Dopo la pubblicazione del mio breve intervento sulla Russia un amico che conosce la lingua di quel Paese e i suoi social network mi ha confermato che «la libertà e durezza dei commenti sugli account ufficiali russi contro il governo o suoi rappresentanti qui probabilmente porterebbe la digos in casa».
Come si vede dal gravissimo episodio di Desio (Provincia di Monza e Brianza), queste parole sono vere alla lettera. In Italia non è lecito criticare persino i governi di altri Paesi, persino gli evidenti genocidi da essi perpetrati. La società occidentale respira sempre più a fatica e i suoi membri vanno diventando semplice carne da obbedienza.
Lo avevo previsto (ma era facile) in un intervento del luglio 2021, dal titolo Il piano inclinato.
Carcere
Aldous, 11 giugno 2023
Pagine 1-2
Gli esperimenti di psicologia sociale condotti da Philip Zimbardo e da altri studiosi hanno confermato che, se vengono dotati di una divisa e investiti di una qualche autorità ‘superiore’, gli esseri umani diventano molto facilmente i torturatori e i carnefici dei propri simili. Zimbardo denominò tale dinamica «effetto Lucifero»: una completa deindividualizzazione tramite la quale ciascuno scarica sul gruppo la responsabilità di ogni azione, anche la più violenta. Nell’Italia e nell’Europa ‘democratiche’ si sono visti non soltanto poliziotti, vigili e carabinieri ma anche centinaia di migliaia di cittadini trasformati in controllori del lasciapassare sanitario, reclutati in ogni organizzazione pubblica e privata; si sono visti tutti costoro svolgere con entusiasmo e severità il proprio compito di impedire ad altri cittadini l’accesso ai più svariati luoghi di vita. Si è vista l’Italia trasformata in un carcere/confino a cielo aperto.
Nonostante tutto questo, milioni di cittadini sono riusciti a evadere dal carcere orwelliano nel quale le autorità politico-sanitarie hanno cercato di rinchiuderci. Sono loro ad aver salvato ancora una volta il diritto della persona, ad aver salvaguardato i corpi dei cittadini dal Modelo 77.
Categories Mostre
Il carcere, i sogni, la forma
Luisa Lambri
Autoritratto
A cura di Diego Sileo e Douglas Fogle
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Zehra Doğan
Il tempo delle farfalle
A cura di Elettra Stamboulis
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea – Milano
Sino al 17 settembre 2021
Situazioni, contesti, luoghi, diversi. Tragici quelli di Zehra Doğan, artista curda rinchiusa nelle prigioni turche. Più liberi quelli di Luisa Lambri.
L’Autoritratto di quest’ultima è un dialogo fitto e costante con altri artisti, architetti, fotografi. Un dialogo anche e soprattutto con l’intero che non dipende dall’umano -la natura- e l’intero dall’umano costruito: i luoghi urbani, gli edifici, le opere. Si susseguono così alberi luminescenti dentro l’aria a formare una serialità vegetale che sprofonda dentro i rami e nella luce, ai quali si accompagnano fotografie che con strumenti molto semplici scavano volumi nello spazio, profondità nella materia. Case e finestre diventano trapezi e quadrati, si trasformano in righe dentro le quali oscillano colori fatti d’aria. E alla fine natura e artificio vengono ibridati in prismi che riflettono, rifrangono e moltiplicano la forza sottile e potente della visione, la sua forma.
Zehra Doğan nel febbraio del 20217 a causa della pubblicazione di un disegno su Twitter durante l’attacco dell’esercito turco a Nusaybin venne arrestata e condannata a 2 anni e 9 mesi di prigione. Qui crea Il tempo delle farfalle utilizzando asciugamani, imballi di cartone, carta stagnola, avanzi alimentari, sangue mestruale, fondi di te e di caffè. E con questi strumenti cerca di dare voce ai sogni, a ciò che rimane -come lei stessa afferma- quando ogni immagine, libro, rivista è preclusa dentro un muro, dentro l’esclusione, la discriminazione, la violenza imposte per il bene di una qualche comunità, per il bene degli altri. Almeno questa è la costante tiritera dell’autorità, questa la sua «fake news», questa la sua menzogna. Da sempre e ora e ancora e ovunque.
Il carcere, i sogni, la forma.
