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Realtà / Simulacro

Quanti pensano che si dia una realtà del tutto autonoma dalla semantica e dalla comunicazione non comprendono che il virtuale e lo spettacolare delle società contemporanee costituiscono  «il capitale a un tale grado di accumulazione da diventare immagine» (Guy Debord, La société du spectacle, Gallimard, 1992 [1967], § 34). Per parafrasare Horkheimer e Adorno, la terra tutta virtuale splende all’insegna di sventurata realtà. La vita è diventata riproduzione di figure dietro e dentro le quali non si dà nulla se non la perpetuazione del dominio di chi possiede gli strumenti della rappresentazione rispetto a chi non li detiene. Perché «lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediatizzato da immagini»; soggetti ed eventi che non si fanno spettacolo è come se non esistessero, e questo fa sì che lo spettacolo non sia «un supplemento del mondo reale, la sua decorazione sovrapposta. È il cuore dell’irrealismo della società reale» (Ivi, §§ 4 e 6). La fine dell’illusione produce un mondo di immagini nel quale non c’è niente da vedere, un mondo di informazioni in cui non c’è nulla da sapere.

È rimuovendo la realtà/simulacro che diventa possibile comprendere la potenza della realtà materiale e semantica dentro la quale si dà l’accadere. Se la regola dello scambio è di restituire sempre più di quanto si è ricevuto, allora rendere il mondo un po’ più libero significa anche renderlo più inintelligibile di quanto non ci sia stato dato; significa sostituire alla realtà della comunicazione servile l’irrealtà di progetti che esistono tra il già e il non ancora; significa fare dell’interpretazione un luogo di invenzione trasformatrice che dissolva la realtà; significa, in un parola, non rassegnarsi. In questo modo il costruzionismo e l’ermeneutica mostrano la propria natura libertaria e più anarchica di qualunque ideologia realista, progressista e politicamente corretta, il cui umanitarismo è l’evidente gemello dell’oppressione, la cui volontà di delicatezza nasconde a stento la ferocia della realtà: «Ogni destino negativo dev’essere ripulito da un trucco ancora più osceno di quel che vuole nascondere», in modo da legittimare nella propria compiaciuta tranquillità interiore «tutti coloro che fanno abbronzare la loro coscienza tranquilla al sole della solidarietà» (Jean Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà, Raffaello Cortina Editore 1996 [1995], pp. 143 e 137). È anche su questi ex rivoluzionari, che hanno barattato le loro giovinezze radicali con la solidarietà caritatevole dei clericali di ogni chiesa, che il potere fa affidamento e gongola tranquillo.

Lo spettacolo si rivela come una forma economica che «non canta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni» (La société du spectacle, § 66), una forma nella quale non troviamo ciò che desideriamo ma desideriamo ciò che ci inducono ad acquistare. Condizionati sin nell’intimo del loro pensare, inconsapevoli d’essere condizionati, vaganti tra illusioni, luccichii e menzogne, gli spettatori/consumatori sono il soggetto politico amorfo e passivo che Debord definisce con estrema chiarezza: si tratta di «morti che credono di votare» (Opere cinematografiche, Bompiani, 2004, p. 135), una morte che è consustanziale alle immagini che sopravvivono assai più a lungo di ciò che rappresentano. Ed è anche per questo che «lo spettacolo in generale, come inversione concreta della vita, è il movimento autonomo del non-vivente» (La société du spectacle, § 2). In questa società di zombie la democrazia è un simulacro. Il suffragio universale è diventato «il primo dei mass-media» in cui «propaganda e pubblicità si fonderanno sul medesimo marketing e merchandising di oggetti o di idee-forza», nel quale le differenze tra programmi e progetti si annullano mediante la distribuzione statistica del 50% per ogni coalizione, tanto che «il voto rassomiglia al moto browniano delle particelle o al calcolo delle probabilità, è come se tutti votassero a caso, è come se votassero delle scimmie. A questo punto, poco importa che i partiti in causa esprimano storicamente e socialmente checchessia –bisogna anzi che non rappresentino più nulla: il fascino del gioco, dei sondaggi, la coazione formale e statistica è tanto maggiore» (Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, 2007 [1976], pp. 77 e 81). Baudrillard sintetizza tali dinamiche della politica contemporanea nella formula dura ma efficace «della leucemizzazione di tutta la sostanza sociale: sostituzione del sangue con la linfa bianca dei media» (Ivi, p. 79). Coinvolti in questa leucemizzazione, i partiti e i sindacati “rappresentanti dei lavoratori” sono in realtà diventati i loro nemici mentre –a livello di economia universale- il segno monetario si disconnette «da qualsiasi produzione sociale: esso entra allora nella speculazione e nell’inflazione illimitata» (Ivi, p. 35). È esattamente quanto sta accadendo -anche con l’euro- negli anni Dieci del XXI secolo.

