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Lupi

Anche se nata in ambiente euripideo, Reso è una tragedia quasi certamente non autentica. La sua lettura mostra in modo plastico la differenza tra uno scrittore di tragedie -molti ce ne furono– e Euripide. Manca infatti di ricchezza teoretica, di penetrazione nella psiche degli umani, di splendore teologico.
E tuttavia è un testo di interesse per gli archetipi antropologici che lo intessono. La trama è tratta dal decimo canto dell’Iliade. La prima parte narra della spedizione del troiano Dolone come spia nel campo greco. Ettore pensa infatti che gli Achei stiano per tornare alle loro terre, dopo la strage da lui compiuta degli eroi greci. Dolone però viene catturato e rivela la parola d’ordine per infiltrarsi nel campo frigio. Odisseo e Diomede approfittano di questa circostanza, entrano nel campo nemico e uccidono Reso, re dei Traci appena arrivato in aiuto dei Troiani. Reso è tuttavia figlio di un fiume e della Musa; per questo non scenderà nell’Ade «ma, nascosto negli antri della terra che celano l’argento, uomo-dio, giacerà morto e avrà vita, alla stregua del profeta di Bacco che dimora nella rupe Pangea»1.
La tragedia mescola due archetipi.
Il primo è quello dell’uomo-lupo nel quale Dolone si traveste, una vestizione che viene descritta con molti dettagli che la ricerca antropologica ha confermato. In quasi tutte le culture conosciute, infatti, il lupo mannaro è simbolo di forza, astuzia, contaminazione profonda tra l’animalità umana e l’animalità ferina. Tra i testi a questo proposito più controversi ma anche suggestivi c’è un libro del 1951, da poco tradotto in italiano: Uomo diventa lupo. Un’interpretazione antropologica di sadismo, masochismo e licantropia, di Robert Eisler. L’Autore argomenta a favore della natura pacifica e frugivora dell’Homo sapiens, la cui alimentazione carnea sarebbe nata sostanzialmente da pressioni ambientali -la fame generata da modifiche climatiche– e dall’imitazione dei comportamenti di altri mammiferi, soprattutto i lupi.
L’altro archetipo è quello solare e dionisiaco, di cui è figura Reso, emblema di regalità orientale, splendente, luminosa, destinato a essere profeta di Dioniso.
Tutto questo viene descritto e narrato in schemi troppo rigidi ed elementari. Due verità comunque vi compaiono, a sancire l’appartenenza all’Ellade. Atena, giunta ancora una volta in aiuto a Odisseo, dichiara che «οὐκ ἂν δύναιο τοῦ πεπρωμένου πλέον», «oltre il destino non si va» (v. 634, p. 1028); la Musa, compiangendo la morte di Reso, afferma che «creare figli, che sventura e quale affanno per i mortali! Chi ci pensa bene, vivrà senza prole» (p. 1039). Esatto.

1. Euripide, Reso (Ῥῆσος), in «Le tragedie», trad. di Filippo Maria Pontani, Einaudi 2002, p. 1039.

Technotod

Climax
di Gaspar Noé
Francia, 2018
Con: Sofia Boutella (Selva), Kiddy Smile (Daddy), Romain Guillermic (David), Souheila Yacoub (Lou), Taylor Kastle (Taylor), Claude Gajan Maude (Emmanuelle), Giselle Palmer (Gazelle)
Trailer del film

Una donna ripresa dall’alto. Striscia in mezzo alla neve bianca, lascia tracce di sangue.
Un televisore sul quale scorrono delle interviste ad alcuni ballerini; dietro di loro un muro scrostato; alla sinistra del monitor si vedono accatastate delle videocassette di film come Un chien andalou, Harakiri, Suspiria, Possession, Zombie, Schizophrenia, Le droit du plus fort.
La telecamera si allontana da una grande bandiera francese in primo piano, dalla quale si apre una sala dove venti ballerini si muovono in una danza armoniosa, estatica, estrema. Cinque minuti di godimento dello sguardo e dei corpi.
«Dio è con noi».
Pausa. Ragazzi e ragazze mangiano qualcosa, bevono della sangria.
Una dopo l’altra brevi scene nelle quali a due a due i personaggi dialogano manifestando intenzioni, gioia, ossessioni, aggressività, preoccupazione.
Tutto comincia a oscillare sino a capovolgersi, i corpi si abbrancano e respingono, i dialoghi diventano feroci, le azioni imprevedibili. Urla, pianti, sussulti, l’ancestrale e infinita ricerca di capri espiatori, l’espulsione, la reclusione, il desiderio.
Lentamente e in modo del tutto naturale lo spazio si restringe ai particolari più vicini, a frammenti di materia; il divenire scivola nella luce rovinosa e inquietante di un rosso sempre più pervasivo, sino al bianco di occhi estatici che dissolvono la loro identità nel nulla.
In tutto questo la musica techno e disco continua, inesorabile, a battere il tempo. Sullo schermo compaiono affermazioni come: «La vita è un’impossibilità collettiva»; «Morire è un’esperienza straordinaria».
Un sabba.
«Fu il vecchio direttore dello ‘Hibbert Journal’, L.P. Jacks, a proporre di sostituire la definizione linneana Homo sapiens con questa denominazione [Neo-anthropus insipiens damnatus], più appropriata, per i folli che ora si preparano a distruggersi a vicenda e a mandare in rovina tutte le proprie opere, fino alla completa estinzione»1.

Nota
1. Robert Eisler, Uomo diventa lupo, Un’interpretazione antropologica di sadismo, masochismo e licantropia (Man into Wolf. An Anthropological Interpretation of Sadism, Masochism and Lycanthropy [a lecture delivered at a meeting of the Royal Society of Medicine], 1951), trad. di R. Montanari, Adelphi 2019, p. 103.

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