semmelweis, Adelphi 2002, pp. 12 e 28).

Il vuoto

Maurizio Consoli – Alessandro Pluchino
Il vuoto: un enigma tra fisica e metafisica
Aracne Editrice, 2015
Pagine 174

Tra i concetti più antichi, enigmatici, pervasivi del pensare, sempre attuali pur nel mutare delle concezioni fisiche e filosofiche, il vuoto si delinea sempre più come un altro nome dell’essere. Vuoto è infatti la condizione del movimento, del divenire, del tempo. Non soltanto nel banale e semplice senso che qualcosa per muoversi e diventare deve farlo in un elemento libero, spazialmente occupato e temporalmente non ancora compiuto ma anche e soprattutto in un significato assai più radicale, che questo importante libro indaga in una molteplicità di direzioni: dal rigore delle equazioni che intessono un intero capitolo (il settimo) ai riferimenti esatti e costanti alla storia della filosofia e alle tradizioni metafisiche orientali.
Il fecondo paradosso che attraversa tutto il testo è che il vuoto non è ‘vuoto’ ma consiste, usando il linguaggio della fisica contemporanea, nello «stato di minima energia» (p. 166); è il ground state, lo stato fondamentale che riempie uniformemente lo spazio e con il quale alla fine coincide. Il vuoto può dunque essere anche la forma oscura di materia ed energia che non è percepibile o misurabile (almeno con i nostri strumenti) ma che interagisce gravitazionalmente, determinando la struttura stessa della materia, la sua origine, il suo evolversi.
I nomi e le forme che questa potenza del vuoto ha assunto nelle differenti culture, tradizioni e paradigmi sono diversi, radicali e fondanti: l’ἄπειρον di Anassimandro, l’indifferenziato che consente l’esistenza e il dinamismo di tutti gli elementi nel tempo; la materia del Taoismo, dell’Induismo e del Buddhismo, non il mero nulla – anche qui – ma l’unità degli opposti; la χώρα platonica, «un elemento primordiale oscuro, informe ed invisibile» (p. 68); il Sein di Heidegger come trasparenza che fa vedere, attrito che fa muovere, intero che rende possibile la parte.
Un altro nome del vuoto è, infine, l’etere della millenaria tradizione fisica e metafisica, vale a dire la sostanza che pervade tutto l’universo e dentro la quale si muovono i corpi, compresa la luce. È sull’etere che questo libro formula ipotesi e propone interpretazioni di grande significato sia per la storia della scienza sia per l’epistemologia. Dall’indagine condotta in queste pagine emerge infatti come non sia vero che la relatività abbia definitivamente cancellato l’etere. Non soltanto perché, come si disse sin da subito, nella teoria einsteiniana dell’invarianza (o della relatività) l’etere continua a rimanere centrale prendendo il nome di spazio, ma per numerose altre ragioni sia sperimentali sia matematiche.
Lo stesso Einstein fu sulla questione molto più aperto di quanto di solito si pensi. Nel Manoscritto Morgan del 1920 e in una lezione tenuta a Leida  lo stesso anno, affermò infatti che «nel 1905 ero convinto che non fosse più permesso di parlare di etere in fisica. Tuttavia questa opinione era troppo radicale. Secondo la relatività generale, lo spazio è dotato di proprietà fisiche. In questo senso, un etere esiste…Si può perciò dire che l’etere è risuscitato nella teoria della relatività generale, anche se in una forma più sublimata. A differenza della materia ordinaria, esso non è pensabile come composto di particelle che possano essere seguite individualmente nel tempo» (qui citato alle pp. 100-101).
Consoli e Pluchino mostrano in modo documentato che se questa posizione non venne dallo scienziato tedesco ulteriormente sviluppata fu per ragioni che non hanno a che fare con la fisica ma con la sociologia della conoscenza e con la situazione storica della prima metà del Novecento. Di fatto oggi si assiste a un ritorno dell’etere «sotto altre specie, tramite la nozione di un condensato che pervade uniformemente lo spazio e fa da sfondo ai processi fisici osservabili. Peraltro […] il campo di Higgs non  è l’unica forma di etere che viene introdotta» (17).
Il vuoto non è il nulla, l’etere non è il nulla. Vuoto ed etere sono il vacuum condensation, la condensazione del vuoto, tanto che  diversamente «dallo spazio-tempo banalmente vuoto che Einstein aveva in mente nel 1905, il vuoto della fisica di oggi andrebbe piuttosto pensato come permeato da diversi condensati di quanti elementari» (140).
A partire da questa complessa e ricca fondazione epistemologica, Consoli e Pluchino conducono una duplice operazione: interpretano in modo diverso – rispetto alla vulgata – il significato e i limiti degli esperimenti di ottica effettuati da Michelson-Morley nel 1887; analizzano e riproducono tali esperimenti su base matematica. Mostrano in questo modo che i residui di quegli esperimenti – il cui obiettivo consisteva nell’osservare il moto della Terra nell’etere e stimarne la velocità – conducono a un valore di 370 km al secondo, che è esattamente quello confermato dallo studio della Cosmic Microwave Background (CMB, radiazione cosmica di fondo). La loro indagine suggerisce quindi di rivalutare alcuni elementi di quegli esperimenti che risultano compatibili con l’esistenza dell’etere, non riducendoli per intero a errori strumentali ma anzi mostrando che «possono anche essere consistenti con il modello stocastico di ether-drift che abbiamo discusso» (124). Si tratta di un risultato assai fecondo, dato che «riuscire a rivelare in laboratorio un ‘ether-wind’ (vento d’etere) finirebbe con il modificare sostanzialmente il nostro modo di concepire la realtà» (10).
I primi esperimenti di Michelson-Morley, e i numerosi che seguirono nei decenni successivi, se da un lato non diedero i risultati che ci si attendeva per poter confermare l’ipotesi dell’esistenza dell’etere, dall’altro diedero però dei risultati con essa compatibili. Riformulati con metodi matematici, questi risultati «differentemente dall’interpretazione tradizionale, che tende a considerarli come puri effetti strumentali, potrebbero invece acquistare un significato fisico ed indicare un debole flusso di energia, associato al moto cosmico della Terra, che induce correnti convettive in sistemi debolmente legati come i gas ed una conseguente leggera anisotropia della velocità della luce» (140-141). Ricordo che con anisotropia si indica quella proprietà per la quale il valore di una grandezza fisica dipende dalla direzione che il fenomeno studiato assume. Questo implica che un punto di riferimento conta nell’accadere e nei risultati del fenomeno studiato e che quindi siano possibili riferimenti assoluti.
Un altro elemento favorevole a questa ipotesi è una delle più interessanti interpretazioni della meccanica quantistica, vale a dire la teoria dell’onda-pilota di de Broglie-Bohm: «Nella sua formulazione più semplice, vengono introdotte due entità distinte: un corpuscolo materiale localizzabile ed un’onda che lo guida, la funzione d’onda Ψ che compare nell’equazione di Schrödinger. L’onda ha un diretto significato fisico ed andrebbe interpretata come una reale eccitazione di un etere sottostante, cioè del vuoto. Essa viene provocata dal corpuscolo ma, nello stesso tempo, lo ‘pilota’ nel senso che ne determina il momento spaziale P tramite la relazione P = −h∇S, dove S è la fase di Ψ = |Ψ|eiS» (164). In questo modo non soltanto si supera il dualismo onda/particella ma l’etere acquista lo stato di ipotesi ancora ben presente e ben plausibile all’interno della fisica contemporanea, un’ipotesi radicata nell’intera scienza e metafisica, non soltanto europee, e coerente con la meccanica quantistica.
L’etere può costituire l’ἄπειρον come campo/energia nel quale la materiatempo fluisce, si condensa, sta e accade. In termini generali, l’etere può rappresentare lo spaziotempo assoluto la cui esistenza non è affatto esclusa ma anzi è implicata da alcune delle teorie cosmologiche più recenti.
Il fatto che la meccanica quantistica conduca «a una visione della realtà come un tutt’uno profondamente interconnesso» (52) conferma il significato e la fecondità del pensiero greco arcaico, da cui matematica e fisica sono sorte e del quale – come si vede anche in questo libro appassionante – rimangono eredi.

