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Israele

[Versione (più ampia) dell’articolo in pdf]

Assistere al genocidio, alla distruzione, alla tortura di un intero popolo – donne, vecchi, bambini – il popolo palestinese, da parte di uno stato razzista e suprematista; approvare tale massacro e tutto questo orrore; dargli forza con le armi, con l’informazione, con la diplomazia. 
Che le classi dirigenti europee siano, nel 2025, complici di tale abominio, fa capire che cosa sia accaduto nel nostro continente negli anni Trenta del Novecento.
Fa capire quanto illegittima sia la pretesa di supremazia morale e politica sul resto del mondo da parte delle moribonde democrazie liberali.
Fa capire quanto carnefici siano Israele e le strutture statuali, finanziarie, mediatiche che nell’occidente anglosassone ne sostengono l’azione di sterminio.
Fa capire quanto fasulli e ipocriti siano i valori mediante i quali si è trasformato il discorso pubblico in un dogma, valori quali: il rispetto, la non violenza, l’inclusione et alia, proclamati ai quattro venti mentre si tace o si è complici della più tenace pratica di esclusione e di apartheid della storia contemporanea; ricordo pagine e pagine di commozione mediatica per un solo bambino morto durante il naufragio di una barca di migranti nel Mediterraneo; sulle decine di migliaia di bambini palestinesi assassinati, feriti, mutilati, per sempre traumatizzati, cala il silenzio da parte dei buoni, a dimostrazione che non sono buoni ma sono soltanto delle marionette che si muovono sulla base di ciò che televisione e altri media presentano.

La brachilogia avrebbe potuto fermarsi qui. E però affermazioni come queste devono essere documentate quanto meglio possibile. Il testo è diventato talmente ampio da non poter essere pubblicato in html, come pagina del sito. Ho dunque preparato un pdf, che potrà essere scaricato e letto da chi lo desidera. Qui ne riporto alcune pagine.
Parte di tale documentazione è stata da me utilizzata in un saggio dal titolo Sul genocidio dei Palestinesi, pubblicato sul n. 69 (luglio-agosto 2024) del bimestrale Dialoghi Mediterranei; altra documentazione, soprattutto quella proveniente dall’ONU, si trova qui: La soluzione finale.

Altri documenti:

1) La migliore analisi che abbia letto sull’evoluzione della politica e dell’identità israeliane è di Aleksandr Dugin: Il Grande Israele e il Messia vittorioso, «Euro-Synergies», 24.12.2024 (in francese).

2) Testi da La causa dei popoli
Un’ampia documentazione sul genocidio, che in Palestina è in corso non dall’autunno del 2023 ma da decenni, si trova nel numero VIII/20-21, 2024 della rivista La causa dei popoli. Inserisco qui il pdf dell’intero numero, dal quale estraggo le seguenti affermazioni:

