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Zeus

Piccolo Teatro Studio – Milano
Semidei
Testo e regia di Pier Lorenzo Pisano
Con: Francesco Alberici, Marco Cacciola, Pierluigi Corallo, Michelangelo Dalisi, Claudia Gambino, Pia Lanciotti, Caterina Sanvi, Eduardo Scarpetta
Costumi Gianluca Sbicca
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Sino al 23 febbraio 2025

Cominciano nel buio gli eroi. Cominciano elencando le ragioni del loro pianto. Le lacrime accomunano i guerrieri che combattono sotto le mura di Troia: le lacrime e la paura, che ammettono di sentire. Paura di morire, di lasciare la luce del giorno, di essere scagliati nell’enigma oscuro dell’Ade.
La scena diventa poi una spiaggia nella quale Achille e la madre Teti, Ettore, Andromaca e il piccolo Astianatte, Odisseo, Penelope e il neonato Telemaco, Menelao e Agamennone, tutti prendono il sole in attesa della guerra imminente, delle vele dispiegate verso Ilio o del timore che tali vele appaiano all’orizzonte della Troade. In questa prima parte l’inquietudine è minima e la fiducia è grande.
Sino a che, dopo dieci anni di guerra, gli eroi appaiono coperti e sovrastati da armature incrostate di terra, animali, scudi, bambini, maschere. Armature enormi, come se il tempo avesse accumulato sui guerrieri violenza su violenza. Anche Achille è morto e il figlio Neottolemo è una pura energia di morte. Le donne troiane, Andromaca, Ecuba e Cassandra, elevano il loro canto e il proprio lamento di fronte alla città distrutta, in attesa di essere destinate all’uno o all’altro sovrano acheo.
Nel mezzo, tra le due parti del racconto e anche dentro ciascuna di esse, ci sono gli dèi. Appaiono nell’alto, litigano in modo acceso e soprattutto rumoroso. Sino a quando Zeus li tacita. Il dio è tutto d’oro, si manifesta smerigliante e luminoso, sicuro di sé e potente su ogni cosa. Rimprovera sdegnato gli dèi che intasano di voci e rumori lo spazio della sua natura, ricorda loro che quando il suo fastidio sarà più forte dell’amore che prova per loro, gli basterà aprire la bocca e subito dopo chiuderla per divorarli tutti, per rimanere finalmente in silenzio.
Zeus accenna agli umani, ultima e insignificante manifestazione dell’essere, capaci solo di adorare quei rumorosi suoi figli e morire.
E soprattutto Zeus ammette di non essere il sovrano ultimo del cosmo. Egli è stato capace di gettare nel Tartaro suo padre, il terribile Κρόνος, ma nulla può e mai potrà nei confronti di Ἀνάγκη, la necessità, il fato, il destino, la Μοίρα. Nel frattempo, mentre a lui è dato il dominio secondario sul mondo, il divino si mostra per quello che è: puro potere, assoluto potere. Per permettere a questi umani così convinti e così tristi di sterminarsi tra loro a Troia, Zeus impone ad Agamennone il sacrificio della primogenita Ifigenia. Per quale ragione? Nessuna, «perché un vero dio è assurdo».
Ecco, sta in questa frase, in questo particolare del testo che Pier Lorenzo Pisano ha tratto dall’Iliade e da altre tradizioni sulla guerra di Troia, sta qui l’intuizione che illumina uno spettacolo che sa ironizzare sul mito ma lo fa al modo di Dürrenmatt, cogliendone e mostrandone la forza; che sa riconoscere la potenza della guerra, il terribile amore che gli umani nutrono per essa e che soprattutto sa trasmettere l’enigma del sacro, che è appunto e anche l’assurdo.
I vermi verticali che siamo si alzano di tanto in tanto nella loro ὕβρις e sono convinti di aver compreso il dio, gli dèi. Ma il sacro rimane insoluto e anche per questo nel volgere dei millenni sa suscitare parole antiche che sembrano essere state pronunciate per la prima volta qualche mese fa. Le parole appunto di Semidei.

