Gramsci ha ragione: i popoli e gli stati si conquistano soprattutto con l’elemento in parte immateriale costituito dalle idee, dalle parole, dalle culture. L’american way of life è stato imposto all’Europa non con le armi vittoriose della Seconda Guerra Mondiale ma con gli strumenti dello spettacolo: fumetti, oggetti d’uso quotidiano, cinema, televisione. Lo stile di molti film hollywoodiani è fatto di una «frenesia visuale [che] ha il vantaggio di inibire ogni difesa immunitaria, in questo caso ogni forma di spirito critico, cosicché il messaggio ideologico viene distillato in modo subliminale, il che ne facilita l’interiorizzazione» (de Benoist in Diorama letterario 329, p. 11). Allo stesso modo, molti Social Network costituiscono un pensiero della trasparenza fatto di «uno scatenamento narcisistico che va sempre più verso il denudamento. Il gusto per la confessione intima, la tele-realtà, l’architettura di vetro, la moda degli abiti leggeri, l’instaurazione dell’ ‘open space’ nelle imprese vanno nella medesima direzione. Voyeurismo e esibizionismo si alimentano reciprocamente mentre i poteri pubblici registrano i dati. C’è in ciò qualcosa di osceno, nel senso proprio del termine. Quando non si nasconde niente, c’è pornografia. L’esibizione di sé, così come l’ingiunzione a non ‘celare’ mai niente, è una forma di pornografia. […] Così come il segreto è uno degli attributi della libertà, l’opacità è la condizione stessa della vita privata. […] La tirannia della trasparenza si avvicina allora alla polizia del pensiero» (Id., p. 17). Ben al di là delle sue forme e apparenze amicali e coniuganti, tutto questo esprime l’estensione del dominio liberista della lotta «a tutte le età della vita e a tutte le classi sociali» (Zavaglia, ivi, p. 31) poiché consiste in un lavoro gratuito a favore delle grandi aziende informatiche, lavoro del quale i suoi workers non sono neppure consapevoli.
Stadio contemporaneo della guerra di tutti contro tutti, l’economia digitale è una delle strutture dominanti del capitalismo globalizzato, a proposito del quale vale sempre più la questione «della progressiva sconnessione tra il sistema capitalista e la vita umana» (de Benoist, 14). La globalizzazione ha distrutto il progetto europeo, facendolo diventare una struttura soltanto mercantile e ‘umanitaria’, umanitaria in quanto mercantile. Dato che «la creazione dello spazio Schengen presupponeva che l’Unione europea assicurasse il controllo delle proprie frontiere esterne» e questo non è accaduto -sia per la forza dell’impatto dei flussi migratori sia per l’interesse del capitale ad avere un esercito industriale di riserva-, il risultato attuale è che «lungi da proteggere gli europei dalla globalizzazione, l’Unione europea è così diventata uno dei suoi principali vettori» (Id., 12), generando le spinte populiste alla difesa dell’identità europea. La necessaria opposizione al TTIP –Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti– costituisce il vero criterio di demarcazione attuale tra quanti operano per un sistema equo di distribuzione della ricchezza e quanti optano per gli interessi delle classi dirigenti ultraliberiste.
Epifenomeno di tutto questo è la dissoluzione della sinistra italiana nel Partito della Nazione il quale, anche se non esiste ancora come sigla, di fatto governa nelle opzioni politiche ed economiche dell’attuale esecutivo. Probabilmente non sarà neppure necessario «cambiare nome a un partito che, nelle sue strutture di comando a vari livelli [Renzi] ha forgiato a propria immagine e somiglianza: senza un’identità, disancorato dalla sinistra ma ancora in grado di contare sia a livello parlamentare che fra gli elettori su una cospicua pattuglia di ‘fedeli alla sigla’ -essendo la ‘linea’ perduta da un pezzo- che, pur tra infiniti tormenti, mai e poi mai rovescerebbero la barca che continua a trasportare i loro sogni di gioventù» (Tarchi, ivi, p. 20).
Nel periodo natalizio sono apparsi dei manifesti con la seguente scritta: «Non è festa senza i marò liberi. L’Italia alzi la voce». Firmato: ‘Alleanza Nazionale’. Dunque non ci sarebbe stata festa per l’intero popolo italiano senza la rinuncia da parte dell’India a processare due militari accusati di un odioso e gratuito omicidio di classe e di etnia. Dalle loro ben protette navi militari, infatti, costoro avrebbero sparato a degli inermi pescatori indiani.
Nulla invece è stato detto, da parte di questi così solerti ‘patrioti’, sull’orribile morte preceduta da efferate torture di Giulio Regeni, un giovane ricercatore massacrato dalle squadre della morte agli ordini del governo militare egiziano. Anche Regeni era un italiano ma mentre i due che conducono una tranquilla e dispendiosa vita ‘rinchiusi’ in alberghi indiani di lusso (a spese dei nostri contribuenti) sono dei militari, Regeni era un intellettuale, uno studioso, un uomo che cercava di capire con gli strumenti scientifici le modalità e le strutture della dittatura egiziana guidata dal generale Abd al-Fattah al-Sisi.
