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«Risorse umane»

La filosofia di Martin Heidegger è anche strumento di emancipazione e costituisce uno dei fondamenti teorici più importanti della Deep Ecology.
Lo testimoniano opere, saggi, l’intervista allo Spiegel, testi che hanno a fondamento la celebre espressione secondo la quale «der Mensch ist nicht der Herr des Seienden. Der Mensch ist der Hirt des Seins» (‘l’uomo non è il dominatore degli enti. L’uomo è il pastore dell’essere’, «Brief über den Humanismus» [1947], in Wegmarken, «Gesamtausgabe», Band 9, herausgegeben von Friedrich-Wilhelm von Herrmann, Vittorio Klostermann 1976, p. 342).
In generale, Heidegger ha saputo cogliere la radice ontologica di fenomeni quali la trasformazione delle persone e dei lavoratori in risorse umane; l’obsolescenza pianificata degli oggetti di uso quotidiano; l’agricoltura intensiva; la distruzione dell’ambiente e quindi dell’umano in esso; la sostituibilità universale; la trasmutazione integrale del vivente a strumento di profitto, per cui «ci sono ormai soltanto risorse: depositi, riserve, mezzi».
Questa riduzione dell’intero a Gestell (impianto) e a semplice Bestand (fondo, magazzino, risorsa) è oggetto di una delle pagine più intense e attuali del seminario che Heidegger svolse a Le Thor nel 1969. Ne riporto alcuni brani.

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Cerchiamo ora di portare allo scoperto questa pre-apparizione dell’evento sotto il velo dell’impianto.
Bisogna cominciare ritornando alla storia dell’essere. Le diverse epoche della storia dell’essere -il differente e successivo sottrarsi dell’essere nel suo destino- sono le epoche dei diversi modi in cui la presenza si destina all’uomo occidentale. Si pensi a una di queste destinazioni, così come essa si destina all’uomo del XIX e XX secolo: in che cosa consiste?
Il modo di questa destinazione è l’oggettualità (come «essere oggetto» dell’oggetto). Ora, più la tecnica moderna si dispiega più l’oggettività si trasforma nell’essere risorsa (Beständlichkeit), in un tenersi-a-disposizione. Già oggi non c’è più nessun oggetto (nessun ente, nel senso di qualcosa che resiste di fronte a un soggetto che lo prende in considerazione), – ci sono ormai soltanto risorse (Bestände), enti che si tengono pronti per essere consumati; si potrebbe forse dire: non ci sono più sostanze, ma mezzi di sussistenza, nel senso di «riserve». Di qui la politica energetica e la politica dello sfruttamento delle risorse agricole, che effettivamente non hanno più niente a che fare con oggetti, ma, all’interno di una pianificazione generale, mettono sistematicamente ordine nello spazio in vista di uno sfruttamento futuro. Tutto (l’ente nella sua totalità) si allinea senz’altro all’orizzonte dell’utilizzabilità, del dominio o, meglio ancora, dell’ordinabilità, di ciò di cui bisogna impadronirsi. Il bosco smette di essere un oggetto (come era per l’uomo di scienza del XVIII-XIX secolo) e diviene, per l’uomo emerso finalmente nella sua vera forma di tecnico, cioè per l’uomo che vede a priori l’ente nell’orizzonte dell’utilizzazione, «spazio verde». Niente può più apparire nella neutralità oggettiva di un «di fronte». Ci sono ormai soltanto risorse: depositi, riserve, mezzi.
La determinazione ontologica della risorsa (dell’ente come riserva di materiali) non è la stabilità (la durata persistente nel tempo), ma l’ordinabilità, la costante possibilità di essere ordinato e adoperato, cioè il permanente star-a-disposizione. Nell’ordinabilità l’ente è posto come fondamentalmente ed esclusivamente disponibile, – disponibile per il consumo nella pianificazione globale.
Uno dei momenti essenziali del modo di essere dell’ente attuale (la disponibilità per un consumo pianificato) è la sostituibilità, il fatto che ogni ente diviene essenzialmente sostituibile in un gioco diventato generale, in cui tutto può prendere il posto di tutto. L’industria dei prodotti di «consumo» e il predominio del «surrogato» rendono tutto questo empiricamente manifesto.
Essere è oggi essere sostituibile. Già l’idea stessa di una «riparazione» è diventata un’idea «antieconomica». A ogni ente di consumo appartiene essenzialmente il fatto che esso è già consumato e chiede di essere sostituito. In ciò abbiamo davanti a noi una delle forme di svenimento (Schwund) del tradizionale, di ciò che viene tramandato di generazione in generazione. […] Riferito al tempo, questo carattere dà come risultato l’attualità. La durata non è più la stabilità del tramandato, ma il sempre-nuovo dell’incessante cambiamento.
[Seminari, (Vier Seminare. Zürcher Seminar), a cura di F. Volpi, trad. di M. Bonola, Adelphi 2003, pp. 140-142]