Israele

[Versione (più ampia) dell’articolo in pdf]

Assistere al genocidio, alla distruzione, alla tortura di un intero popolo – donne, vecchi, bambini – il popolo palestinese, da parte di uno stato razzista e suprematista; approvare tale massacro e tutto questo orrore; dargli forza con le armi, con l’informazione, con la diplomazia. 
Che le classi dirigenti europee siano, nel 2025, complici di tale abominio, fa capire che cosa sia accaduto nel nostro continente negli anni Trenta del Novecento.
Fa capire quanto illegittima sia la pretesa di supremazia morale e politica sul resto del mondo da parte delle moribonde democrazie liberali.
Fa capire quanto carnefici siano Israele e le strutture statuali, finanziarie, mediatiche che nell’occidente anglosassone ne sostengono l’azione di sterminio.
Fa capire quanto fasulli e ipocriti siano i valori mediante i quali si è trasformato il discorso pubblico in un dogma, valori quali: il rispetto, la non violenza, l’inclusione et alia, proclamati ai quattro venti mentre si tace o si è complici della più tenace pratica di esclusione e di apartheid della storia contemporanea; ricordo pagine e pagine di commozione mediatica per un solo bambino morto durante il naufragio di una barca di migranti nel Mediterraneo; sulle decine di migliaia di bambini palestinesi assassinati, feriti, mutilati, per sempre traumatizzati, cala il silenzio da parte dei buoni, a dimostrazione che non sono buoni ma sono soltanto delle marionette che si muovono sulla base di ciò che televisione e altri media presentano.

La brachilogia avrebbe potuto fermarsi qui. E però affermazioni come queste devono essere documentate quanto meglio possibile. Il testo è diventato talmente ampio da non poter essere pubblicato in html, come pagina del sito. Ho dunque preparato un pdf, che potrà essere scaricato e letto da chi lo desidera. Qui ne riporto alcune pagine.
Parte di tale documentazione è stata da me utilizzata in un saggio dal titolo Sul genocidio dei Palestinesi, pubblicato sul n. 69 (luglio-agosto 2024) del bimestrale Dialoghi Mediterranei; altra documentazione, soprattutto quella proveniente dall’ONU, si trova qui: La soluzione finale.

Altri documenti:

1) La migliore analisi che abbia letto sull’evoluzione della politica e dell’identità israeliane è di Aleksandr Dugin: Il Grande Israele e il Messia vittorioso, «Euro-Synergies», 24.12.2024 (in francese).

2) Testi da La causa dei popoli
Un’ampia documentazione sul genocidio, che in Palestina è in corso non dall’autunno del 2023 ma da decenni, si trova nel numero VIII/20-21, 2024 della rivista La causa dei popoli. Inserisco qui il pdf dell’intero numero, dal quale estraggo le seguenti affermazioni:

