Skip to content


Augusto Cavadi su Animalia (2)

Augusto Cavadi
La questione animale e la critica all’antropocentrismo
in Dialoghi Mediterranei, n. 46 – Novembre 2020

Il testo sul sito della rivista
Il testo in pdf

Dopo un articolo nel quale discuteva il volume all’interno di un più ampio scenario, Augusto Cavadi è tornato su Animalia con un testo incentrato sul libro.
L’autore osserva che «c’è però chi ritiene che la questione animale costituisca non un capitolo a sé stante, isolato e isolabile, bensì una tematica trasversale a molte questioni ritenute prioritarie, dall’equilibrio ecologico alla salvaguardia di un livello medio di salute pubblica; e che, forse, la violenza della specie umana nei confronti delle altre specie animali costituisca una sorta di palestra per addestrarsi a tutte le altre forme di violenza (sessista, razzista, bellica…). Chi si convinca di ciò imbocca una seconda via, più impegnativa e dunque meno affollata, per ridurre lo scarto fra pensieri-sentimenti, da un lato, e azioni effettive, dall’altro: la strada di una riflessione critica approfondita che favorisca vere e proprie ‘con-versioni’ del proprio modo di vedere il mondo e di indirizzare, in conseguenza, le proprie opzioni etiche di fondo. Certo, anche in questa ipotesi, occorrerà fare i conti con le proprie resistenze psicoanalitiche e, ancor più semplicemente, con l’attaccamento ai molteplici vantaggi del dominio specista: ma, almeno, non si potrà contare sulla complicità di idee vaghe e di teorie nebulose.
Tra i numerosi testi che soccorrono in questa ‘re-visione’ complessiva si è inserito, con un timbro forte e originale, Animalia (Villaggio Maori Edizioni, Valverde-Catania 2020) di Alberto Giovanni Biuso. Il volume (che, detto per inciso, è molto curato dal punto di vista editoriale ed elegante tipograficamente) si impernia su alcuni teoremi intorno ai quali si snocciolano vari corollari».

Tra i teoremi Cavadi individua: il dispositivo teoretico di Identità e Differenza; la critica alle varie forme di teocentrismo e antropocentrismo; il conseguente rifiuto delle concezioni che postulano un salto ontologico tra animalità e umanità. Le riserve partono invece dal fatto che «se qualcosa si può rimproverare, è di voler dimostrare troppo», nel senso che «per ragioni per così dire strategico-pedagogiche, ritengo che in questo genere di imprese sarebbe opportuno distinguere i tabù da abbattere dalle motivazioni per cui riteniamo che si debbano abbattere e soprattutto dalle alternative che proponiamo». E invece «è proprio questa differenza di piani, di registri argomentativi, che non ho colto nel discorso di Biuso. Così esso si offre, un po’ monoliticamente, come un pacco ben confezionato da accettare o da rifiutare in blocco. Col rischio, purtroppo assai probabile, che – insieme alle sue tesi problematiche – vengano respinte dal lettore anche le sue tesi più cogenti».
Cavadi entra nel dettaglio di queste riserve con argomentazioni che consiglio di leggere direttamente dalla sua articolata analisi critica. Qui aggiungo invece il testo della lettera che ho inviato ad Augusto all’uscita della recensione e che lo stesso destinatario ha già reso pubblica sul suo sito.

