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«Plaudite, amici»

Piccolo Teatro Studio – Milano
Mangiafoco
Drammaturgia e regia di Roberto Latini
Elementi scenici: Marco Rossi
Con: Elena Bucci, Roberto Latini, Marco Manchisi, Savino Paparella, Stella Piccioni, Marco Sgrosso, Marco Vergani
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Compagnia Lombardi-Tiezzi, Fondazione Matera Basilicata 2019, Associazione Basilicata 1799

«Acta est fabula, plaudite!». Queste le parole che Svetonio fa dire a Ottaviano Augusto morente. Alla conclusione della fabula, della commedia dell’esistenza, possiamo applaudire chi l’ha recitata.
Del teatro Roberto Latini afferma che «qui è dove fingiamo veramente e le bugie son tutte vere» (Programma di sala, p. 12). Qui. Ora. Sempre. Con i loro volti estremamente mobili, con gli occhi espressivi, con le mani nell’aria, con il naso e le dita a percepire l’ambiente, gli esseri umani sono tutti e sin dall’inizio attori.
È un’ovvietà sociologica che se fossimo sinceri, se davvero dicessimo sempre ciò che pensiamo degli altri e delle situazioni, ci saremmo estinti da tempo in una guerra di tutti contro tutti ancor più feroce di quella che ogni giorno viviamo. Chi invoca la trasparenza fra gli umani (Rousseau, ad esempio) o non sa quel che dice o è particolarmente maligno. Siamo opachi per fortuna, capaci di nascondere i nostri pensieri dietro la fronte delle nostre recite sociali, affettive, intellettuali. Le forme ci salvano, ci salva la mente e la sua costante menzogna sul mondo.
Anche per questo il teatro va al di là dell’immagine ed è sempre immaginazione; è costruzione, al di là della percezione; oltre l’empiria si apre all’αλήϑεια, al disvelamento freddo e luminoso del mondo. Mangiafoco è assai più che metateatro, è l’intreccio di racconti, storie, autobiografie, momenti testuali, movimenti appresi e movimenti restituiti. Il naso di Pinocchio è un segno dell’intera vita individuale e collettiva. A nessuno, infatti, mentiamo con tanta convinzione quanto a noi stessi. Per poter vivere ancora il teatro del mondo.
La freddezza che caratterizzava il precedente spettacolo di Roberto Latini – Il Teatro comico di Goldoni – acquista qui il calore delle vere vite degli attori che raccontano di come sono arrivati al teatro. Vere vite? La verità si cristallizza nei blocchi di ghiaccio che rimangono in scena, si scioglie nel flusso irreversibile della materia e del tempo.

Nonostante

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Il teatro comico
di Carlo Goldoni
adattamento e regia di Roberto Latini
con Elena Bucci, Roberto Latini, Marco Manchisi, Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Stella Piccioni, Marco Sgrosso, Marco Vergani
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Sino al 25 marzo 2018

In pieno Illuminismo, a metà del secolo, nel 1749-1750, Carlo Goldoni compone una commedia che è un manifesto della propria poetica, una dichiarazione di drammaturgia nella quale spiega -non in modo teorico ma dal di dentro stesso del fare teatrale- in che cosa consista la progressiva ma definitiva rivoluzione con la quale sostituisce al teatro dell’arte -e quindi all’improvvisazione degli attori saltimbanchi- il teatro di carattere, e quindi un testo scritto da mandare per intero a memoria e mediante il quale restituire potenza alla parola pensata. Ci furono resistenze, certo, da parte degli attori e del pubblico, entrambi abituati alla sicurezza ripetitiva -si potrebbe dire ‘televisiva’- di battute e lazzi che erano diventati sempre uguali, di maschere fisse. E invece la vita è divenire, trasformazione e incertezza. Aver reso teatro tale divenire, anche questo fa la grandezza di Goldoni.
Il teatro comico è tra le meno rappresentate fra le sue opere. E si capisce perché. Non è facile mettere in scena una teoria. Roberto Latini lo fa con molteplici strumenti: trasforma il testo in un’occasione di riflessione sul teatro contemporaneo, citando esplicitamente le messe in scena di Giorgio Strehler e facendosi permeare da quelle di Leo de Berardinis; raccoglie una tradizione che va da Alighieri -il capocomico Orazio invita i suoi attori ad attraversare l’ignoto recitando il Canto di Ulisse- a Pirandello, come se i personaggi cercassero il loro autore; fa delle luci una forma di scrittura e pone a destra della scena una statua di Arlecchino che in vari momenti precipita, come a segnare la fine del teatro di maschera; utilizza musiche contemporanee quali il Requiem di Preisner.
E tuttavia lo spettacolo rimane freddo. Gli attori -soprattutto nella prima parte- muovono in modo frenetico gli arti, non stanno mai fermi, come se ci fosse un’intima sfiducia nelle parole di Goldoni, come se esse non bastassero. E soprattutto manca unità di stile. Sembra di assistere a diverse prove di modi in cui potrebbe essere messa in scena la commedia. Può sembrare un apprezzamento, questo, vista la natura del testo goldoniano ma invece è un limite. Perché tutto e in tutti i modi si può scrivere, musicare, dipingere e realizzare ma l’unità del pensiero che intrama questo fare deve sempre esserci e apparire.
Bella e profonda è comunque l’intuizione di fondo di Latini, che fa di questa commedia programmatica un’espressione tragica. Gli attori si muovono in gran parte come marionette e sulla scena appaiono dei veri manichini, il corpo di Arlecchino viene fatto letteralmente a pezzi, come a pezzi e a marionette spesso la vita ci riduce. Ci sono delle regole in essa, nella vita, che si possono formulare in equazioni persino quando riguardano l’imponderabile e l’irrazionale. I sentimenti, ad esempio. Nulla c’è di veramente imprevedibile nella traiettoria dei sentimenti. Basta avere i dati e il risultato fuoriesce. Dati che nessuno può conoscere per intero, certo. E questo dà l’illusione dell’imprevisto. Tenera, comica e tragica è l’esistenza. Non possiamo farci nulla, se non benedirla nonostante.

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