«Due campi fondamentali all’interno della società ebraica israeliana, oggi impegnati in quella che si può definire una guerra civile fredda. Si tratta di uno scontro tra quello che possiamo definire lo stato di Giudea e lo stato di Israele. Lo stato di Giudea è sorto negli insediamenti ebraici della Cisgiordania. Nato come movimento ideologico marginale, non è diventato una forza politica di rilievo centrale. Non si preoccupa dell’opinione pubblica mondiale, inclusa quella americana, e crede di poter realizzare con l’aiuto di Dio uno stato ebraico elitario e teocratico tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo» (Ilan Pappé, p. 3);
«Il fatto che molti ebrei, in Israele e altrove, rifiutino il sionismo dimostra che questa ideologia colonialista e razzista non coincide con l’ebraismo. Non solo, ma il fatto che alcuni dissidenti siamo stati costretti a espatriare per scampare alle ritorsioni governative conferma che il regime non tollera gli oppositori, soprattutto se occupano posti di rilievo che permettono loro di raggiungere un vasto pubblico. Davanti a questi fenomeni, lonestà intellettuale dovrebbe imporre di ammettere che il titolo di ‘unica democrazia del Medio Oriente’ è l’espressione di una posizione filo-israeliana basata sulla malafede e del tutto slegata dalla realtà» (Alessandro Michelucci, p. 5);
«Molti dei miei parenti sono stati sterminati nell’Olocausto. Niente è più spregevole che usare la loro sofferenza e il loro martirio per tentare di giustificare la tortura, la brutalità e la demolizione delle case che ogni giorno Israele commette contro i palestinesi. Mi rifiuto di lasciarmi intimidire dalle lacrime. Se aveste un cuore lo usereste per piangere i palestinesi» (Norman Finkelstein, dal documentario American Radical: The Trials of Norman Finkelstein [2009], p. 11);
«Il 15 maggio 2023, per la prima volta, le Nazioni Unite hanno commemorato ufficialmente la Nakba palestinese, o  ‘catastrofe’, un trauma nazionale che è iniziato nel 1947 e non è ancora finito. A novembre gli stati membri dell’Assemblea Generale hanno votato una risoluzione dove si riconosce il calvario delle generazioni che vivono sotto l’occupazione da quando le milizie israeliane le hanno cacciate dalle loro città e dai loro villaggi per costruire uno stato sionista. Gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione e hanno boicottato l’iniziativa. La Nakba e il progetto coloniale sionista non vengono raccontati nei libri di storia. Washington ha usato ogni mezzo per occultare la tragedia palestinese al pubblico americano» (Reza Behman, p. 20).
«Israele non tollera ctitiche di nessun tipo. A queste, laddove è possibile, reagisce con una censura che ha ormai raggiunto livelli degni delle dittature più buie. Questa censura non viene praticata soltanto dal governo di Tel Aviv, ma viene applicata diligentemente anche da molti altri paesi. Dall’Italia all’India, dagli Stati Uniti all’Australia, studenti e professori vengono sanzionati, convegni e concerti vengono cancellati, artisti ed esponenti politici vengono epurati per essersi espressi in modo sgradito al governo israeliano. Chiunque lo contesti viene accusato di antisemitismo; dimostrare pubblicamente contro il genocidio di Gaza diventa una manifestazione di solidarietà nei confronti di Hamas; negare il ‘diritto di reagire’ alle stragi del 7 ottobre 2023 significa auspicare la ‘cancellazione di Israele’. Accanto a questi casi, ben visibili perché legati a episodi specifici, ne esiste un altro, meno evidente ma molto più importante, che tocca un pilastro centrale dell’intera architettura statale israeliana: contestare il dogma che considera la Shoah un genocidio mai visto, unico e irripetibile, o meglio ancora, l’unico evento storico che meriti di essere considerato un genocidio. Tutto questo ha trovato conferma in tempi recenti» (Alessandro Michelucci, p. 37).
«Quello che Israele sta facendo a Gaza col sostegno americano è un crimine contro l’umanità che non ha nessuno scopo militare. […] terre. In un eccellente articolo della New York Review of Books, David Shulman racconta la conversazione che ha avuto con un colono, che riflette chiaramente la dimensione morale del comportamento israeliano. ‘Certo, quello che stiamo facendo è disumano’, ammette il colono, ‘ma se ci pensate bene, tutto deriva dal fatto che Dio ha promesso questa terra agli ebrei, e soltanto a loro’» (John J. Mearsheimer, pp. 51-52).

3) Un altro testo, che mi è capitato di leggere quasi per caso e del cui autore non so nulla, coglie una delle principali ragioni della tragedia che sta colpendo non soltanto i palestinesi, non soltanto gli ebrei, non soltanto il Vicino Oriente ma il nucleo stesso della civiltà europea: il pensare. Perché pensare significa anche tenere conto della potenza del Sacro e dunque cercare di delimitarla. Se non ci si riesce, il risultato è la ferocia, è il massacro.
Il Sacro non potrà mai essere cancellato, esso infatti coincide in gran parte con l’umano. Può e deve invece quanto più possibile essere circoscritta la sua manifestazione religiosa, che è una espressione non di pensiero ma di autorità. Da questa prospettiva i due secoli forse meno religiosi della storia europea recente sono stati il Sette e l’Ottocento. Il Novecento ha invece visto un ritorno potente del sentimento religioso tramite la trasformazione delle opzioni politiche in fedi appunto religiose. Il XXI secolo sta aggravando tale metamorfosi, che non a caso – anzi inevitabilmente – si sta inverando nell’imposizione di verità indiscutibili; nella metamorfosi di contenuti politici, etici, scientifici in verità di fede; nella trasformazione dei critici in eretici.
Esempio tragico di tutto questo è l’essere diventato lo Stato di Israele un tabù, che in quanto tale nessuno può toccare, non può neppure sfiorare. Ecco perché l’autore propone di dissacrare Israele, per ricondurre a sensatezza la politica e a misura la storia. E, naturalmente, per continuare a pensare senza obbedire a dogmi.
Si tratta dunque di una riflessione che (anche se con alcuni limiti) va al di là delle armi, della geopolitica, della cronaca e dell’informazione, pur avendo come oggetto le armi, la geopolitica, la cronaca e l’informazione.
Dissacrare Israele, di Stac, da MyTwoSpicci, 16.11.2024