«Due campi fondamentali all’interno della società ebraica israeliana, oggi impegnati in quella che si può definire una guerra civile fredda. Si tratta di uno scontro tra quello che possiamo definire lo stato di Giudea e lo stato di Israele. Lo stato di Giudea è sorto negli insediamenti ebraici della Cisgiordania. Nato come movimento ideologico marginale, non è diventato una forza politica di rilievo centrale. Non si preoccupa dell’opinione pubblica mondiale, inclusa quella americana, e crede di poter realizzare con l’aiuto di Dio uno stato ebraico elitario e teocratico tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo» (Ilan Pappé, p. 3);
«Il fatto che molti ebrei, in Israele e altrove, rifiutino il sionismo dimostra che questa ideologia colonialista e razzista non coincide con l’ebraismo. Non solo, ma il fatto che alcuni dissidenti siamo stati costretti a espatriare per scampare alle ritorsioni governative conferma che il regime non tollera gli oppositori, soprattutto se occupano posti di rilievo che permettono loro di raggiungere un vasto pubblico. Davanti a questi fenomeni, lonestà intellettuale dovrebbe imporre di ammettere che il titolo di ‘unica democrazia del Medio Oriente’ è l’espressione di una posizione filo-israeliana basata sulla malafede e del tutto slegata dalla realtà» (Alessandro Michelucci, p. 5);
«Molti dei miei parenti sono stati sterminati nell’Olocausto. Niente è più spregevole che usare la loro sofferenza e il loro martirio per tentare di giustificare la tortura, la brutalità e la demolizione delle case che ogni giorno Israele commette contro i palestinesi. Mi rifiuto di lasciarmi intimidire dalle lacrime. Se aveste un cuore lo usereste per piangere i palestinesi» (Norman Finkelstein, dal documentario American Radical: The Trials of Norman Finkelstein [2009], p. 11);
«Il 15 maggio 2023, per la prima volta, le Nazioni Unite hanno commemorato ufficialmente la Nakba palestinese, o  ‘catastrofe’, un trauma nazionale che è iniziato nel 1947 e non è ancora finito. A novembre gli stati membri dell’Assemblea Generale hanno votato una risoluzione dove si riconosce il calvario delle generazioni che vivono sotto l’occupazione da quando le milizie israeliane le hanno cacciate dalle loro città e dai loro villaggi per costruire uno stato sionista. Gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione e hanno boicottato l’iniziativa. La Nakba e il progetto coloniale sionista non vengono raccontati nei libri di storia. Washington ha usato ogni mezzo per occultare la tragedia palestinese al pubblico americano» (Reza Behman, p. 20).
«Israele non tollera ctitiche di nessun tipo. A queste, laddove è possibile, reagisce con una censura che ha ormai raggiunto livelli degni delle dittature più buie. Questa censura non viene praticata soltanto dal governo di Tel Aviv, ma viene applicata diligentemente anche da molti altri paesi. Dall’Italia all’India, dagli Stati Uniti all’Australia, studenti e professori vengono sanzionati, convegni e concerti vengono cancellati, artisti ed esponenti politici vengono epurati per essersi espressi in modo sgradito al governo israeliano. Chiunque lo contesti viene accusato di antisemitismo; dimostrare pubblicamente contro il genocidio di Gaza diventa una manifestazione di solidarietà nei confronti di Hamas; negare il ‘diritto di reagire’ alle stragi del 7 ottobre 2023 significa auspicare la ‘cancellazione di Israele’. Accanto a questi casi, ben visibili perché legati a episodi specifici, ne esiste un altro, meno evidente ma molto più importante, che tocca un pilastro centrale dell’intera architettura statale israeliana: contestare il dogma che considera la Shoah un genocidio mai visto, unico e irripetibile, o meglio ancora, l’unico evento storico che meriti di essere considerato un genocidio. Tutto questo ha trovato conferma in tempi recenti» (Alessandro Michelucci, p. 37).
«Quello che Israele sta facendo a Gaza col sostegno americano è un crimine contro l’umanità che non ha nessuno scopo militare. […] terre. In un eccellente articolo della New York Review of Books, David Shulman racconta la conversazione che ha avuto con un colono, che riflette chiaramente la dimensione morale del comportamento israeliano. ‘Certo, quello che stiamo facendo è disumano’, ammette il colono, ‘ma se ci pensate bene, tutto deriva dal fatto che Dio ha promesso questa terra agli ebrei, e soltanto a loro’» (John J. Mearsheimer, pp. 51-52).