Gli autori del libro – che si può scaricare in pdf – ne hanno scritto un altro, molto più tecnico, pubblicato nel 2018 in lingua inglese con la World Scientific.
Le loro ipotesi sulle relazioni tra l’etere e la radiazione cosmica di fondo erano state anche sintetizzate in forma semplificata e per un più vasto pubblico in un articolo in lingua italiana, inizialmente preso in considerazione da una rivista di divulgazione scientifica ma che poi per varie traversie non è stato pubblicato. Ne pubblico qui il pdf (con le mie evidenziazioni).
Si tratta di pagine che possono aprire un dibattito fecondo, anche nel caso si volesse respingere i loro contenuti. Significativa è la conclusione del testo, che indirizza alla questione della complessità. Se un articolo così fecondo non è stato ancora pubblicato è perché, oltre i meccanismi di censura e rifiuto analizzati magistralmente da Kuhn e Feyerabend, in questi casi agisce anche la consueta antropologia del branco, tesa a respingere i membri della comunità che mostrino troppo coraggio. Un coraggio che rischierebbe di mettere in pericolo l’identità e la forza della comunità stabilita. Insomma, che siano fisici, matematici, filosofi o altro, gli umani rimangono una comunità di primati. È bene che lo sappiano per non incorrere nella ὕβρις antropocentrica. Tanto più apprezzo chi, come Pluchino e Consoli, ha il coraggio e la curiosità di muoversi su territori non dogmatici e realmente scientifici.