4) Per quanto infine riguarda la tregua sottoscritta da Israele e da Hamas, temo che sarà soltanto una pausa più o meno breve nel progetto del Grande Israele, e dunque nella pratica del genocidio.
Sulla base della storia e alla luce dell’apartheid, del razzismo e del colonialismo israeliani, credo che abbia ragione Chris Hedges a scrivere (16.1.2025) che «Israele, per decenni, ha giocato a un gioco ingannevole. Firma un accordo con i palestinesi che deve essere attuato in fasi. La prima fase dà a Israele ciò che vuole, in questo caso il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza, ma Israele di solito non riesce a implementare le fasi successive che porterebbero a una pace giusta ed equa. Alla fine provoca i palestinesi con attacchi armati indiscriminati per vendicarsi, definisce la risposta palestinese come una provocazione e abroga l’accordo di cessate il fuoco per ricominciare il massacro». Spero davvero di sbagliarmi, ne sarei sorpreso e felice.
In ogni caso, «i filmati dai droni mostrano i palestinesi che camminavano tra gli edifici distrutti nell’area di al-Saftawi tra Jabalia e Gaza City nel nord di Gaza dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco.
La guerra di Israele contro Gaza, durata 15 mesi, ha ucciso 46.913 palestinesi e ne ha feriti altri 110.750, secondo il ministero della Sanità di Gaza.
Per 471 giorni, le forze di occupazione israeliane hanno impedito alle ambulanze e alle squadre di protezione civile di entrare nelle aree colpite a Gaza, ostacolando gli sforzi per curare i feriti, recuperare migliaia di persone da sotto le macerie e persino registrare con precisione il numero di palestinesi martirizzati e feriti» (Giubbe rosse, 19.1.2025)

In conclusione, i fatti – e non le tesi pregiudiziali – dimostrano che lo Stato di Israele non è per nulla «l’unica democrazia del Medio Oriente» ma, al contrario, è un’entità politica caratterizzata dai seguenti elementi:
-forti tendenze autoritarie e repressive, che si esplicano anche nella persecuzione dei propri cittadini di etnia e religione ebraica, come i membri di Neturei Karta International, che è un’associazione internazionale di ebrei ortodossi i quali condannano in modo assai chiaro il sionismo dello stato di Israele, giudicandolo incompatibile con la fede e con l’identità ebraiche. Qui si trovano dei documenti inerenti tale Associazione: Gaza 2023;
-una politica interna caratterizzata da apartheid e razzismo nei confronti dell’etnia araba;
-una politica estera di impronta colonialista e suprematista.

Il tempo si dice in molti modi

Lo scorso 31.10.2024 tenni un seminario (a distanza) nell’ambito del PRIN  Synchronized with Nature. Measuring time in ancient Egypt and Mesopotamia: archaeological and textual evidence. Il titolo era COMPUTUS. Tempo storico e molteplicità del tempo. In quell’occasione ci soffermammo quasi esclusivamente sulle diverse forme del computus, del calcolo del tempo nelle diverse civiltà, epoche e culture europee.
La seconda parte del seminario si svolgerà il prossimo giovedì, 16 gennaio 2025.
Parleremo di come il tempo si dica appunto in molti modi, costituisca una realtà pervasiva e molteplice.
Presenterò (brevemente) nove forme del tempo: cosmico, fisico, convenzionale, sociale, psicologico, somatico, genetico, antropologico e il tempo/temporalità.
Spero che la definizione di queste forme ci faccia meglio comprendere che l’essere umano è tempo incarnato; il corpomente è la consapevolezza dell’essere noi stessi tempo: «L’esserci, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo» (Heidegger). Una tesi come questa non esprime un primato coscienzialistico sulla temporalità ma la costitutiva temporalità del nostro essere, che fuori dal tempo è letteralmente incomprensibile, indicibile, inesistente.
Che l’umano sia un grumo temporale non vuol dire che il tempo si risolva in noi ma, al contrario, che siamo noi a risolverci nel tempo, il quale «è la sostanza di cui son fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco» (Borges)

Il link per partecipare è: https://meet.google.com/bwb-rjyn-vmh
In questa locandina si può leggere il programma completo dei seminari, che sono pubblici.