3) Un altro testo, che mi è capitato di leggere quasi per caso e del cui autore non so nulla, coglie una delle principali ragioni della tragedia che sta colpendo non soltanto i palestinesi, non soltanto gli ebrei, non soltanto il Vicino Oriente ma il nucleo stesso della civiltà europea: il pensare. Perché pensare significa anche tenere conto della potenza del Sacro e dunque cercare di delimitarla. Se non ci si riesce, il risultato è la ferocia, è il massacro.
Il Sacro non potrà mai essere cancellato, esso infatti coincide in gran parte con l’umano. Può e deve invece quanto più possibile essere circoscritta la sua manifestazione religiosa, che è una espressione non di pensiero ma di autorità. Da questa prospettiva i due secoli forse meno religiosi della storia europea recente sono stati il Sette e l’Ottocento. Il Novecento ha invece visto un ritorno potente del sentimento religioso tramite la trasformazione delle opzioni politiche in fedi appunto religiose. Il XXI secolo sta aggravando tale metamorfosi, che non a caso – anzi inevitabilmente – si sta inverando nell’imposizione di verità indiscutibili; nella metamorfosi di contenuti politici, etici, scientifici in verità di fede; nella trasformazione dei critici in eretici.
Esempio tragico di tutto questo è l’essere diventato lo Stato di Israele un tabù, che in quanto tale nessuno può toccare, non può neppure sfiorare. Ecco perché l’autore propone di dissacrare Israele, per ricondurre a sensatezza la politica e a misura la storia. E, naturalmente, per continuare a pensare senza obbedire a dogmi.
Si tratta dunque di una riflessione che (anche se con alcuni limiti) va al di là delle armi, della geopolitica, della cronaca e dell’informazione, pur avendo come oggetto le armi, la geopolitica, la cronaca e l’informazione.
Dissacrare Israele, di Stac, da MyTwoSpicci, 16.11.2024

4) Per quanto infine riguarda la tregua sottoscritta da Israele e da Hamas, temo che sarà soltanto una pausa più o meno breve nel progetto del Grande Israele, e dunque nella pratica del genocidio.
Sulla base della storia e alla luce dell’apartheid, del razzismo e del colonialismo israeliani, credo che abbia ragione Chris Hedges a scrivere (16.1.2025) che «Israele, per decenni, ha giocato a un gioco ingannevole. Firma un accordo con i palestinesi che deve essere attuato in fasi. La prima fase dà a Israele ciò che vuole, in questo caso il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza, ma Israele di solito non riesce a implementare le fasi successive che porterebbero a una pace giusta ed equa. Alla fine provoca i palestinesi con attacchi armati indiscriminati per vendicarsi, definisce la risposta palestinese come una provocazione e abroga l’accordo di cessate il fuoco per ricominciare il massacro». Spero davvero di sbagliarmi, ne sarei sorpreso e felice.
In ogni caso, «i filmati dai droni mostrano i palestinesi che camminavano tra gli edifici distrutti nell’area di al-Saftawi tra Jabalia e Gaza City nel nord di Gaza dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco.
La guerra di Israele contro Gaza, durata 15 mesi, ha ucciso 46.913 palestinesi e ne ha feriti altri 110.750, secondo il ministero della Sanità di Gaza.
Per 471 giorni, le forze di occupazione israeliane hanno impedito alle ambulanze e alle squadre di protezione civile di entrare nelle aree colpite a Gaza, ostacolando gli sforzi per curare i feriti, recuperare migliaia di persone da sotto le macerie e persino registrare con precisione il numero di palestinesi martirizzati e feriti» (Giubbe rosse, 19.1.2025)

In conclusione, i fatti – e non le tesi pregiudiziali – dimostrano che lo Stato di Israele non è per nulla «l’unica democrazia del Medio Oriente» ma, al contrario, è un’entità politica caratterizzata dai seguenti elementi:
-forti tendenze autoritarie e repressive, che si esplicano anche nella persecuzione dei propri cittadini di etnia e religione ebraica, come i membri di Neturei Karta International, che è un’associazione internazionale di ebrei ortodossi i quali condannano in modo assai chiaro il sionismo dello stato di Israele, giudicandolo incompatibile con la fede e con l’identità ebraiche. Qui si trovano dei documenti inerenti tale Associazione: Gaza 2023;
-una politica interna caratterizzata da apartheid e razzismo nei confronti dell’etnia araba;
-una politica estera di impronta colonialista e suprematista.