(Testo tedesco)
Versuchen wir nun, diese Vor-Erscheinung des Ereignisses unter dem Schleier des Ge-stells ins Freie zu bringen.
Der Anfang muß durch einen Rückgang auf die Geschichte des Seins gemacht werden. Die verschiedenen Epochen der Geschichte des Seins – das unterschiedliche und aufeinander folgende Sichentziehen des Seins in seinem Geschick – sind die Epochen der verschiedenen Weisen, in denen sich dem abendländischen Menschen die Anwesenheit zuschickt. Bedenkt man eine dieser Schickungen, wie sie sich im 19. und 20. Jahrhundert dem Menschen zuschickt, worin besteht sie ?
Die Art dieser Schickung ist die Gegenständlichkeit (als Gegenstandsein des Gegenstandes). Je weiter sich nun die moderne Technik entfaltet, umso mehr verwandelt sich die Gegenständlichkeit in Beständlichkeit (in ein sich-zur-Verfügung- halten) . Schon heute gibt es keine Gegenstände mehr (kein Seiendes, insofern es einem Subjekt gegenüber, das es in den Blick faßt, standhält), – es gibt nur noch Bestände (Seiendes, das sich zum Verbrauchtwerden bereit hält) ; im Französischen könnte man vielleicht sagen : es gibt keine Substanzen mehr, sondern Subsistenzmittel im Sinne von »Vorräten«. Daher die Energiepolitik und die Politik der Bodenbewirtschaftung, die es tatsächlich nicht mehr mit Gegenständen zu tun haben, sondern den Raum innerhalb einer allgemeinen Planung systematisch im Hinblick auf zukünftige Ausbeutung ordnen. Alles (das Seiende im Ganzen) reiht sich ohne weiteres in den Horizont der Nutzbarkeit, der Beherrschung oder besser noch der Bestellbarkeit dessen ein, dessen es sich zu bemächtigen gilt. Der Wald hört auf, ein Gegenstand zu sein (was er für den wissenschaftlichen Menschen des 18. und 19. Jahrhunderts war) und wird für den endlich in seiner wahren Gestalt als Techniker hervorgetretenen Menschen, das heißt für den Menschen, der das Seiende a priori im Horizont der Nutzbarmachung sieht, zum »Grünraum«. Es kann nichts mehr in der gegenständlichen Neutralität eines Gegenüber erscheinen. Es gibt nichts mehr als Bestände : Lager, Vorräte, Mittel.
Die ontologische Bestimmung des Bestands (des Seienden als Materialvorrat) ist nicht die Beständigkeit (die beständige Dauer), sondern die Bestellbarkeit, die beständige Möglichkeit, aufgeboten und bestellt zu werden, das heißt das dauernde zur-Verfügung-stehen. In der Bestellbarkeit ist das Seiende gesetzt als von Grund auf und ausschließlich verfügbar, – verfügbar für den Verbrauch in der Planung des Ganzen.
Eines der wesentlichen Momente der Seinsweise des derzeitigen Seienden (der Verfügbarkeit für einen planmäßig gelenkten Verbrauch) ist die Ersetzbarkeit, die Tatsache, daß jedes Seiende wesenhaft ersetzbar wird in einem allgemein gewordenen Spiel, wo alles an die Stelle von allem treten kann. Die Industrie der »Verbrauchs«produkte und die Vorherrschaft des Ersatzes machen das empirisch offenkundig.
Sein ist heute Ersetzbarsein. Schon die Vorstellung einer »Reparatur« ist zu einem »antiökonomischen« Gedanken geworden. Zu jedem Seienden des Verbrauchs gehört wesentlich, daß es schon verbraucht ist und somit nach seinem Ersetztwerden ruft. Darin haben wir eine der Formen des Schwundes im Uberlieferungsmäßigen vor uns, dessen was von Generation zu Generation weitergegeben wird.  […]  Auf die Zeit bezogen, ergibt dieser Charakter die Aktualität. Die Dauer ist nicht mehr die Beständigkeit des Überkommenen, sondern das Immerneue des unablässigen Wechsels.
(Seminare, «Gesamtausgabe», Band 15, herausgegeben von Curd Ochwadt, Vittorio Klostermann 1986, pp. 367-369).