[L’immagine di apertura è una fotografia della galassia M104 / NGC 4594, denominata Sombrero, distante dalla Terra 29,5 milioni di anni luce]

Conclave

Conclave
di Edward Berger
USA, 2024
Con: Ralph Fiennes (il cardinal Lawrence), John Lithgow (il cardinal Tremblay), Stanley Tucci (il cardinal Bellini), Lucian Msamati (il cardinal Adeyemi), Sergio Castellitto (il cardinal Tedesco), Isabella Rossellini (Suor Agnes)
Sceneggiatura di Robert Harris (II) e Peter Straughan
Fotografia di James Friend e Stéphane Fontaine
Trailer del film

La Chiesa cattolica romana è un’istituzione millenaria. Come tutte le istituzioni, è animata dalle passioni, dagli interessi, dagli inganni, dalle malvagità, dalle generosità e dagli ideali degli esseri umani.
Un momento fondamentale nell’esistenza di questa struttura teologico-politica è il passaggio dalla dichiarazione di «sede vacante», quando il Papa regnante muore, al proclama: «Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!», allorquando il suo successore è stato eletto. È in quel momento, che può durare giorni o settimane, che converge a Roma il più antico ed esclusivo gruppo di potere del mondo, quello dei prelati che costituiscono il cardine della Chiesa romana. È del tutto ovvio e naturale che nei giorni del conclave si manifestino e confliggano visioni assai diverse dell’umano e della storia. E dunque visioni assai diverse della Chiesa. 

Il romanzo di Robert Harris Conclave racconta questo evento in un momento indefinito ma assai delicato, intriso di tensioni politiche e belliche internazionali. Il Papa è morto all’improvviso e a guidare i cardinali è chiamato il Decano del Sacro Collegio, il cardinale britannico Thomas Lawrence. Un uomo sensibile, profondo, poco incline alla politica ma molto attento a uomini e circostanze. Dovrà guidare un Collegio ideologicamente diviso nel quale le ambizioni personali esprimono modelli assai diversi di Chiesa.
Molti sono i colpi di scena ma sono secondari rispetto allo splendore dei luoghi, all’eleganza degli abiti, alla antichità delle formule, alla solennità del latino nei momenti decisivi. Il cuore della Chiesa romana è la Cappella Sistina, sede del Conclave, perché il cuore luminoso della Chiesa romana è la bellezza, è l’arte, è il sapere, è il rito. È quella dimensione profonda e sacra che le chiese e le sette riformate hanno perduto perché a essa hanno esplicitamente rinunciato, stoltamente convinte che il luogo della fede sia ‘il cuore e l’interiorità’ degli umani, vale a dire quanto di più aleatorio e miserabile ci sia. 

Il pericolo reale, non inventato o narrativo, che la Chiesa Romana corre da tempo è la tentazione di diventare come i riformati, vale a dire di morire in quanto Chiesa e continuare a vivacchiare come insieme di associazioni filantropiche. Una tendenza ben presente nell’attuale pontificato, che sembra guidato più da un sociologo che da un uomo sacro. Dato che l’unica forma decente di cristianesimo è quella cattolica, e in parte quella ortodossa, mi dispiacerebbe se essa dovesse scomparire, sostituita da un insieme di gruppi che credono di essere loro la chiesa e sono invece composti, come tutte le sette, da soggetti problematici e del tutto incentrati su di sé, sul loro ‘cuore’, sulle loro certezze etiche, sui loro ‘valori’.
Il film è elegante e fascinoso. Ha un solo grave difetto: negli ultimi dieci minuti si inceppa in modo implausibile e bizzarro con un finale in clamoroso ed evidente contrasto con tutto ciò che lo precede, un finale politicamente ultracorretto. Peccato, è il caso di dire. Come ha commentato una mia amica, questa faccenda del politicamente corretto non soltanto va deturpando anche le migliori opere letterarie, teatrali e cinematografiche ma «ormai sta diventando un requisito patetico, come i titoli di coda».
In Conclave gli ultimi dieci minuti sono banali e del tutto trascurabili. Il film si conclude davvero, avrebbe dovuto concludersi, con l’elezione di un cardinale che aveva pensato di prendere il nome di Giovanni, evidentemente XXIV. Un film realistico, splendidamente fotografato, coinvolgente, godibile.

