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Materia prima

Materia prima. Russkoe bednoe.
“L’arte povera” in Russia
A cura di Marat Gelman
Milano – Padiglione d’Arte Contemporanea
Sino all’11 settembre 2011

 

Che cosa è l’arte? Temibile domanda. Una di quelle alle quali sembra impossibile rispondere anche perché le risposte possono essere -e sono- le più diverse nel tempo, nello spazio, nella concezione delle cose. Mi limito a un tentativo fenomenologico/kantiano -per nulla originale, naturalmente: l’arte è qualcosa che l’occhiomente umano vede e produce nella materia. Tutto può dunque essere o diventare arte? Sì, tutto. Sta qui la grandezza estetica del Novecento e del XXI secolo. Nell’aver affrancato il fare artistico non soltanto dai suoi contenuti ma anche dai suoi materiali. Qualunque oggetto può diventare un luogo di bellezza, di qualsiasi cosa sia composto. Perché l’arte è proprio poiesis, come sapevano i Greci, è il fare dell’artista-artigiano che plasma la materia e -soprattutto- la reinterpreta. Lo spazio dell’arte è dunque  la mente umana.

È per questo che la mostra del PAC mi è sembrata sublime. Perché scarti da robivecchi, parti di sedie, letti, officine e chissà cos’altro possono diventare dei magnifici scheletri di animali, verosimiglianti e armoniosi (Olga & Alexandr Florenskye). Perché dei pezzi di legno qualsiasi, di quelli che servono per il camino, formano una sfera aperta, perfetta e gloriosa che Petr Belyi ha chiamato “Silenzio”; lo stesso legno, un poco più lavorato, si fa libri e insieme libreria, intitolata giustamente “Libreria Pinocchio”. Carbone e resina si plasmano in forma di scarpe, aerei, pistole, teschi, come quelli che un archeologo potrebbe ritrovare tra milioni di anni su una Terra abbandonata ormai dai viventi (Vladimir Anzelm). Con brandelli di copertoni, il materiale forse meno estetico che ci sia, Vladimir Kozin inventa di tutto: camicie, lamette di rasoio, il teschio di diamanti di Damien Hirst, un gigantesco logo della Pravda. Il gruppo dei Sinie Nosy (nasi blu) reinterpreta in chiave culinaria alcuni dei dipinti/manifesto del suprematismo; è così che il celebre “Batti i bianchi con il cuneo rosso” di El Lissitzky diventa una fotografia dove un bel pezzo di formaggio si incunea sopra una fetta di mortadella. A proposito di fotografie, la mostra rende omaggio ad Aleksandr Sljusarev le cui immagini metafisiche ritraggono oggetti e luoghi banali restituendone tutta l’enigmatica e profonda bellezza, capace di trasformare finestre, pareti scrostate, panchine, muri, tubi, ombre, in elementi di composizioni simili ai quadri di Mondrian.

Leonid Sokov in “Tempo forgiato” costruisce una linea architettonica del tempo che parte da Stonehnge e dalle Piramidi per arrivare ai più vertiginosi grattacieli contemporanei. Aleksandr Brodsky con la sua argilla non cotta -e quindi destinata presto a sbriciolarsi- crea intanto oggetti e luoghi di sottile suggestione; Brodsky è anche l’autore della grande “Rotonda” che accoglie i visitatori all’esterno del PAC, una struttura nella quale si può entrare e abitare.

Molto altro si gode in questa mostra -antichi bagni di legno, diamanti fatti di piastrelle, biancheria in ferro, echi dell’eresia degli albigesi che adoravano il pane- ma ciò che più di tutto mi ha coinvolto è l’aere perennius dell’arte che lega l’antico e il contemporaneo nelle colonne e trabeazioni in gommapiuma di Nikolay Polissky e soprattutto nelle opere di Valery Koshlyakov, capace di creare con il cartone dei dipinti raffiguranti archi romani, fori di città pagane, piazze rinascimentali o novecentesche e -infine- un “Piede di gigante” che potrebbe stare nella Rodi antica come nelle installazioni di Mitoraj; di fronte a questa scultura in semplice cartone e polistirolo da imballaggio si sente la potenza dei millenni.

Le immagini che ho inserito non rendono in alcun modo il fascino delle opere ma meglio di niente.

 

Il concerto

di Radu Mihaileanu
(Le concert)
Francia, Italia, Romania, Belgio 2009
Con Tahar Aleksei Guskov (Andreï Filipov), Dmitri Nazarov (Sacha Grossman), Mélanie Laurent (Anne-Marie Jacquet), Miou-Miou (Guylène de La Rivière) Valeri Barinov (Ivan Gavrilov)
Trailer del film

Andreï Filipov osò opporsi a Brezhnev che voleva estromettere i musicisti ebrei dal Bolshoi e per questo venne ridotto da direttore d’orchestra a uomo delle pulizie. Mentre è intento al suo lavoro, arriva un fax da Parigi con l’invito a tenervi un concerto. Come invaso da un sogno, Andreï torna a riunire i vecchi compagni e con l’aiuto di una pittoresca folla di gitani arriva in Francia, dove -dopo molte traversie- riesce a suonare insieme alla violinista Anne-Marie Jacquet, celebre, giovane, bravissima e anche in qualche modo legata al Bolshoi. L’esecuzione del Concerto per Violino e Orchestra di Tchaikovsky suggella la potenza della musica e della fiaba.