Schiave e carnefici

In Italia, che io sappia, è un silenzio quasi assoluto, in particolare da parte delle grandi reti televisive (un silenzio casuale? Improbabile). Altrove, e non soltanto ovviamente in Gran Bretagna, se ne parla da tempo, soprattutto dopo che alcuni dei responsabili sono stati portati a giudizio. Qui segnalo un resoconto sintetico e molto chiaro uscito sul quotidiano francese Le Figaro lo scorso 3 gennaio 2025. Ad averlo scritto è Mathieu Bock-Côté e si intitola «Dietro gli stupri delle bande pakistane l’imbarazzato silenzio delle élites». Invito a leggerlo  per intero (se necessario a tradurlo in automatico; qui sotto c’è il pdf).
Ne riporto alcuni brani tradotti da me.

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Il caso degli stupri di ragazze bianche della classe operaia britannica per mano delle bande pakistane ritorna in una misura inattesa e domina di nuovo la politica e la stampa inglese.

La vicenda risale al 2017. Allora si parlò degli stupri di Telford. In Inghilterra hanno scoperto che per molti anni 1400 ragazze britanniche bianche della classe operaia erano state ridotte in una condizione di schiavitù sessuale da parte di bande pakistane.
[…]
Le bande avrebbero in effetti agito nella maggior parte delle città inglesi. Si parla di decine di migliaia di ragazze coinvolte, forse anche più.
[…]
Dopo le aggressioni sessuali a Colonia, nel 2016, ogni società occidentale avrebbe potuto e dovuto esserne consapevole, dato che ciascuna lo aveva in modi diversi vissuto. Ma nonostante questo le autorità inglesi hanno distolto lo sguardo, quando non hanno persino cercato di insabbiare i fatti: esse temevano, se il fenomeno si fosse venuto a sapere, di suscitare odio razziale.
[…]
Le società occidentali intendono presentarsi come particolarmente sensibili alle violenze sessuali, ma esse lo sono veramente soltanto quando di tratta di mettere sotto accusa il «patriarcato». Le violenze frutto di differenza [etnica] sono invece nascoste, o persino apertamente negate, poiché esse svelano che la sicurezza e la libertà delle donne costituiscono il prezzo da pagare per l’avventura multiculturale. L’estremismo ideologico fa sì che il regime globalista si scagli contro quanti lanciano l’allarme e, ancor di più, contro chi subisce personalmente la violenza, non accettando di fare da vittima sacrificale.

[pdf: Mathieu Bock-Côté : «Derrière les viols des gangs pakistanais, le silence gêné des élites»]
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In molte città europee e italiane, compresa Milano nella sua piazza del Duomo, la notte di Capodanno del 2025 si sono verificate violenze e aggressioni contro le ragazze bianche da parte di persone nordafricane. Quanti lo sanno? Televisione e stampa ne hanno parlato?
Per alcune culture non europee (oltre che per non pochi europei) le ragazze libere, sole, disinibite sono soltanto delle «puttane» e come tali vengono trattate dai maschi di quelle culture. Qui non scatta l’accusa di «patriarcato»? E questo solo perché i suoi responsabili non sono europei o di origine europea?
Valutare un comportamento e un reato su base etnica, valutare su base etnica un gravissimo crimine contro le persone, ecco questa è una chiara espressione di razzismo, in questo caso razzismo contro le donne bianche. Un razzismo ancora più odioso in quanto esercitato su ragazze che, in Gran Bretagna, vivono in condizioni sociali ed economiche di grande difficoltà; proletarie e sottoproletarie con famiglie spesso inesistenti o deboli.
Un caso dunque di razzismo etnico e sociale. Ma è inevitabile che l’estremismo inclusivista, globalista e politicamente corretto pervenga a tale spregevole esito. Un esito violento e suicida.

Orrore

Questa è la fonte: Haaretz, il  maggior quotidiano di Israele, 18 dicembre 2024 (si può utilizzare il traduttore automatico per verificare la corrispondenza con l’articolo originale).
Traduzione di Giubbe Rosse

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Haaretz racconta la linea della morte a Netzarim citando un comandante della 252a Divisione

Chiunque attraversi una linea immaginaria viene colpito a morte, così come coloro che si allontanano per strada disarmati o semplicemente vanno in bicicletta. I combattenti e i comandanti che hanno prestato servizio sulla rotta di Netzarim negli ultimi mesi raccontano a Haaretz l’arbitrarietà e la banalità delle uccisioni, in cui ogni palestinese ucciso è considerato un terrorista, anche se era solo un bambino.