I farmaci, l’umano gregge e la realtà

Mente & cervello 96 – Dicembre 2012

Abbiamo un problema di salute, consultiamo un medico che ci prescrive dei farmaci, andiamo a comprarli. Ma che cosa c’è dietro quel sobrio pacchetto che ci viene consegnato, dentro quelle più o meno colorate pastiglie? Ci sono pratiche molto pericolose, alle quali è bene porre attenzione. Pratiche descritte da Gabriella Rosen a proposito dell’intreccio tra la ricerca farmaceutica, i finanziamenti che crescono con il numero degli animali massacrati e dei volontari umani che provano le medicine, i risultati gravemente distorti che ne conseguono. In ambito psichiatrico, in particolare, molti volontari simulano delle sindromi che in realtà non hanno, allo scopo di farsi accettare come cavie retribuite.

Di conseguenza gli studi possono produrre risultati sospetti che a loro volta possono influenzare le decisioni dei medici sulla terapia per un numero infinito di altri pazienti. Alcuni di questi trial falliscono completamente forse proprio per il fatto che vengono arruolati i pazienti sbagliati. Il conseguente aumento del costo dello sviluppo di un farmaco, che attualmente si aggira intorno a 1,8 milioni di dollari per l’immissione sul mercato di un solo nuovo prodotto, ricade su tutti noi in quanto consumatori e contribuenti. […] Secondo McEvoy gli sperimentatori possono ricevere pagamenti diretti da 10.000 a 30.000 dollari per ogni paziente arruolato. […] Gli sperimentatori sono dunque motivati ad arruolare il maggior numero di pazienti, e non i migliori, nel minor tempo possibile. […] È stato dimostrato che i ricercatori con un interesse finanziario credono che i pazienti siano significativamente più malati rispetto agli scienziati non motivati a riempire lo studio. (pp. 32-38)

Anche Marco Ferrazzoli, in un altro articolo, conferma che la situazione è grave a causa degli enormi interessi finanziari in gioco, per i quali la salute delle persone è un mezzo e non uno scopo:

Nel 1996, dopo l’appprovazione della FDA, la Purdue Pharma aveva lanciato l’Oxycontin, un antidolorifico che raggiunse «in un anno vendite oltre 40 milioni di dollari, salite nel 2000 a un miliardo e nel 2008 a 2,5 miliardi di dollari». Ma il rischio di dipendenza, «dichiarato minore dell’1 per cento», raggiungeva invece il 50 per cento, «una probabilità analoga a quella dell’eroina». Negli Stati Uniti, la Purdue è stata condannata nel 2007 a una penale di 646 milioni di dollari per pubblicità ingannevole, «ma i proventi sono stati così elevati che permettono alla casa farmaceutica produttrice di subire qualunque class action», conclude Wagner. (48)

[Sullo stesso tema segnalo una nota pubblicata sul sito de Le Scienze]