Antropologia italica

Il capitale umano
di Paolo Virzì
Con: Valeria Bruni Tedeschi (Carla Bernaschi), Fabrizio Bentivoglio (Dino Ossola), Fabrizio Gifuni (Giovanni Bernaschi), Matilde Gioli (Serena Ossola), Valeria Golino (Roberta Morelli), Luigi Lo Cascio (Donato Russomano), Bebo Storti (l’ispettore), Gianluca Di Lauro (il ciclista), Giovanni Anzaldo (Luca Ambrosini), Gugliemo Pinelli (Massimiliano Bernaschi)
Italia, 2014
Trailer del film

Capitale_umano_Dino_OssolaLe parole sono il mondo, si sa. Definire un ente e un evento in una maniera o in un’altra significa conferirgli una diversa realtà. Nell’epoca dell’ultraliberismo vincente e di sinistra -da almeno vent’anni- uomini e donne che lavorano sono diventate delle risorse umane, la fine dei finanziamenti a fondamentali bisogni sociali si chiama spending review, la subordinazione della politica alla finanza ha preso il nome di governamentalità, le più squallide operazioni di potere e una miriade di intrallazzi vengono definite responsabilità. E così via nello schifo che soltanto il servilismo dei giornali e dei giornalisti di proprietà delle banche e dei partiti può trasformare in profumo.
Questo in tutto l’Occidente e, di fatto, nel mondo. In Italia, solita fortunata, si aggiunge da vent’anni la presenza di un bandito ricattato e ricattatore, le cui televisioni -come Pasolini ben aveva previsto- hanno trasformato non soltanto il vivere sociale ma assai più a fondo l’antropologia di questo popolo, il quale possedeva già comunque tutte le condizioni per diventare ciò che è. Tale popolo ha infatti per due volte nello stesso secolo dato credito e gloria a due scaltri buffoni carismatici come Mussolini e Berlusconi. Il risultato è un modo di esistere e di pensare che il film di Virzì ben esprime attraverso una storia brianzola (la Brianza di Carlo Emilio Gadda!) intrisa di ferocia, di tracotanza, di culto verso il denaro, di dissoluzione di ogni legame sociale, di provincialismo e soprattutto di volgarità. Una volgarità culturale (nel senso antropologico) incarnata da due magnifici attori che interpretano -rispettivamente- la cialtroneria del piccolo imprenditore che vuole diventare ricco in poco tempo (Dino Ossola) e l’elegante spietatezza di uno squalo della finanza (Giovanni Bernaschi).
Assistendo alla progressiva parabola discendente di questi e degli altri personaggi ho goduto, augurando a tutti i loro emuli e consimili nella vita reale il medesimo destino.  Il loro personale «lieto fine» con il quale il film si chiude è, certo, l’ammissione della sconfitta di una giustizia più alta di quella del diritto, l’ammissione del fatto che «sulla terra è la volgarità che è immortale» (J. Burckhardt, Sullo studio della storia, Boringhieri 1958, p. 214) ma è anche la conferma della nullità assoluta di queste vite, degne soltanto di disprezzo. Lo stesso disprezzo che meritano gli italiani.