Tonalità favolistica che Radu Mihaileanu aveva già utilizzato in Train de vie. Gli ebrei che in quel film erano in fuga dai Lager nazionalsocialisti sono ora stati umiliati da un altro totalitarismo burocratico e ottuso. All’ironia -che diventa anche autoironia verso il mondo ebraico- e all’umorismo, il regista aggiunge qui lo squarcio su una realtà storica troppo spesso nascosta, quella per la quale il comunismo sovietico fu anch’esso duramente antisemita in molte delle sue fasi.
Certo, a volte la favola è troppo favola ma in questo film si ride, si ascolta della buona musica e si riflette.

La Russia di Cartier-Bresson

Henri Cartier-Bresson. Russia
Genova – Palazzo Ducale
Sino al 14 febbraio 2010

Cartier-Bresson visitò l’Unione Sovietica nel 1954 e nel 1972. All’indomani della morte di Stalin e nel pieno della Guerra Fredda. Ma ciò che il suo sguardo incomparabile sa cogliere è la costante antropologica che precede di molto le rivoluzioni e che a esse sopravvive. I santi, le icone, la fede che traspira dagli sguardi sono gli stessi sia che vengano rivolti alle Madonne ortodosse sia che abbiano come oggetto Stalin e gli altri santi del partito comunista. L’entusiasmo e la dedizione di milioni di russi al regime sembrano autentici. I bambini in divisa delle scuole elementari si alternano a una borsa oggetto di desiderio delle massaie moscovite; le gigantografie di Lenin -per quanto enormi tanto da coprire interi palazzi- sembrano sparire al confronto con gli immensi spazi della Russia profonda. La sensazione è che le tradizioni culturali, religiose, simboliche siano sopravvissute anche al dogmatismo rivoluzionario e che invece si stiano dissolvendo a contatto con il liberismo, che tutto riduce a merce e moneta. L’occhio di Cartier-Bresson suggerisce forse una triste verità: gli umani si adattano meglio alla servitù del gregge che alla libertà della polis.

La cimice

di Vladimir Majakovskij
Teatro Strehler – Milano
Traduzione Fausto Malcovati
Con: Francesca Ciocchetti, Francesco Colella, Pierluigi Corallo, Giovanni Crippa, Massimo De Francovich, Gianluigi Fogacci, Melania Giglio, Marco Grossi, Sergio Leone, Bruna Rossi, Paolo Rossi
Regia Serena Sinigaglia
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Sino al 24 maggio 2009

Trailer dello spettacolo

cimice

Nel 1928 Prisypkin è stufo di essere un operaio, ritiene di aver fatto il suo dovere di proletario e ora intende sposarsi con la figlia di una parrucchiera. Lui porterà in dote il titolo di “compagno”, lei i rubli. Durante la festa di matrimonio scoppia un incendio. Muoion tutti, tranne Prisypkin che viene ibernato nel ghiaccio della cantina, da dove è resuscitato nel 1979.

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Musorgskij – Emerson Lake & Palmer

7 maggio 2009
Centro Culture Contemporanee Zo – Catania
Associazione Musicale Etnea

Modest Musorgskij.
QUADRI DI UN’ESPOSIZIONE.
Aki Kuroda, pianoforte. Emerson Lake & Palmer, video al Lyceum Theatre 09.12.1970

La contaminazione è davvero una delle strutture fondamentali del mondo. I visionari Quadri di un’esposizione di Musorgskij (1874) acquistano splendida vitalità un secolo dopo la loro composizione nell’esecuzione progressive e psichedelica degli ELP. Le dissonanze e le percussioni che intridono l’originale vengono esaltate dall’energia e dalla creatività del trio. Ma anche la dolcezza di alcuni dei quadri –The Sage, ad esempio- riceve pieno accoglimento ed espressione dalla voce di Greg Lake.

La pianista Aki Kuroda ha creato uno spettacolo nel quale alterna la propria esecuzione solistica dell’opera musorgskijana con il video completo della performance ELP. Mano a mano che le due versioni procedono e si fondono, il pianoforte assume toni sempre più jazzistici e sincopati, sino al potente finale della Grande porta di Kiev. Una bellissima idea, un grande divertimento. In Rete si trovano facilmente i video del concerto Emerson Lake & Palmer. Ne propongo uno qui sotto, per farsi un’idea.

Il Gabbiano

di Anton Cechov
Versione di Martin Crimp
Traduzione di Leslie Csuth
Con Donatella Bartoli, Elisabetta Ferrari, Mariano Nieddu, Alberto Onofrietti, Roberta Rovelli, Paolo Summaria
Regia di Sandro Mabellini
Teatro Litta – Milano
Sino al 10 maggio 2009

litta_gabbiano

Il Gabbiano ritorna su una scena del tutto spoglia, dove tre coppie danzano il disperato gioco dell’amore non corrisposto, degli incroci che non si colgono, delle aspirazioni ridimensionate, della vita-teatro. Sul palcoscenico solo un paio di microfoni, parlando nei quali e dando le spalle  alla sala gli attori diventano anche gli altri personaggi. Quando, invece, sono Konstantin e Nina, Arkadina e Trigorin, Medvedenko e Maša, gli attori si rivolgono al pubblico, che è dunque attivamente coinvolto nella rappresentazione.

Cechov non è mai semplice da recitare e da vedere. La regia di Sandro Mabellini -basata sulla asciutta versione di Martin Crimp- ne condensa senso e gesti traendo dal testo tutta la possibile contemporaneità, che vuol dire sempre la classicità di un’opera. Gli inserti musicali vanno da Mozart al rock e sono sempre rispettosi del contesto. La recitazione si fa spesso danza. La metafora del gabbiano viene esplicitata e diventa il corpo di un’attrice. La prima parte dello spettacolo rimane tuttavia povera e solo nel finale acquista la densità di un dramma esplicitamente shakespeariano, così come Cechov lo aveva voluto.

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