Potenza e limiti della Teoria critica
in Dialoghi Mediterranei
Numero 48, marzo-aprile 2021
Pagine 478-487
Indice
-Adorno e Horkheimer, la dialettica
-Adorno, la potenza
-Adorno, i limiti
-Marcuse, l’utopia
-Lo spettacolo, la realtà, il simulacro
La Teoria critica è un segno negativo di resistenza assai più che un’apertura totalistica verso il Sole dell’avvenire. La scrittura di Adorno è essa stessa un segno della irriducibilità del suo pensiero a ogni ovvietà, alla strumentalizzazione del semplice, alla complicità con la preponderanza del numero. Uno dei suoi meriti maggiori consiste nel vedere la barbarie che pulsa al cuore del sentimentalismo moderno, dell’umanesimo antropocentrico, dell’adulazione verso le masse, del culto per il semplice. Tutti elementi, questi, nei quali «un umanesimo radicale porta con sé la minaccia latente dell’imperialismo della specie, il quale ritorna infine a perseguitare le stesse relazioni umane».
Dialettica dell’Illuminismo non è soltanto un classico della sociologia filosofica del Novecento ma è anche una sorta di avviso sempre vivo su come sia possibile che dalle migliori intenzioni, da una razionalità senza incertezze, si possa generare una tonalità individuale e collettiva che conduce a forme politiche fortemente autoritarie, ai fascismi, alle tecnocrazie neoliberiste.
La dimensione dialettica che pervade anche la riflessione di Marcuse rivela subito la dinamica hegeliana della contraddizione che oltrepassa lo stato di cose esistente verso esiti tra loro diversi. La stessa Ragione che può liberare dal bisogno e dal male può anche asservire a nuovi bisogni, a nuovi mali. Per Marcuse il filosofo non è un medico, non ha il compito di guarire gli individui ma ha il dovere di comprendere il mondo in cui essi vivono, capire la realtà che hanno costruito. E però la filosofia non sorge sul far del crepuscolo, non si limita a prendere atto del reale. Il fatto stesso di comprenderlo è l’inizio del superamento. Questa dimensione propulsiva del sapere è per Marcuse assente da posizioni come quelle neopositiviste e analitiche, nello scientismo riduzionistico e nelle filosofie del linguaggio che si limitano a consacrare il dominio dei luoghi comuni.
Per parafrasare Horkheimer e Adorno, la terra tutta virtuale splende all’insegna di sventurata realtà. La vita è diventata riproduzione di figure dietro e dentro le quali non si dà nulla se non la perpetuazione del dominio di chi possiede gli strumenti della rappresentazione rispetto a chi non li detiene.
Baudrillard sintetizza tali dinamiche della politica contemporanea nella formula dura ma efficace «della leucemizzazione di tutta la sostanza sociale: sostituzione del sangue con la linfa bianca dei media». Coinvolti in questa leucemizzazione, i partiti e i sindacati “rappresentanti dei lavoratori” sono in realtà diventati i loro nemici e il segno monetario si disconnette «da qualsiasi produzione sociale: esso entra allora nella speculazione e nell’inflazione illimitata». È esattamente quanto sta accadendo negli anni Venti del XXI secolo.
Inti-Illimani
El pueblo unido jamás será vencido
(Sergio Ortega-Quilapayún, 1970 – Esecuzione: Víctor Jara Sinfónico, 2019)
Ciò che pulsa e si esprime in questo video dal febbraio 2020 è sparito, non è più possibile, si è dissolto nella paura che pervade l’intero corpo collettivo. Le autorità non hanno creato l’epidemia da Sars2 ma certamente sanno bene come utilizzarla a fini reazionari.
Uno dei fatti più interessanti e più drammatici è che cittadini, partiti, intellettuali che pensano di essere ‘di sinistra’ o anche soltanto ‘progressisti’ sembrano non aver compreso che quanto sta accadendo è uno dei più potenti dispiegamenti della repressione e dell’antisocialità che la storia contemporanea abbia visto.
Il risultato del coacervo di miopia, terrore, ingenuità è una «‘vita’ spogliata delle sue libertà uccise dal liberismo», è il «lockdown dell’anima», è la «smaterializzazione della vita» (Eugenio Mazzarella, Dopo la pandemia: due riflessioni. L’ecumene che ci serve. Salvare la ‘presenza’, in «Pandemia e resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19», Edizioni Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma 2020, pp. 85-89) e quindi è di fatto la negazione dei presupposti biologici, sociali, relazionali, olistici, della ‘salute’.