 

Campi di sterminio, sterminio dei campi

La prima apparizione pubblica di Martin Heidegger dopo la Seconda guerra mondiale avvenne a Brema nel 1949, con un ciclo di conferenze dal titolo Einblick in das was ist (Sguardo in ciò che è). Di Heidegger è peculiare che dalle tesi apparentemente più astratte derivi al lettore una comprensione precisa, efficace e disvelante della vita quotidiana, degli aspetti fondamentali dell’esistenza individuale e collettiva. Heidegger ha individuato con chiarezza la trasformazione del mondo in un impianto (Gestell) la riduzione delle persone a risorse umane, funzionali alla produzione e sostituibili a ogni istante.
È di questo che mi sono ricordato leggendo un interessante e drammatico articolo apparso sulla rivista Indipendenza. Nel numero 33 (novembre/dicembre 2012) Gianni Sartori analizza i progetti di ulteriore colonizzazione del territorio vicentino da parte dell’esercito statunitense, in particolare il pericoloso programma di ampliamento per scopi militari dell’autostrada A31 in una zona ad alto rischio franoso. Contro tale progetto le popolazioni si sono mobilitate, come in Val di Susa. Tra gli oppositori vi è l’Associazione Coltivatori Diretti, che in un suo comunicato scrive: «Dopo i campi di sterminio la civiltà dell’industria ha determinato lo sterminio dei campi agricoli» (p. 28). L’articolo così prosegue: «E non sembri solo un gioco di parole. I contadini della Val d’Astico sanno di cosa parlano. La Valle ha ben conosciuto sia gli eccidi nazisti (come a Pedescala) che le deportazioni nei campi di sterminio. Non è un caso che Cogollo del Cengio sia gemellato con Mauthausen».
Ebbene, in un brano della conferenza del 1949 -che è stato rimproverato a Heidegger come espressione della sua insensibilità verso le tragedie del Novecento- il filosofo sostiene la continuità tra lo sterminio dei Lager e la distruzione delle risorse naturali del pianeta, senza le quali la vita va scomparendo dalla Terra:

Il lavoro del contadino non provoca il terreno, bensì affida la semina alle forze della crescita, proteggendola nel suo allignare. Nel frattempo, tuttavia, anche la lavorazione della terra si è convertita nel medesimo ordinare che assegna l’aria all’azoto, il terreno al carbone e al minerale metallifero, il minerale all’uranio, l’uranio all’energia atomica e quest’ultima a una distruzione che può essere ordinata. L’agricoltura è oggi industria alimentare meccanizzata, che nella sua essenza è lo Stesso (das Selbe) della fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas e nei campi di sterminio, lo Stesso del blocco e dell’affamamento di intere nazioni, lo Stesso della fabbricazione di bombe all’idrogeno.
(Conferenze di Brema e Friburgo, volume LXXIX della Gesamtausgabe, a cura di P. Jaeger, edizione italiana a cura di F. Volpi, trad. di G. Gurisatti, Adelphi, 2002, pp. 49-50)

Vi è qui la conferma che un grande pensare è capace di comprendere, al di là delle contingenze, il terreno nel quale affondano le radici invisibili degli eventi.

Louise – Michel

di Gustave Kervern, Benoît Delépine
Francia, 2008
Con: Yolande Moreau (Louise), Bouli Lanners (Michel)
Trailer del film

louisemichel

Una piccola fabbrica della Piccardia chiude all’improvviso dopo che i responsabili hanno invece assicurato che “si va avanti”. Con i 2000 euro a testa di liquidazione alcune operaie decidono di pagare un sicario che uccida “il padrone”. Louise -che è stata per lunghi anni in galera- si occupa di trovare il killer giusto. La scelta cade su Michel, un improbabile “manager della sicurezza”. I due -dall’identità sessuale piuttosto ondivaga e le cui esistenze sono state assai tristi- girano per l’Europa alla ricerca di un padrone che si rivela sempre più inafferrabile, etereo, un puro nome senza soggettività.

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