«Ho letto la recensione ad Animalia e ti ringrazio molto per essere tornato sul libro con un approfondimento teoretico e critico. Ho molto apprezzato il riferimento all’ontologia medioevale e a Spinoza, la spiegazione del principio biocentrico, gli accenni alla sperimentazione/tortura degli animali nei laboratori.
Temo invece di non essere stato abbastanza chiaro su alcuni aspetti epistemologici. Il brano di Wilson che citi è uno dei tanti nei quali questo biologo espone la sua tesi NON riduzionistica. Infatti il brano continua in questo modo: “I geni e la cultura sono dunque collegati in modo inscindibile. Ma il collegamento è flessibile, in termini finora quasi del tutto incommensurabili. Ed è nel contempo tortuoso”.
Quando Wilson parla di riconduzione di ogni accadere alle “leggi della fisica” enuncia il banale asserto secondo cui ogni fenomeno materiale è sottoposto alle leggi di gravitazione, inerzia, impenetrabilità dei corpi e così via. E altro non potrebbe pensare, anche per il fatto che non è un fisico ma uno dei maggiori sociobiologi contemporanei.
In ogni caso, e al di là di Wilson o di chiunque altro, tu stesso osservi giustamente che nel libro “si afferma con forza l’inscindibilità del corporeo e del mentale, del fisico e dello psichico”. Ed è questa, per l’appunto, la mia posizione: un materialismo non riduzionistico che ritiene la materia una e insieme molteplice. E che è molto attento a salvaguardare sia ontologicamente sia epistemologicamente le differenze. Non citerei mai, condividendolo, uno scienziato o un filosofo che riduca la psicologia alla biologia, la biologia alla chimica, la chimica alla fisica. Proprio perché il riduzionismo è l’opposto concorde del dualismo. Il primo elimina la differenza, il secondo cancella l’identità.
Devo invece respingere con forza l’accostamento a Sartre e, peggio, al cosiddetto ‘assurdismo’.
Non ho stima di Sartre e in generale dell’esistenzialismo. Nello specifico, Sartre mi sembra più un letterato (con tutto il rispetto, naturalmente) e un militante politico che un filosofo. Io credo che l’essere sia colmo di un senso intrinseco che è la potenza della materia/luce/energia. Lascio l’assurdo agli psicologi e ai nichilisti. L’osservazione, che citi in parte, secondo la quale “la pretesa umana di considerarsi lo scopo dell’esistenza appare del tutto antiscientifica. La dismisura delle nostre ambizioni si manifesta in tutta la sua portata se appena solleviamo lo sguardo al di sopra dell’orizzonte angusto del nostro pianeta. La nostra unicità e dignità nell’universo si rivela, allora, per quello che è: una insignificante goccia di vita nel volgersi eterno e senza scopo delle galassie. Allo stesso modo dell’uomo, vale a dire con la più totale mancanza del senso della misura e del limite, la formica può immaginarsi come lo scopo della vita nel bosco o il corallo come la ragione del rigoglio delle acque. È ora di porre fine a questa dismisura antropocentrica, all’infantile pretesa che il mondo sia stato fatto per l’uso esclusivo di una specie, che il volgere delle galassie e della materia sia finalizzato al progresso della vicenda umana. La nostra specie non è l’apice, il fine e il senso di tutto ciò che è, non costituisce l’intenzione segreta verso cui la materia tende e non rappresenta certo il culmine della vicenda biologica sul pianeta Terra” (pp. 148-149 del libro) a me sembra una semplice e persino banale evidenza, già sostenuta da Senofane, che certo non è sospettabile di assurdismi o nichilismi contemporanei. È una semplice evidenza, naturalmente, per chi non ritenga l’essere umano ‘sacro’ se non all’interno della sacralità dell’intero.
La questione del mettere al mondo altri mortali è più delicata. Rinvio a quanto ne ho scritto qui: Nascere? e a un mio testo in uscita sullo stesso tema 🙂
Infine, ti ringrazio per l’accenno alla cura e all’eleganza del volumetto -merito dell’editore- e, per quanto riguarda la chiusa della recensione, devo dirti che io ‘prediligo’ qualunque lettore aperto a prospettive non ovvie e soprattutto non confortevoli ma critiche e coraggiose. Perché credo che la filosofia possa costituire anche una ‘consolazione’ del dolore d’esserci soltanto se riconosce in pieno la potenza del limite.
Ti ringrazio per avermi letto perché so che sei uno di questi lettori».
Spero che il dialogo tra l’autore e il suo lettore/recensore aiuti a capire meglio intenzioni, contenuti, limiti del libro e confermi il fatto che uno dei grandi doni della filosofia e della scienza è la possibilità di criticare anche le tesi dei nostri amici, poiché «amicus Plato, sed magis amica veritas».