[La fotografia raffigura il nostro pianetino, con la Luna che gli gira intorno, come si vede da Saturno;  a una distanza di circa un miliardo e mezzo di km, che corrispondono a 90 minuti luce]

Polvere cosmica

Star Stuff
di Milad Tangshir
Italia, 2019
Con: Gaspar Galaz, Emilio Molinari, Sivuyile Manxoyi, Willem Prins, Joan Rodriguez, Rodriguez Miguel, Martin Gonzelz, Fransiena Onke, David Barrera, Magdalena Blauun, Fernando Salgado, Betty Anza
Trailer del film

Collocata in un punto preciso e insieme cangiante – in ogni caso del tutto irrilevante – del cosmo, l’umanità ha sin dall’inizio cercato di capire che cosa fosse la fonte della luce che consente di vivere e quali enigmi racchiudesse il buio della notte, profondo sì ma abitato da luci molteplici e diverse, alcune fisse (le stelle) e altre erranti (i pianeti), variabili anche nell’intensità del loro manifestarsi.
La vicenda umana è quindi inseparabile dall’astronomia. Tre dei più importanti osservatori astronomici contemporanei – Atacama nel deserto del Cile, l’isola di La Palma nell’Oceano Atlantico, il Grand Karoo in Sudafrica – vengono in questo film presentati insieme agli umani che abitano quei luoghi. Non soltanto i rapporti tra astronomi, scienziati e abitatori ma anche e soprattutto le diverse credenze sulla natura del cielo, sull’ontologia cosmica. E poi le tradizioni, i sogni, le scoperte, le meditazioni, le riflessioni, i pensieri, le rabbie, le perdizioni e le riconquiste che a quelle terre derivano dalla potenza delle luci astrali.
Gli osservatori astronomici, questi tra i massimi risultati dell’ingegno e dell’ingegneria umani, diventano così luoghi palpitanti, nei quali l’evidente insignificanza – e ‘insignificanza’ è già troppo – della vita su questo pianeta si riscatta nel suo essere polvere di quelle stelle dalle quali gli enti raffreddandosi derivano; polvere delle galassie con il loro vertiginoso numero di mondi; polvere del magma solare del quale la Terra è stato un trascurabile sasso, diventato crosta, oceani, atmosfera.
La storia dell’astronomia è coinvolgente anche dal punto di vista teoretico per la pluralità delle tesi, delle ipotesi e dei metodi con i quali da almeno 3000 anni i cieli vengono studiati. E lo è anche per il fatto che l’astronomia non è soltanto una scienza sperimentale nel senso galileiano, poiché i suoi fenomeni sono osservabili ma non manipolabili. Come afferma nel film un astronomo cileno: «non posso immettere o togliere qualcosa nelle stelle e vedere l’effetto che fa; devo cercare di conoscere la loro storia e la loro natura da qui, da lontano, dalla interpretazione dei dati». E tuttavia a partire dai suoi fondamenti matematici e fisici (Pitagora, Platone, Democrito, Aristotele, Tolomeo) l’astronomia è sempre stata una scienza fondamentale. Questo significa, tra l’altro, che scienza e scienza sperimentale non sono sinonimi, che la seconda è un ambito più ristretto della prima.
La potenza del cielo – luminoso, oscuro, popolato di luci, in espansione, statico, vuoto, pieno – è tale da aver generato gli interrogativi più vari, le risposte più raffinate e più implausibili, le più formalizzate e insieme le più bizzarre. Tra le ultime, ad esempio, l’universo delle stringhe o i multiversi, ambiti nei quali la cosmologia mostra la propria assai stretta vicinanza con la fantascienza e ben oltre ogni fantasiosa metafisica.
Neppure i metodi delle scienze contemporanee possono rispondere alla domanda se l’universo abbia un tempo finito o se sia eterno, da sempre e per sempre (io credo che lo sia), ma certamente ci dicono che l’universo, inteso più concretamente come spaziotempo, è sostanzialmente vuoto, è continuo -non esistendo in esso  nulla di isolato dall’intero- è omogeneo ed è isotropo, il che significa (ed è un’acquisizione fondamentale) che nessun punto dell’universo può avere un qualche privilegio materico, osservativo e ontologico, tantomeno teologico. Come afferma in questo film l’astrofisico Emilio Molinari, «noi siamo tra i ‘qualunque’ dell’universo, come tanti altri qualunque».
Una conclusione che costituisce un definitivo affrancamento dall’ingenuità antropocentrica, della quale la filosofia e la cultura dell’antica Grecia erano già criticamente consapevoli e che l’astrofisica contemporanea ha definitivamente dissolto nell’immensità dello spazio e del tempo.
Anche questo porsi oltre ogni ingenuità epistemologica e antropocentrica fa dell’astronomia una scienza filosofica per eccellenza.