La teoria proposta da René Girard del desiderio mimetico, come struttura dalla quale si genera la socialità umana, è al centro dell’interesse non soltanto dei filosofi ma anche dei neurologi e degli imprenditori della comunicazione. Girard ritiene infatti che «gli uomini non desiderano gli oggetti per il loro valore intrinseco, ma per quello che credono gli altri gli attribuiscano» (F. Sgorbissa, 75).
Più in generale, il desiderio mimetico starebbe a fondamento di pratiche molto diverse tra loro come l’amicizia, la creazione culturale, la maternità («Sono le espressioni della madre/modello -piacere, sorpresa, disgusto- a suggerire al bambino il valore delle cose del mondo» [80] )- e facebook.
«Una delle figure forse meno note dietro al network di tutti i network, Facebook, è infatti un fedele seguace di Girard. Peter Thiel è stato uno dei primi finanziatori di Facebook, ed è anche uno degli ideatori e il CEO di PayPal. Imprenditore della Silicon Valley di grande successo, ma anche filosofo futurista e conservatore liberista, è anche fortemente convinto che gli esseri umani tendano a comportarsi come un gregge. E a questo gregge lui vuole vendere cose» (81). Thiel ha ideato e gestisce il sito www.imitatio.org, nel quale vengono presentate le idee di Girard e la loro applicazione al marketing.

A disdoro, ancora una volta, di ogni ingenuo e antiscientifico realismo metafisico, numerose esperienze cliniche confermano che «l’occhio è un buon obiettivo, ma la fotografia che trasmette alla mente è soggetta a rimaneggiamenti. Il ruolo dell’informazione, vale a dire il messaggio visivo che proviene dall’occhio, è inferiore rispetto ai complessi processi di elaborazione compiuti dalla mente per giungere a un’interpretazione di quanto si è visto. Le neuroscienze ci dicono infatti che anche nell’ambito dell’arte la visione non è una fotografia fedele della realtà: ciò che vediamo dipende da vari fattori, legati alla struttura e alle proprietà dell’occhio, alle caratteristiche della corteccia visiva, ai processi mentali» (A. Oliverio, 18).
Recensendo un volume di David Eagleman dedicato alla Vita segreta della mente, anche Marco Motta scrive che «vedere il mondo intorno a noi ci sembra un atto semplice e naturale, invece è il frutto di un processo di costruzione della realtà molto sofisticato operato dal cervello con i dati entranti e le aspettative ereditate dal passato» (105). Aspettative rivolte al futuro e che affondano nella densità di ciò che siamo stati. È questo, assai più di qualunque sintesi passiva, a squadernare di fronte a noi il mondo, che è sempre una sola cosa con la mente.

Realtà

Reality
di Matteo Garrone
Con: Aniello Arena (Luciano), Loredana Simioli (Maria), Nando Paone (Michele), Raffaele Ferrante (Enzo), Nello Iorio (Massimone), Ciro Petrone (barista)
Italia, 2012
Trailer del film

«Osservate la locandina del film (magari cliccando sopra per ingrandirla). Un ambiente visto dall’alto. Con alcune poltrone intensamente illuminate. Su quella in alto a sinistra sta sdraiato un uomo con le braccia incrociate dietro la testa. Tutti possono guardarlo. Il luogo è insieme chiuso e aperto. Quel soggetto ha raggiunto la pace. È diventato una sola cosa con lo splendore dell’immagine, con l’iridescenza della “Casa”. La vita di quest’uomo è cambiata da quando, quasi per caso, ha partecipato a una delle tante selezioni per il Grande Fratello. Lavoro, affetti, amici, famiglia, si sono a poco a poco dissolti nell’ossessione di un futuro di notorietà, di soldi, di luci. L’ambiente di lavoro ha cominciato ai suoi occhi a pullulare di persone inviate dal Grande Fratello a controllare se abbia detto o no la verità. Per mostrare a queste presenze la propria forza e originalità Luciano dà inizio a un vero e proprio potlatch, a uno spreco di beni, di risorse, di tempo, di senso».