Dittatura nata dall’inganno -fomentato dalla Nato- delle cosiddette ‘primavere arabe’. Dittatura esaltata -come quella dell’Arabia Saudita e altre- dall’abominevole presidente del consiglio e segretario del Partito Democratico. È con i massacratori egiziani che il nostro Paese dovrebbe «alzare la voce». Ma alla spregevole destra italiana, che sia quella degli eredi del fascismo o quella tecnocratico-americanista del Partito Democratico, non interessano gli uomini liberi, non interessano le vittime di un potere dittatoriale come quello dell’alleato egiziano. Interessa invece la difesa degli assassini in uniforme.
Anche per questo il patriottismo delle destre è infame.
Ho ricevuto un documento, che non è ancora stato reso pubblico, nel quale vengono enunciati alcuni dei criteri meritocratici che andranno, con gradualità, a sostituire quelli attuali; criteri in base ai quali saranno assunti i nuovi docenti universitari e quelli già in ruolo otterranno aumenti di stipendio e avanzamenti di carriera. Il quotidiano Sicilia Journal ha ospitato ieri un mio articolo in merito: Verso nuove vette della conoscenza. La nuova università meritocratica
«Il governo Renzi sarà ricordato per l’istituzione del ‘preside manager’, una figura di padre-padrone dotato del potere di chiamata diretta dei docenti, ma anche di quello di conferire un aumento stipendiale, dopo avere consultato gli organi del suo istituto. Lì dove non è riuscito Berlusconi e Gelmini, con il Ddl Aprea, lì è arrivato il governo guidato dal Pd che realizza un vecchio sogno ricorrente: quello di una scuola compiutamente aziendalista, gerarchica e produttivistica. Ma non basta: a questo dirigente dotato di super-poteri verrà concessa la parola finale sulla formazione dei docenti che avverrà nell’istituto dove lavora» (Roberto Ciccarelli, il manifesto, 13.3.2015). Sì, è un altro dei progetti berlusconiani che il Partito Democratico va realizzando, uno dei più importanti e dalle conseguenze di lunga durata.
Per comprendere in quali forme e sino a che punto sia autoritario il progetto illustrato dal governo del PD-Nuovo Centrodestra è utile il quadro sinottico pubblicato su repubblica. Basta guardarlo per capire come i presidi posti a capo delle scuole italiane durante il regime del Partito Nazionale Fascista fossero meno potenti dei Dirigenti Scolastici voluti dal Partito Democratico e dai suoi ministri. Non sono pochi, dunque, coloro che pur avendo militato nella sinistra antiautoritaria -compresi molti militanti del ’68 e di Lotta Continua- ora sono zitti e pronti a sostenere o almeno ad accettare una scuola peggiore di quella fascista. Dov’è adesso chi chiedeva a D’Alema di ‘dire qualcosa di sinistra’? È un’intera generazione ‘di sinistra’ che trova il proprio totale fallimento in questo grave progetto di subordinazione delle scuole alla volontà e all’arbitrio di un singolo soggetto.
Ho insegnato per molti anni nei Licei e ho conosciuto numerosi presidi; se uno di essi –un preside del Liceo Beccaria di Milano– avesse avuto i poteri che ora gli vengono attribuiti, la mia presenza in quella scuola sarebbe stata impossibile; invece che portarmi in tribunale -come fece- costui mi avrebbe semplicemente licenziato. Altri casi sono illustrati in un libro del 2012 dal titolo Presidi da bocciare?. Ma la realtà del mobbing, del condizionamento, del ricatto è nelle scuole assai più pervasiva di quanto tali testimonianze indichino. In un clima di questo genere non è ovviamente possibile educare davvero i ragazzi. È possibile solo trasmettere loro ipocrisia, individualismo, sfrenata competizione. Vale a dire alcuni dei valori del Partito Democratico di Renzi. L’Università -forse a causa anche della sua tradizione secolare- rimane più democratica. I direttori dei Dipartimenti (i vecchi presidi di Facoltà) vengono infatti eletti dall’intero corpo docente. Ed è quanto si dovrebbe fare anche nelle scuole. Esattamente l’opposto di «questa trasformazione genetica delle forme democratiche nella scuola», una degenerazione del tutto coerente con l’estremismo liberista al quale l’intera politica italiana è subordinata.
Il governo del Partito Democratico sarà ricordato anche per aver istituzionalizzato le pratiche così descritte da Dario Generali: «La loro miserabile benevolenza viene concessa non ai docenti migliori e più qualificati, che appaiono sempre troppo autonomi e pericolosi, in quanto non controllabili, ma a chi sostiene l’aspirante despota nel proprio ruolo, mostrando deferente sottomissione» («Presidi e stato di diritto», in Presidi da bocciare?, a cura di Augusto Cavadi, Di Girolamo Editore, Trapani 2012, p. 101).