Daria Baglieri su Tempo e materia

Daria Baglieri
Recensione a Tempo e materia. Una metafisica
in Discipline Filosofiche (9.11.2020)

«Se la filosofia come amore, desiderio ed esercizio della sapienza scaturisce dal misto di terrore e meraviglia dinanzi alla potenza della materia, la sua condizione ‒ come presupposto e come modo d’essere ‒ è la metafisica. Essa consiste, sin dalla grecità delle origini, nello sguardo che oltrepassa il dato fisico dei fenomeni e degli enti transeunti per volgersi all’eterna e stabile trasparenza che fa da fondamento al loro manifestarsi. Tale fondamento è l’essere come φύσις, non semplicemente come “natura” che la modernità concepiva in caratteri matematici ma come intero che non si contrappone né a un soggetto che ne ricerca le leggi universali né all’apparire come ingannevole parvenza. Al contrario, fenomeno per i greci era il manifestarsi di ciò che dall’essere proviene e verso l’essere tende infinitamente resistendo al nulla: questa dinamica di attaccamento della vita alla vita era la ζωή che si genera, muta, vive dentro l’intero nel gioco d’identità con gli enti a cui l’essere non si riduce e di differenza tra gli enti e degli enti dall’intero».
Così comincia la recensione che Daria Baglieri ha dedicato al libro, inizia con un piglio teoretico che inserisce Tempo e materia nel suo spazio naturale. L’autrice individua poi «le due anime filosofiche di questo testo ‒ l’ontologia platonica e il metodo fenomenologico» e a quest’ultimo dedica un’attenzione così rigorosa da essersi meritata la pubblicazione su Discipline Filosofiche, che è una delle più importanti riviste europee di fenomenologia. Dopo aver ricordato le fonti husserliane del libro, Baglieri scrive che «Tempo e Materia non è un trattato di metafisica, ma un percorso e un’esperienza nella metafisica come ricerca di un senso dello stare al mondo, per non fuggire dalla sofferenza dell’esserci prima che il naturale destino di dissoluzione dei corpi richiami ‒ anzi, ritrasformi ‒ le parti dentro l’intero materico. In una metafisica materialistica, infatti, nascere e morire non sono opposti, ma sono solo due fasi di un più grande processo che è il costante sfolgorio della materia tempo che diviene».

Diego Bruschi su Tempo e materia

Diego Bruschi: recensione a Tempo e materia. Una metafisica
in Appunti, semplicemente appunti, 16 luglio 2020

«Lo stupore che da sempre mi fa apprezzare gli scritti e il pensiero di Alberto Giovanni Biuso è per la contiguità che la sua filosofia ha con l’autentica esperienza del vivere», così comincia la riflessione che Diego Bruschi ha dedicato al libro. Un testo breve ma intessuto di citazioni assai puntuali; una nota che al pregio della chiarezza sa unire l’indicazione di alcuni dei principali nuclei teoretici del libro.

 

Enrico Palma su Tempo e materia

Enrico Palma
Recensione a Tempo e materia. Una metafisica
in InCircolo. Rivista di filosofia e culture, n. 9/2020 Natura / Cultura
pagine 305-311

Una lettura profonda, che del libro analizza la struttura ermeneutica, il rapporto con la fisica, i legami con la concezione proustiana del tempo e del vivere, il dialogo con la Gnosi.
«Questo libro è come il suo argomento, i tanti argomenti. È uno ed è molteplice. Sebbene intriso di heideggerismo esso ne vuole essere al contempo continuazione e disobbedienza. […] Nel volume si avverte la continua presenza di Proust, che di tale scarto ha inteso la possibilità della letteratura come metafisica che unisca insieme arte e ontologia. […] Il tempo dunque come originario, come Heimat da cui l’umano proviene e di cui è una forma in atto emersa dal divenire, e che nella luce del tempo e della verità comprende se stesso e il mondo come un’unità inseparabile. […] È dunque in discussione il dolore che intride anche ogni pagina della Recherche, che il tempo e solo il tempo può lenire come consapevolezza della struttura della materia. Il dolore è ontologico poiché causato dall’essere stesso: esso è ciò che ogni esserci prova per l’attrito che il resto dell’ente esercita sulla sua finitudine».
Enrico Palma sintetizza il senso del libro con questa bella formula: una «metafisica teologica, materialistica e flussica».
Nello stesso numero della rivista Elvira Gravina, che è stata mia allieva a Catania prima di laurearsi alla magistrale a Milano, recensisce il libro di Alva Noë Strange Tools. Art and Human Nature (pp. 312-317).

Vai alla barra degli strumenti