[L’immagine è di Francesco Battistella; raffigura la Nebulosa del Cigno, NGC 7000]

Linguaggio, potere, epidemia

Zona rossa, lockdown, distanziamento, responsabilità, assembramenti…sono ormai i mantra patetici, dannosi e grotteschi di un’autorità smarrita, ripetitiva, retorica, riduzionistica, interessata soprattutto a perpetuare se stessa, disinteressata alla reale salute psicosomatica e sociale del corpo collettivo, come si può evincere anche da una testimonianza sulle modalità con le quali in un paese della Sicilia (o più di uno?) vengono ‘ottenuti’ i dati relativi ai positivi alla Sars2, modalità che oltre a essere del tutto arbitrarie (e quindi non scientifiche) mi sembra che possano configurare anche dei reati.
È stata costruita una orwelliana neolingua che è anche un coacervo di luoghi comuni ripetuti con la passività di ogni conformismo, con l’illusione di utilizzare la lingua del bene, con il cinismo della menzogna etica.
Su corpi e politica Peppe Nanni ha elaborato un efficace Dizionario della lingua tetroterapeutica.

=============
Vedo troppa gente in giro
I camion di Bergamo
Lo faccio per gli altri
Distanti ma uniti
Pensate alle cene mentre ci sono i morti
Una dieta appropriata al loccdaun
C’è meno smog
Spero bene da te
Non uscivo neanche prima
Meno male che c’è Netflix
Faccio ginnastica in bagno
Ora legale per la Nascita di Natale
Non è il momento di fare polemiche
E allora tu cosa proponi?
Hai ragione, ci devono dare ordini più chiari
La Scienza non è un’opinione
Troppi scienziati fanno confusione
Io non ho le competenze, mi affido alla Merkel
La prozia è una congiunta?
Non hai visto la Svezia?
Allora sei un trumpista!
Uccidi la nonna per un aperitivo
È un problema di scarsa educazione. Chiudiamo le scuole
Non solo i vecchi, ho letto che in Kazakistan ha la febbre anche un bambino
Tante lagne per qualche sacrificio, pensa se ci fosse la guerra
Siamo in guerra
Dovete lavarvi le mani
Cerchiamo di fare la nostra parte. Non dovete lavarvene le mani
Appena vi abbiamo detto di comprare  col cash back nei negozi e non on line, ci avete preso sul serio
=============

Mentre i barbari che non sanno governare la storia e le sue epidemie sembrano costringerci a ripetere ossessivamente questi belati d’ignoranza, alcuni di noi trovano i linguaggi che ci fanno comprendere come la malattia all’umano non venga da fuori ma sia ben infitta nella sua natura.
Giorgio Agamben, ad esempio, qualche giorno fa ha scritto che «quello che abbiamo oggi sotto gli occhi è l’estrema deriva di questa rimozione della morte: per salvare la loro vita da una supposta, confusa minaccia, gli uomini rinunciano a tutto ciò che la rende degna di essere vissuta. E alla fine Gaia, la terra senza più profondità, che ha perso ogni memoria della dimora sotterranea dei morti, è ora integralmente in balia della paura e della morte. Da questa paura potranno guarire solo coloro che ritroveranno la memoria della loro duplice dimora, che ricorderanno che umana è solo quella vita in cui Gaia e Ctonia restano inseparabili e unite» (Gaia e Ctonia, 28.12.2020).

Significativo anche l’intervento di Davide Miccione a proposito di Negazionismi, con la mia risposta alla quale si sono aggiunte altre riflessioni, come quella di Marta Mancini:
============
[Miccione]
Sono d’accordo riga per riga, parola per parola con quello che scrivi nell’articolo sul covid. Te lo scrivo, nonostante di solito sia molto restio a postare e commentare sul web, perché ho l’impressione che la pandemia stia da un lato aumentando le distanze tra le varie posizioni sul mondo (invertendo il processo “mediocratico” di cui parla Deneault) e dall’altro stia riconfigurando nuove lontananze e vicinanze, e temo anche nuove solitudini, un po’ come il fascismo del ventidue-venticinque. Questioni come il valore della corporeità nell’esistenza umana, la stima nei confronti dell’impresa scientifica che non può essere “fede” nella scienza, una lettura del potere meno infantile di quella che vedo in giro, non possono più essere solo letture teoriche buone per un seminario ma si stanno facendo carne e sangue e diversa appartenenza alla polis sotto i nostri occhi. Non vorrei che dopo il realismo capitalista di Mark Fisher, per cui ormai si è fatto impensabile ciò che non è capitalismo, dovessimo obtorto collo cadere anche in un “realismo sanitario”.

