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Storia e materia

Epilogo? – Tamas Dezsö
in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXVII – numero 76 – maggio 2021
pagine 20-29

Nella serie del fotografo Tamas Dezsö intitolata Notes for an Epilogue la materia è fatta di animali che si indossano, di animali con i quali si convive, di animali che si temono e che si amano, di greggi e di orsi, di stormi sempre in volo sopra le discariche. Ma soprattutto di animali che si è. La materia vegetale di boschi, di acque, di campi, di verdure, di prati resi bianchi dall’inverno o fulgenti di verde come fossero diamanti. Pur nella loro bruttura di rovine dei veleni, del veleno più letale che è la speranza tradita della storia, i resti della tracotanza umana quando vengono abbandonati tendono a somigliare sempre più all’armonia, ad avvicinarsi all’intatto silenzio dei laghi, delle chiese che dai laghi spuntano, delle conifere che attendono con la medesima pazienza il raggio della luce che le inonda, il gelo della neve che le ferma. Ciminiere, campanili, alberi, tendono sempre tutti verso il cielo, dal quale si aspetta una salvezza tanto più bramata quanto invece l’orizzonte della storia è stato feroce o indifferente. E in effetti è dall’alto che viene la salvezza, dalla materia cosmica che si condensa, diventa stelle, si raffredda in pianeti, si evolve esplodendo e lanciando la propria energia nello spaziotempo, ritornando così a essere polvere che si addensa a formare nuove stelle e le galassie che le raccolgono, si formano, si dissolvono e si riformano, per sempre. Una meraviglia, la cui unica nota stonata è la sofferenza che chiamiamo ζωή, vita, è la sofferenza che chiamiamo storia. Ma è talmente insignificante da non dovercene davvero preoccupare.

Sullo stesso numero della rivista sono usciti gli articoli di altri due studiosi di Unict. Uno di Enrico Moncado: Shooting in Sarajevo, l’altro di Enrico Palma: Suite N. 5.

Esami

Un padre, una figlia
(Bacalaureat)
di Cristian Mungiu
Romania, Francia, Belgio, 2016
Con: Adrian Titieni (Romeo), Maria-Victoria Dragus (Eliza), Lia Bugnar (Magda), Malina Manovic (Sandra), Vlad Ivanov (l’ispettore capo)
Trailer del film

Eliza si sta preparando all’esame di maturità. Una media molto alta le consentirebbe di lasciare finalmente la Romania per studiare a Londra. Alla vigilia dell’esame viene aggredita da uno stupratore ma deve sostenere a ogni costo le prove. Il padre, un medico bravo e integerrimo, viene per la prima volta a compromessi nel tentativo di aiutare la figlia a ottenere il risultato.
Il cinema di Cristian Mungiu racconta con sobrietà, pietas e rigore i sentimenti umani e le scelte che essi implicano. Lo ha fatto in 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni a proposito dell’aborto, in Oltre le colline sulle motivazioni che separano persone che un tempo si sono amate. Qui in Bacalaureat (esame di stato) l’analisi riguarda non solo e non tanto i rapporti tra un padre e una figlia quanto soprattutto le circostanze che inducono a chiedere sostegno illegale, raccomandazioni, anche al di là della propria volontà.
Si sorride amaramente nel constatare che gli esami di maturità in Romania sono assai più severi che in Italia, che barare a scuola e all’università è un reato per il quale si muove la magistratura, che le persone si vergognano delle loro azioni. Quanto descritto dal film, in Italia non è più neppure percepito come illegale o semplicemente scorretto. Siamo diventati veramente tra i più corrotti al mondo.

«Prender per cielo il suo cervello»

Oltre le colline
(Dupa delauri)
di Christian Mungiu
Con: Cosmina Stratan (Voichita), Cristina Flutur (Alina), Valeriu Andriuta (il prete), Dana Tapalaga (la madre superiora)
Romania – Francia – Belgio 2012
Trailer del film

Romania. Due ragazze si abbracciano alla stazione. Alina piange di commozione, Voichita le dice di calmarsi anche perché «la gente ci guarda». Da bambine sono cresciute insieme in orfanotrofio. Si sono amate. Alina è andata poi a lavorare in Germania, Voichita è entrata in un piccolo monastero ultraortodosso al quale non possono accedere atei, cattolici, protestanti, non cristiani. La vita delle suore che lo abitano si svolge nel lavoro, nell’obbedienza al prete, nell’ossessione per i possibili 464 peccati elencati in un quaderno, nella ripetizione continua dei luoghi comuni della fede cristiana, tra i quali: «Anche se avessi tutto il mondo intorno, senza Dio saresti sempre sola». Invece per Alina basterebbe avere accanto a sé Voichita, la quale però è cambiata e non risponde più con l’antico affetto all’amore della compagna. La gelosia afferra la ragazza, la rende disperata e furente, la fa stare male tanto da essere ricoverata in ospedale. Quando torna al monastero, il prete prima cerca di mandarla via, poi si convince che Alina è posseduta dal diavolo. Aiutato dalle suore, inizia a praticare esorcismi su di lei. Ciò che colpisce di più non è tanto la violenza esercitata «per il suo bene, per scacciare da lei il maligno» quanto la presunzione con la quale i credenti monoteisti parlano di Dio, di Allah, di Jahvé come se fosse il loro vicino di casa del quale conoscono benissimo volontà, linguaggio, convinzioni. Se questi credenti nella propria vanità fossero un po’ meno arroganti, il mondo andrebbe certamente meglio. Il cattolico Manzoni ha descritto costoro in modo come al solito mirabile: parlando di Donna Prassede scrive che «tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di prender per cielo il suo cervello» (I Promessi Sposi, cap. XXV).
Per quanto sia duro contro il fanatismo, il vero tema di Oltre le colline non è la fede monoteistica ma la passione tra due donne, la distanza che si crea nel tempo tra i sentimenti, la gelosia, il bisogno di sicurezze, l’obbedienza alle formule salvifiche. Un film aspro ma anche poetico, ben fotografato e interpretato. Un’opera però dalla tecnica minimalista, dove manca l’epica. Rimane quindi soltanto la miseria umana.

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