Così comincia la recensione pubblicata sul numero 15 – ottobre 2012 di Vita pensata (pp. 65-67). Qui aggiungo quanto scrive Franco Berardi Bifo in un suo articolo dal titolo Incubi e schermi. La cornice perfetta, pubblicato a pagina 28 del numero 25 – dicembre 2012/gennaio 2013 di Alfabeta2:
«La fascinazione dello schermo e la cattura della mente sono irreversibili, e Reality di Matteo Garrone è il film definitivo sul potere biopolitico contemporaneo. Proprio oggi che in Italia credono che Berlusconi abbia perduto il potere, Garrone dice la verità: è vero il contrario. Berlusconi può essere sconfitto sul terreno fittizio della politica, un consulente della Goldmann Sachs può andare al suo posto per realizzare lo stesso programma, magari una coalizione di centro-sinistra può vincere le prossime elezioni. Ma l’Italia non esce dallo schermo.
Neo-realismo e barocco si incontrano perché il barocco è la realtà della storia italiana moderna. Quelli che credono che la corruzione e la demenza italiana siano il lato malato della sana austerità liberista, come al solito, non capiscono niente. Non capiscono cos’è la realtà del Semiocapitale, che si fonda sull’illusione ottica, l’ipertrofia dell’immagine, l’inflazione proliferante di flussi linguistici e la manipolazione predatoria dello scambio (semiotico ed economico tra loro confusi, interdipendenti). […] L’Italia è il laboratorio barocco della dittatura mondiale dell’ignoranza».
Reality è uno dei film più belli e più importanti di questi anni.

Sul tempo. Una prospettiva teatrale

Teatro Strehler – Milano
La grande magia
di Eduardo De Filippo
con: Luca De Filippo (Otto Marvuglia), Massimo De Matteo (Calogero Di Spelta), Carolina Rosi (Zaira), Nicola Di Pinto (Arturo Recchia e Gennarino Fucecchia), Giovanni Allocca (il brigadiere di polizia e Oreste Intrugli), Gianni Cannavacciuolo (Gervasio Penna e Matilde)
Scene e costumi Raimonda Gaetani
Regia di  Luca De Filippo
Produzione Compagnia di Teatro Luca De Filippo
Sino al 6 dicembre 2012
Video di presentazione

 

Calogero Di Spelta è assai geloso della moglie Marta. In vacanza all’Hotel Metropole, questo suo sentimento diventa l’oggetto dei pettegolezzi dell’intero albergo. In effetti Marta ha un amante, che però non riesce mai a incontrare proprio a causa dell’attenta gelosia del marito. Ma arriva l’occasione, incarnata dal mago di provincia Otto Marvuglia, con il quale la donna si mette d’accordo in modo che durante un suo spettacolo «la faccia sparire per un quarto d’ora». Ma l’amante Mariano la porta via con sé a Venezia e Marta quindi sparisce per davvero. A Calogero che chiede al mago di restituirgli la moglie, Marvuglia risponde che in realtà è stato proprio lui a farla sparire e che Marta si trova in una cassettina che gli consegna. Se il marito la aprirà credendo fermamente nella fedeltà della donna ella riapparirà, in caso contrario la magia non avrà più fine. Calogero crede a tutto pur di non ammettere a se stesso il tradimento di Marta. Quando la donna tornerà da lui, dopo quattro anni, rifiuterà di riconoscerla, convinto ormai che nessuno potrà separarlo da quella cassettina che non ha ancora aperto e dentro la quale è racchiusa tutta la sua passione.
Il paradosso e la tristezza dei sentimenti umani si esprimono qui al di là del dramma e della commedia. La gelosia è l’occasione per una complessa meditazione sul mondo interiore nel quale ciascuno vive, pensa, ama, soffre. Tutto è possibile all’immaginazione. Ciascuno si rinchiude nelle stanze della propria solitudine e da questo castello alto e desolato cerca di amministrare i feudi della disperazione. L’ipotesi che Otto Marvuglia presenta a Calogero Di Spelta è la stessa del film Matrix. Che cos’è realtà, che cosa è illusione? Apri la cassetta, prendi la pillola rossa, e ti troverai nel mondo vero. Tieni chiusa la cassetta, prendi la pillola azzurra, e continuerai a vivere in quell’illusione che tu chiami la verità del mondo.
Ma la svolta dentro questa vicenda tragica e grottesca è data dal tempo. Il mago, infatti, convince Calogero che il fluire degli istanti, delle ore, degli anni è soltanto «la traccia mnemonica di immagini ataviche»; che la sensazione dello scorrere dei giorni, l’imbiancare dei capelli, il raggrinzirsi della pelle è un inganno; che si trovano tutti sempre là, in quella serata all’hotel Metropole nella quale è cominciato il gioco dell’illusione, ha avuto inizio la grande magia.

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