[agb]
Ti sono davvero grato di questo intervento, anche perché so quanto tu sia restio a commentare sul web.
In un contesto di irrazionalità e di terrore come quello nel quale ci troviamo, la tua condivisione mi è di particolare soddisfazione.
È del tutto vero ciò che designi con la consueta tua esattezza: il fatto che la Sars2 «stia riconfigurando nuove lontananze e vicinanze, un po’ come il fascismo del ventidue-venticinque».
Infatti ciò che per delle persone con un bagaglio culturale anche modesto dovrebbe essere evidente:
-la funzione politica che il virus sta svolgendo
-l’accelerazione imposta ai processi di dematerializzazione
-gli enormi interessi economici in gioco da parte delle piattaforme
-il ritorno a un ‘positivismo’ così rozzo da non meritare neppure la denominazione comtiana
-l’infantilizzazione del corpo sociale
-il dilagare dell’ignoranza come frutto della chiusura delle aule scolastiche e universitarie;
questo (e altro) che per degli intellettuali dovrebbe essere oggetto di discussione su come resistere a un simile epocale regresso, diventa invece ragione di aggressione verso quei pochi (un solo esempio: Agamben) che formulano analisi non conformiste, tanto da incrinare o, come tu dici, «riconfigurare» antiche relazioni intellettuali e amicali, così come avvenne agli inizi del fascismo e del giudizio che se ne diede. Perché di fascismo sanitario si tratta, come aveva già intuito e previsto Ivan Illich.
Ma l’elemento più impressionante -ed è per questo che ho citato il ‘tradimento degli intellettuali’ di Benda- è il comportamento della più parte di coloro che dovrebbero sempre pensare in modo critico e che invece stanno convergendo con le banalità, gli insulti, le aggressioni, i luoghi comuni, i terrori, il primitivismo concettuale della bestia immonda che è la massa Social.
Qualunque cosa accada, questo precipitare compiaciuto nel conformismo della massa non è perdonabile.

[Mancini]
Il tuo articolo, con il quale mi trovo in piena sintonia, conferma ciò che osservo accadere nella vita di tutti i giorni, non senza preoccupazione: la progressiva erosione della capacità critica anche in coloro che, per cultura, storia personale, frequentazioni, ecc., normalmente ne sono dotati. Di fronte al Covid si assiste ad una sorta di azzeramento del pensiero dei “possibili” a vantaggio di presunte certezze scientifiche che gli scienziati più seri non si sognerebbero di spacciare per tali. Non penso si tratti di cedimenti emotivi, piuttosto che il fenomeno sia molto grave e che rappresenti uno spartiacque tra un prima e un dopo Covid che dobbiamo ancora comprendere a pieno in tutte le sue implicazioni e conseguenze. Un primo effetto che si rileva, riflettendo sulle tue considerazioni, consiste nella sostituzione delle finalità esistenziali e nei valori ad esse collegate: ad esempio, la sicurezza in luogo della felicità, oppure la sfiducia mascherata da rispetto per l’altrui salute che incrina silenziosamente le relazioni interpersonali e interrompe l’habitus umano della socialità, unico antidoto alla nostra strutturale insecuritas. Oggi ci stanno dicendo l’opposto, se vuoi sicurezza devi separarti dal tuo simile. E il modo in cui ti è concesso farlo è disturbato, frenato, mutilato dai mirabolanti strumenti tecnologici. La Thatcher affermava che non esiste la società, esistono solo gli individui. Non avrei immaginato che si potesse arrivare tanto rapidamente a superare perfino quelli ma, a pensarci bene, l’intelligenza artificiale non serve anche a questo? Mi consola poter condividere con te e con altri un pensiero fuori dal coro.
============

Il lavoro filosofico che emerge da queste analisi ci aiuta a conservare e a comunicare la consapevolezza della duplice dimora in cui abitiamo, dell’inseparabilità del vivere e del morire. Non come decesso, quest’ultimo, ma come sostanza stessa del tempo che siamo. Una civiltà che nel morire vede soltanto un fallimento è una civiltà morta, è la civiltà barbarica della Sars2, del Covid19.
Ogni filosofia radicata nell’immanenza e nella finitudine – dai Greci a Nietzsche, da Spinoza a Heidegger – raffigura invece una civiltà della vita piena e completa, anche perché non teme Ἀνάγκη, l’inevitabile, il tempo, la fine.