Il ritorno degli dèi

Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano
Reggio Calabria – Museo Archeologico Nazionale
A cura di Massimo Osanna e Jacopo Tabolli
Sino al 12 gennaio 2025

Sempre ritornano perché mai se ne sono andati. Nascosti nelle pieghe della dissoluzione umanistica, mascherati nei dogmi dei monoteismi, potenti dentro la Φύσις, sorridenti nella luce, gli dèi sono sempre con noi e accompagnano – distanti – coloro che riconoscono nella materia e nel cosmo il Tutto del quale l’umano è soltanto una parte, un epifenomeno, un gioco, un dramma.
Questo è il politeismo, che trascorre dunque subito in panteismo. Lo si vede bene nei bronzi che dall’estate del 2022 sono ricomparsi nel Bagno Grande di San Casciano dei Bagni, una località in provincia di Siena dove (come si legge nella scheda che il Museo di Reggio Calabria ha dedicato all’evento) uno scavo stratigrafico ha portato alla luce «il più grande deposito di statue in bronzo di età etrusca e romana mai scoperto nell’Italia antica e uno dei più significativi di tutto il Mediterraneo. Riproduzioni di parti anatomiche, offerte per chiedere alle divinità la salute o ringraziare di una guarigione, e statue realizzate secondo i canoni della cosiddetta mensura honorata (alti tre piedi romani, equivalenti a circa un metro), che raffigurano le divinità venerate nel luogo sacro o i fedeli dedicanti. La gran parte di questi pregevoli reperti si data tra il II e il I secolo a.C., un periodo storico di grandi trasformazioni che vede la definitiva romanizzazione delle potenti città etrusche».
Tutto questo costituiva la vita di un antico santuario posto nella città-stato etrusca di Chiusi, luogo che dal III secolo a.e.v. al V secolo e.v. ebbe nell’acqua sacra il principale elemento identitario.
Compare dunque davanti al visitatore la potenza dell’acqua che ha conservato questi bronzi come il mare ha fatto con quelli di Riace, l’acqua delle fonti che Servio afferma giustamente essere sempre sacra; 

compare la gratitudine verso gli dèi che spingeva i pagani a dedicare loro statuette, parti anatomiche, gioielli; compare la potenza del fulmine che indicò agli umani di quelle terre dove seppellire i loro bronzi per onorare il dio che si era mostrato; 

compare la potenza di questo dio, che è Zeus ma è anche Apollo «arciere dall’arco di argento» come lo chiama Omero; compare ovunque un significato totale della vita. Totale e disincantato, luminoso e tragico.

L’antropocentrismo monoteistico dei figli di Mosè, dei nazareni, dei maomettani ha tolto senso al mondo relegandolo nel dio unico, padre assoluto e signore feroce, generando così il problema ecologico dato dalla distruzione dell’οἶκος, la comune casa dei viventi. Tracce del politeismo si scorgono ancora per fortuna nel Cattolicesimo Romano, con il suo culto per i santi, alle cui guarigioni continuano a essere dedicati gli ex voto. Sono, queste, flebili tracce di una comunanza e consolazione che intesseva le vite degli antichi.
I quali anche per questo potevano generare la stupefacente armonia e bellezza dei due Bronzi che dominano lo spazio del Museo Archeologico di Reggio Calabria. 

Visibili anche dalla piazza centrale dell’edificio, giustamente dedicata all’archeologo Paolo Orsi, e poi accoglienti nella sala a essi soltanto dedicata, questi dèi in forma umana sono un emblema limpido e chiarissimo della filosofia greca, del suo superamento di ogni umanesimo nel momento stesso in cui sembra celebrarlo, della metamorfosi della materia – il bronzo – in elemento sacro, della vittoria delle forme su ogni barbarie e bruttura. Accostarsi a queste due entità vuol dire avvicinarsi al dio.
Il museo della città magnogreca accoglie nei suoi spazi migliaia di reperti di varia natura, epoca, fattura, invitando a un percorso dentro la vicenda della Μεγάλη Ἑλλάς, della Grecia oltre la Grecia con la quale gli Elleni donarono al Mediterraneo luce.

Nella piazza di ingresso del Museo è attualmente allestita un’esposizione di opere contemporanee. Tra queste i Guerrieri di Filippo Balice (2024) coniugano le forme arcaiche e gli stilemi di oggi, rendendo ancora una volta vivo l’antico, che mai è morto.

Usciti dal Museo, l’ampio lungomare di Reggio Calabria offre allo sguardo i due mari che si incontrano, l’Etna che sta, la luce senza fine del Mediterraneo.