Viene progressivamente cancellata la centralità dei corpi che abitano insieme lo spazio reale, il mondo degli atomi e non quello ingannevole e astratto dei bit. Una compiaciuta apologia della distanza sta distruggendo il corpo sociale e ogni sua residua possibilità di ribellione.
L’autentico significato degli ordini sanitari e securitari che da 14 mesi ci vengono imposti sta nell’isolamento, che è il vero e mai dismesso sogno del liberismo individualistico, del soggetto che fa tutto chiuso in una stanza davanti al suo monitor: relazioni, film, conoscenza, scuola, università, acquisti, sesso, tempo libero.
Sta vincendo non soltanto l’idea ma proprio la sensazione fisica profonda e sempre più interiorizzata che l’altro costituisca un rischio, un morbo, un infetto da tenere lontano di uno, due, tre metri; da incontrare senza volto dietro le maschere/museruole; da non toccare mai e dal quale mai essere toccati. In una condizione così artificiosa, lugubre, autoritaria, ogni possibilità di unirsi per rivendicare, protestare, rimanere liberi è chiaramente dissolta. È il sogno di ogni potere autoritario. È questo sogno che si va realizzando sotto i nostri occhi ormai complici, distratti, rassegnati.
Contro questo sogno reazionario, contro questo incubo della dissoluzione della vita umana che è vita politica, il mio auspicio è che «de pie cantar que el pueblo va a triunfar».
El pueblo unido jamas sera vencido,
El pueblo unido jamas sera vencido!
De pie, marchar que vamos a triunfar.
Avanzan ya banderas de unidad,
Y tu vendras marchando junto a mi
Y asi veras tu canto y tu bandera
Al florecer la luz de un rojo amanecer
Anuncia ya la vida que vendra
De pie, luchar,
Que el pueblo va a triunfar.
Sera mejor la vida que vendra
A conquistar nuestra felicidad
Y en un clamor mil voces de combate
Se alzaran, diran,
Cancion de libertad,
Con decision la patria vencera
Y ahora el pueblo que se alza en la lucha
Con voz de gigante gritando: Adelante!
El pueblo unido jamas sera vencido,
El pueblo unido jamas sera vencido!
La patria esta forjando la unidad
De norte a sur se movilizara,
Desde el salar ardiente y mineral
Al bosque austral,
Unidos en la lucha y el trabajo iran
La patria cubriran.
Su paso ya anuncia el porvenir.
De pie cantar que el pueblo va a triunfar
Millones ya imponen la verdad.
De acero son, ardiente batallon.
Sus manos van, llevando la justicia
Y la razon, mujer,
Con fuego y con valor,
Ya estas aqui junto al trabajador.
Y ahora el pueblo que se alza en la lucha
Con voz de gigante gritando: Adelante!
El pueblo unido jamas sera vencido,
El pueblo unido jamas sera vencido!
[Questo testo è stato pubblicato su corpi & politica e su girodivite.it]
Dal sito notav.info
4 maggio 2014
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Pubblichiamo qui di seguito la lettera scritta dalla mamma di Mattia, uno dei 4 giovani No Tav ancora detenuti in carcere con l’assurda accusa di terrorismo e in regime di massima sicurezza.
Questa lettera giunge a pochi giorni dalla manifestazione No Tav che è stata convocata a Torino il 10 maggio e che chiederà l’immediata liberazione di Mattia, Chiara, Claudio e Nicolò e di tutte le persone ancora sottoposte a restrizioni della libertà personale.
Carissimo figlio, perdonami se rendo pubblica questa lettera, ma ciò che ci accade non appartiene solo a noi.
Tra pochi giorni sono cinque mesi che sei chiuso in carcere, tanta vita rubata. Sono centocinquanta lunghi giorni e centocinquanta lunghe notti di angoscia.