[L’immagine, scattata a Siracusa, è di Stefano Piazzese. Il testo è stato pubblicato in parte anche su Corpi e politica e girodivite.it]

Fisica

Lee Smolin
La rinascita del tempo
Dalla crisi della fisica al futuro dell’universo
(Time  Reborn. From the Crisis in Physics to the Future of the Universe, 2013)
Trad. di S. Frediani
Einaudi, 2014
Pagine XXX-297

La credenza di molti fisici contemporanei che il tempo sia irreale costituisce una forma di platonismo matematico che ha però abbandonato il profondo legame che Platone sente con la realtà come intero e come problema, mettendo al posto di questa serietà ontologica il semplice fascino dell’eleganza e del formalismo matematici, i quali tuttavia non garantiscono in alcun modo la verità dei loro asserti ma soltanto il bisogno di eternizzarsi. Vale quindi assai di più per le scienze attuali che per Platone la giusta osservazione di Smolin per cui «vi è una certa grossolanità alla base di ogni tesi secondo la quale il nostro universo in definitiva è spiegato da un altro mondo più perfetto, che è separato da tutto ciò che percepiamo. Se cediamo a questa tesi, rendiamo permeabile il confine tra scienza e misticismo» (p. 12).
Molte delle teorie fisiche e cosmologiche contemporanee se non sono errate rimangono tuttavia delle approssimazioni, riferibili ad alcune piccole parti dell’universo, rappresentabili tramite oggetti matematici atemporali.
Lo sfrenato platonismo di queste teorie risiede nell’«assurdità dell’opinione che la matematica preceda la natura. In realtà la matematica viene dopo la natura. Non ha potere generativo. In altre parole, nella matematica le conclusioni sono imposte da implicazioni logiche, mentre in natura gli eventi sono generati da processi causali che agiscono nel tempo. Non è la stessa cosa; le implicazioni logiche possono modellare aspetti di processi causali, ma non sono identiche a processi causali. La logica non è lo specchio della causalità. La logica e la matematica colgono aspetti della natura mai tutta la natura» (252). La matematica è uno strumento splendido e assai potente al servizio della scienza, non è la scienza al servizio delle matematiche. L’idea galileiana che il mondo sia scritto in caratteri matematici ha contribuito alla comprensione di molti aspetti della realtà ma non descrive la realtà in quanto tale.

La teoria della relatività e la meccanica quantistica sono tra di loro opposte ma condividono il primato newtoniano della matematica. I fisici che praticano tale paradigma si comportano come gli zoologi da laboratorio, i quali studiano gli animali rinchiusi in condizioni totalmente artificiose, riducendone il comportamento a schemi prefissati e astratti. È accaduto che dal problema dei tre corpi alle simulazioni su supercomputer, «stelle formate da un numero enorme di atomi sono trattate come se fossero punti e l’influenza di qualsiasi altra cosa esterna al sistema di solito viene ignorata» (46). Come l’etologia libera gli animali studiandoli nella concretezza dei loro ambienti, così il paradigma della realtà del tempo libera la complessità del divenire dalla sua riduzione alle equazioni.
Il fatto, ad esempio, «che il movimento avviene nel tempo mentre la sua rappresentazione matematica è atemporale significa che non sono la stessa cosa» (36).
Il movimento, il divenire, le possibilità, i fenomeni, la materia, l’universo, costituiscono l’essere immenso e complesso che si dispiega in ogni anfratto del tempo e dello spazio. Il passaggio dal semplice al complesso non si trova nelle equazioni, non è previsto dal funzionamento di strutture atemporali. ‘Fare fisica in una scatola’ significa scambiare la parte per il tutto, il laboratorio per la natura, l’astrazione di un fatto isolato con la concretezza delle relazioni dentro le quali soltanto ogni ente, ogni evento e ogni processo possono accadere -ontologia- e possono essere spiegati -epistemologia.