Pilato

Pilato, il Sacro
in Vita pensata
n. 31, ottobre 2024
pagine 32-42

Indice
-Pilato, le fonti
-Pilato, lo scettico
-Pilato, il prigioniero
-Pilato, il filosofo
-Pilato, il disvelatore

Abstract

La figura e il nome del Procuratore della Giudea, Ponzio Pilato, sono stati sempre oggetto di una lettura che cerca di coglierne l’enigma. E questo a partire dal fatto assai singolare che quello di Pilato è l’unico nome umano che appaia nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano, vale a dire nel Credo dei cristiano-cattolici. In questo saggio ho cercato di cogliere la profondità e la centralità di Pilato a partire dalle fonti storiche e da alcune delle principali interpretazioni letterarie. Ciò che emerge con chiarezza è che il nome di Pilato è intriso di una plurale e profonda dimensione sacrale.

The figure and name of the Procurator of Judea, Pontius Pilate, have always been the object of a reading that seeks to grasp its enigma. And this starting from the very singular fact that Pilate is the only human name that appears in the Nicene-Constantinopolitan Creed. In this paper I have tried to grasp the depth and centrality of Pilate, starting from historical sources and some of the main literary interpretations. What emerges clearly is that the name of Pilate is imbued with a plural and profound sacred dimension.

Berthold Werner – Caesarea maritima, Stein mit dem Namen des Pontius Pilatus

DissacrArte

Domenica 17 novembre 2024 alle 11.00 nella sede della Galleria Carta Bianca di Catania presenterò il numero 20 della rivista Antarès (Bietti Editore), dedicato ai rapporti tra Avanguardia e sacro nell’arte contemporanea. Insieme a me Luca Siniscalco, curatore della rivista, e Fulvia Toscano.

Antarès tocca, saggia, attraversa i territori sempre plurali del sacro: il sacro dei Greci, il sacro alchemico, il sacro cattolico, il sacro ortodosso (non può esserci sacro protestante), il sacro induista, il sacro di altre culture e popoli dell’Asia centrale. E questo anche, come scrive Luca Siniscalco nell’editoriale,  con l’obiettivo di «scoprire le tracce degli antichi dèi, edificando templi al deus adveniens».
Le condizioni per tentare con successo questa scoperta sono rigorose: anzitutto lasciare al loro destino  quelle forme estetiche che sono soltanto espressione, tipicamente moderna, di «un ego narcisistico alle prese con una superficiale interiorità». Un’espressione che Siniscalco mette coerentemente in relazione con il sistema dell’arte, vale a dire con quell’insieme di strutture, azioni, manufatti e informazione che secondo Giuseppe Frazzetto rappresenta il Terzo stato dell’arte.
Per i teorici, gli artisti, i narratori che hanno dato vita a questo numero della rivista, l’arte non è soltanto – è certamente anche – la vita di tale sistema, l’arte non è «mero divertissement, né uno strumento al servizio delle ideologie, bensì una topologia della libertà». Una definizione non soltanto molto bella ma anche e soprattutto molto vera. In questo l’arte è proprio un’espressione filosofica, dato che la filosofia è quasi impossibile dove non si respiri liberamente.
Per non risultare soltanto un divertimento, un ornamento, o l’ennesima espressione della forza delle autorità costituite, l’arte non può ricondursi e ridursi – come giustamente scriveva nel 1994 Alberto Abate – alla Linguistica o alla Psiconalisi, vale a dire al solo significante ma deve sempre puntare al disvelamento di significati. Non di un solo Significato, unico, dominante ed esclusivo, come neppure della «sterile confezione sterminata dei significanti», pronti a dissolversi al primo soffio delle mode del sistema dell’arte o, per dirla in altro modo, dello Zeitgeist, ma di una una molteplicità di significati, i quali emergono dal vedere il mondo e dal comunicare ciò che si è visto. L’arte come ontologia e l’arte come espressione.
Le analisi teoriche, le testimonianze prassiche, le proposte operative di Antarès possono essere ben riassunte in una formula di Luca Siniscalco il quale, riprendendo le affermazioni di alcuni artisti, parla di «un Antico Futuro […] ossia un richiamo all’Origine come ricerca d’Avanguardia, una conservazione estetica capace d’innovare».
Al di là di ogni progressismo e di tutti i conservatorismi il futuro sta nell’origine, sempre.

 

 

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