Arcore o le 120 giornate di Sodoma
Non c’è nulla di politico se non nel significato radicale, nel senso della rivelazione di quale sia la natura più fonda del potere autoritario, che consiste -come Freud, Reich, Foucault hanno mostrato- in un complesso bisogno di possesso dei corpi. Quello che c’è di giudiziario è lampante (una sintesi si trova qui). Si tratta soprattutto di un caso clinico e antropologico. Clinico per il protagonista, che non è soltanto «un individuo dal losco passato e dal losco presente» (Barbara Spinelli) ma che è anche un soggetto evidentemente e gravemente malato, tecnicamente folle perché ormai del tutto fuori dalla realtà. Antropologico poiché una tale follia non potrebbe mantenere un individuo al potere se non ci fosse a sostenerlo il carattere di un intero popolo, una pletora di istituzioni, giornali, televisioni, chiese, gruppi e persone di varia natura e interessi. Un mondo, questo, che la visionarietà di Pasolini seppe descrivere nel più gelido e insostenibile dei suoi film. Certo, nulla è rimasto del tragico che intesse Salò. Degli escrementi è permaso soltanto il grottesco, ma esso è dilagato ovunque.