Ti chiedo sempre di tenere duro, ma sono io che non ho più la forza. L’amarezza a tratti mi sommerge, lo sdegno mi ferma il respiro. Mi sveglio di soprassalto ogni notte e nel silenzio mi sembra di poterti raggiungere nell’isolamento atroce in cui ti costringono. L’idea di vivere in un paese che permette che questo accada mi ripugna. Sono oscene queste maschere del potere interessate solo alle loro poltrone e ai loro portafogli. La corruzione in Italia è spaventosa, la politica ha perso qualsiasi ideale di giustizia e di uguaglianza.
E per voi giovani non c’è nulla, il vostro futuro è stato depredato da chi oggi vi giudica..né lavoro, né aria che si possa respirare, né terra pulita, né libertà. Dovete tacere , dovete subire, altrimenti essere incarcerati.
Carissimo Mattia, perché ti abbiamo insegnato il dovere di dissentire, di ribellarti davanti alle ingiustizie? Perché ti abbiamo trasmesso l’amore per l’umanità e per la Terra?
Non era meglio lasciarti crescere cullato dalla edificante “cultura” offerta dal nostro Paese negli ultimi vent’anni?
Sono certa che risponderai no, che preferisci mille volte essere chi sei e dove sei piuttosto che adeguarti a questo spettacolo raccapricciante offerto da chi esercita l’abuso di potere applaudendo gli assassini di Aldrovandi, rispondendo con i manganelli e la prigione ai movimenti popolari che nascono sulle necessità reali della gente, ignorate da chi dovrebbe cercare e trovare delle risposte.
Carissimo figlio, sabato 10 saremo tutti a Torino alla manifestazione contro la barbarie dell’accusa di terrorismo, contro la devastazione della Val di Susa, per la libertà di dissenso, per il diritto degli italiani a una esistenza dignitosa.
Ci saremo tutti e saremo tanti.
Manifesterò tutto l’amore che provo per te, ma anche per Claudio, Chiara e Niccolò e la promessa è di non smettere mai di lottare fino a quando non vi riporteremo a casa.
Un abbraccio, mamma
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Fonte: Lettera della mamma di Mattia
Diaz
di Daniele Vicari
Italia, 2012
Con: Jennifer Ulrich (Alma Koch), Claudio Santamaria (Max Flamini), Elio Germano (Luca Gualtieri), Ralph Amussou (Etienne), Renato Scarpa (Anselmo Vitali), Mattia Sbragia (Armano Carnera)
Trailer del film
C’è qualcosa che non funziona se le riunioni dei capi dei Paesi democratici si tengono in città blindate e in stato d’assedio. Funziona ancora meno se in una di queste città -Genova, luglio 2001- i servizi segreti permettono l’afflusso di gruppi militarizzati. E smette del tutto di funzionare se centinaia di poliziotti in assetto di guerra irrompono di notte in una scuola dove dormono giovani e meno giovani e picchiano selvaggiamente, ripetutamente, fanaticamente gli ospiti inermi. Non contenti, portano ragazzi e ragazze nella caserma di Bolzaneto e li torturano.
La verità, però, è che tutto questo ha funzionato benissimo. Perché ha applicato l’indicazione di Mao Zedong di “colpirne uno per educarne cento”. Da allora, infatti, i movimenti di protesta sono stati più rari e più prudenti. Le persone ci pensano più di una volta prima di rischiare la vita e le ossa sotto i tonfa dei poliziotti.
Poliziotti che hanno fatto il loro mestiere di servi dei poteri criminali che a Genova stabilirono la politica economica ultraliberista che ci sta portando alla rovina. Le violenze e le torture del 2001 vennero decise a freddo dai capi di governo e dai padroni delle banche in vista di una strategia di repressione del pensiero critico tramite una vecchia tattica che gli stati utilizzano da almeno due secoli: infiltrarsi, provocare, diffondere il terrore, reprimere.
Di tutto questo Diaz racconta con efficacia la brutale azione dei servi ma tace quasi del tutto sulle volontà dei padroni. Non compaiono nemmeno i reali nomi dei poliziotti che sono stati condannati per lesioni, falsa testimonianza, violenza privata (in Italia il reato di tortura non esiste). Non compaiono i responsabili politici -Scajola ministro degli Interni; Fini, vicepresidente del consiglio presente non si sa a che titolo nella sala operativa della Questura nei giorni del G8; Castelli ministro della giustizia presente a Bolzaneto la notte delle torture. Compare solo un filmato nel quale Silvio Berlusconi recita le sue consuete menzogne anche sui fatti di Genova.