Come la più parte dei fisici, anche Smolin è partito dalla tesi della irrealtà del tempo ma si è dovuto ricredere e con coraggio si è ricreduto, fino a sostenere una epistemologia per la quale «la descrizione più vera di qualcosa si ottiene specificandone le relazioni con le altre parti del sistema di cui fa parte» (XII);  un’ontologia temporale per la quale il tempo è «la chiave del significato della teoria quantistica e della sua futura unificazione con lo spazio, il tempo, la gravità e la cosmologia» (VIII); una metodologia falsificazionista che ritiene scientifico soltanto ciò che produce previsioni che possono essere falsificate; una coraggiosa concezione temporale anche delle leggi scientifiche, sottratte alle strutture platoniche di là dal tempo e dallo spazio concreti, esperibili, fenomenici.
Una prospettiva radicale, quindi, perché -davvero- «nulla trascende il tempo, nemmeno le leggi della natura. Le leggi non sono atemporali. Come qualunque altra cosa, sono caratteristiche del presente e si possono evolvere nel corso del tempo» (X), come già sostenne Peirce, secondo il quale per riuscire a spiegare la natura e il suo divenire anche le leggi naturali devono essersi evolute. Se l’universo infatti è tutto ciò che esiste, non è possibile che la sua spiegazione consista in qualcosa posto al di fuori dell’universo stesso. Le scienze e le loro leggi fanno parte di questo mondo e come questo mondo sono sottoposte a evoluzione, trasformazioni, mutamenti: «Può sembrare che far evolvere le leggi ne riduca il potere, ma in realtà fa crescere il potere complessivo della scienza. […] Se ammettiamo ai livelli più profondi della nostra concezione della natura l’evoluzione e il tempo, abbiamo più possibilità di comprendere questo misterioso universo in cui ci troviamo» (257).
Le leggi sono approssimazioni assai utili, le quali emergono dalle strutture materiche e ne condividono genesi e destino. Il tempo fenomenico è il tempo reale, «il tempo e il suo passaggio sono fondamentali e reali e le speranze e le credenze relative a verità e regni atemporali non sono altro che miti. Accettare il tempo significa essere convinti che la realtà consiste soltanto di ciò che è reale in ciascun momento del tempo» (X) e del suo moto inarrestabile, direzionale, continuo.
L’universo-blocco della teoria einsteiniana dell’invarianza, la visione di Julian Barbour di momenti discreti che rimangono tutti eterni, la consolazione che tutto questo apporta rispetto alla mortalità e alla finitudine, sono tutte forme di eternalismo ben note nella tradizione metafisica e che trovano la loro espressione più grande e più potente nell’ontologia parmenidea, alla quale Smolin contrappone una fisica eraclitea e un’ontologia nella quale riluce il frammento anassimandreo posto a epigrafe del libro: «Tutte le cose hanno origine l’una dall’altra, e periscono l’una nell’altra,  secondo la necessità […] in conformità con l’ordine del tempo».
Il relazionalismo implica la rinuncia al principio della «relatività della simultaneità e accettare che, al contrario, esiste un concetto di tempo globale privilegiato. Un punto importante è che ciò non comporta l’abbandono della relatività, ma soltanto la sua riformulazione» (168-169) mediante il superamento della località implicito nella teoria dei quanti. Infatti se nella relatività ristretta gli eventi sono simultanei solo quando avvengono nello stesso luogo, «in un universo quantistico, in cui ogni particella è potenzialmente a un passo di distanza da ogni altra particella, ogni cosa si troverà essenzialmente ‘nello stesso posto’. In un modello siffatto, non si ha il problema della sincronizzazione degli orologi, quindi esiste un tempo universale» (196).

Alla trasformazione della relatività e al tentativo di renderla compatibile con la fisica quantistica, si accompagna una riformulazione anche della termodinamica, la quale esclude il concetto di morte termica in uno stato definitivo di equilibrio entropico e di eventi sempre uguali e ritornanti, poiché se «i sistemi termodinamici normali finiscono nell’unico stato di equilibrio uniforme; i sistemi gravitazionalmente legati, antitermodinamici, finiscono in uno dei moltissimi stati estremamente eterogenei»; se «l’unico tipo di universo che sembri naturale dalla prospettiva atemporale del paradigma newtoniano è un universo morto in equilibrio, ovviamente diverso da quello in cui viviamo. Dalla prospettiva della realtà del tempo, invece, è del tutto naturale che l’universo e le sue leggi fondamentali siano asimmetrici rispetto al tempo, con una forte freccia del tempo che comprende aumenti di entropia per sistemi isolati insieme a una continua crescita di struttura e complessità» (232). E questo non implica, come mi sembra tenda a pensare Smolin, il rifiuto del determinismo. Se il libero arbitrio è un errore e un’illusione, lo è non perché la necessità preceda il divenire degli enti e degli eventi, la necessità accade mentre diviene.
Il fondamento anassimandreo ed eracliteo di tali proposte ha come snodo fondamentale i principi leibniziani di ragion sufficiente e di identità degli indiscernibili. Infatti, «se il tempo è reale, dovrebbe essere impossibile che esistano due momenti diversi ma identici. Il tempo è completamente reale sono in un universo leibniziano. Un universo leibniziano sarà pieno di complessità che genera un abbondante assortimento di configurazioni e strutture uniche. E sarà in perenne cambiamento, per garantire che ciascun momento possa essere distinto da ogni altro dalle strutture e dalle configurazioni presenti. Proprio come il nostro universo» (223).

Il tempo si conferma così il più importante tema e problema della fisica e di tutte le possibili scienze che non vogliano assumere una dimensione e un linguaggio mistico-matematici. «L’ipotesi della realtà del tempo conduce a una cosmologia più scientifica» (248) perché conduce a una cosmologia la quale non ha più bisogno dei tentativi fisici, religiosi ed etici di consolarci del nulla nel quale ogni ente è destinato a dissolversi come ente in questa forma qui, in questa determinata struttura minerale, vegetale, animale, atomica e cosmica. La tesi della realtà effettiva, totale, pervasiva del tempo è più scientifica perché il mondo «continua a essere, sempre, un fascio di processi che si evolvono nel tempo e soltanto alcune sue piccole parti possono essere rappresentate da oggetti matematici atemporali» (252).
Scienze e filosofia consistono nella conoscenza razionale e fenomenologica della struttura temporale del cosmo e di ogni sua parte.

Scienza e magia

Leggo sul Fatto Quotidiano del 31.7.2020 questa notizia: Coronavirus, governo contro la pubblicazione degli atti del Comitato tecnico scientifico: “Danneggerebbero l’ordine pubblico”.

Come sanno tutti quelli che hanno un minimo di istruzione, la scienza è per definizione una procedura pubblica, ripetibile, controllabile. In caso contrario si parla di magia, di superstizione, di guru, di sette. E di questo si tratta ormai a proposito del Covid19. Ma il governo Conte questo non lo sa. E non lo sanno neppure il Fatto Quotidiano, la Repubblica, la Rai e la miriade di fogli e media obbedienti.
Di tale atteggiamento superstizioso fa parte la maschera/museruola, che all’inizio dell’epidemia veniva raccomandata soltanto agli operatori sanitari e a quanti mostrassero difficoltà respiratorie (parola del Ministero italiano della Salute e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), poi -una volta disponibili milioni di museruole– è diventata magicamente necessaria, obbligatoria, fondamentale per non ammalarsi e non contagiare. Maschera/museruola la cui efficacia è sottoposta a una serie di regole e procedure -nel toccarla, conservarla, indossarla– che somigliano a una complessa cerimonia giapponese e che i suoi utilizzatori naturalmente ignorano tenendola in tasca, sul braccio, ovunque; prendendola con mani non lavate; riutilizzandola. Temo che questa pratica farà danno alla salute degli incauti utilizzatori. Anche perché tenerla a lungo sulla bocca e sul naso fa sì che l’anidride carbonica ritorni nei polmoni invece che dissolversi nell’ambiente. Una ragione per la quale il respiro ha un ben preciso ciclo ci sarà, no? «Il metabolismo energetico aerobico consuma ossigeno e produce biossido di carbonio (comunemente detta anidride carbonica). In fisiologia si intende, per respirazione, anche la funzione biologica di scambio dei gas fra organismo e ambiente esterno, con assorbimento dell’ossigeno ed emissione del biossido di carbonio» (Wikipedia, voce Respirazione).
La maschera/museruola non svolge dunque una funzione sanitaria ma è un simbolo politico di controllo generale e un vero e proprio talismano che dovrebbe garantire dal malanno.
Non solo: l’utilizzo dei guanti, che contrariamente alle mani non vengono lavati, conduce con sé batteri e sporcizia di tutti i generi. Ma il Supremo e Segreto Potere Sanitario si è pronunciato (da un certo momento in poi) a favore delle maschere e dei guanti. E il popolo obbedisce. Non tutto, per fortuna.

Alle osservazioni di un amico il quale ha obiettato che «il popolo è ‘uno animale pazzo’ come diceva Guicciardini, quindi fraintenderebbe il contenuto delle conclusioni scientifiche, di per sé problematiche» ho risposto in questo modo: «Quello che scrivi mi sembra molto pericoloso, poiché è la giustificazione di tutti i poteri autoritari, dai Tribunali della Controriforma alla CIA. E in questo caso tra ‘il popolo’ ci sono anch’io e migliaia di studiosi e intellettuali ai quali una setta autoproclamatasi ‘scientifica’ nasconde le proprie procedure e decisioni. E poi ci sono sempre i media -compreso lo zelante FQ– a tenere buono il popolo. Proprio perché ‘problematiche’ le risultanze DEVONO essere pubbliche. In caso contrario saremmo in balia di folli, di guru, di capi indiscutibili, che oggi si chiamano Conte, domani potrebbero chiamarsi Salvini, Biuso, Rossi. Non importa. Non è una questione di partiti o di nomi, è una questione di istituzioni, di salute, di diritto e di libertà».

Vai alla barra degli strumenti