«C’è una linea a nord dell’asse di Netzarim nota come ‘linea dei cadaveri’, e gli abitanti di Gaza ne conoscono perfettamente il significato. In questa zona, i palestinesi vengono fucilati indiscriminatamente e i loro corpi vengono lasciati a essere divorati dai cani.
Abbiamo classificato l’asse di Netzarim come una zona di uccisione, dove chiunque vi entri viene immediatamente colpito. C’è anche una gara e una competizione tra le unità militari per uccidere quanti più palestinesi possibile.
Uccidiamo i civili vicino a Netzarim e poi li giustiziamo con il pretesto che erano armati.
Gli ordini sono chiari: chiunque attraversi il confine a Netzarim deve ricevere un proiettile alla testa. Abbiamo ricevuto l’ordine di inviare foto dei cadaveri e abbiamo inviato foto di 200 individui uccisi, solo 10 dei quali sono stati confermati come appartenenti a Hamas».

Un ufficiale riservista che ha prestato servizio a Netzarim ha detto:
«Noi, insieme ai soldati, portiamo parte della responsabilità per questo orrore che sta avvenendo a Gaza. È un’area senza legge, dove le vite umane non hanno alcun valore. Gli israeliani devono sapere come appare questa guerra ed essere consapevoli delle gravi azioni commesse da alcuni ufficiali e soldati a Gaza».

Un altro soldato israeliano ha dichiarato:
«Un intero gruppo di soldati corre a uccidere una singola persona che passa vicino all’asse Netzarim a Gaza, tempestandola di proiettili finché non muore, mentre tutti i soldati ridono. C’è anche un’autorità illimitata concessa ai comandanti a Gaza».

La soluzione finale

Nel saggio dedicato al Genocidio dei palestinesi pubblicato sul numero 68 (luglio-agosto 2024) della rivista Dialoghi Mediterranei avevo ampiamente citato il rapporto – dal titolo A/HRC/55/73 – del «Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967», incarico attualmente ricoperto dall’italiana Francesca Albanese.
Il primo ottobre 2024 l’ONU ha presentato un secondo rapporto dal titolo A/79/384. Il genocidio come cancellazione coloniale. Pubblico qui sia il testo originale sia la traduzione predisposta dal sito «L’Indipendente» e diffusa anche dalla testata girodivite.it. Consiglio vivamente la lettura integrale delle sue 35 pagine (eventualmente anche scaglionandola nel tempo). Il testo in quanto tale è assai più breve, esso è integrato infatti da ben 321 note tecnico-giuridiche.
La relatrice Albanese sintetizza i contenuti del Rapporto in una chiara e vivace intervista  dal titolo: Perché quello israeliano è un genocidio: intervista alla Relatrice ONU Francesca Albanese (L’Indipendente, 9.11.2024).

Chi leggerà il rapporto A/79/384 si farà un’idea ampia e concreta di quanto sta accadendo sotto i nostri occhi e confronterà tale idea con la propria coscienza di persona umana e di cittadino. Qui seleziono alcuni brani e tuttavia, ripeto, soltanto una lettura integrale del documento potrà far capire, se desideriamo capire e se desideriamo sapere.

Pdf del Rapporto in inglese

Pdf della traduzione italiana

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La totalità degli atti di distruzione israeliani sono diretti contro l’intero popolo palestinese con l’obiettivo di conquistare l’intero territorio della Palestina.

La violenza si è diffusa oltre Gaza, poiché le forze israeliane e i coloni violenti hanno intensificato i modelli di pulizia etnica e apartheid in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.

Dal precedente rapporto della Relatrice Speciale (A/78/545), e nonostante gli interventi della Corte internazionale di giustizia, gli atti genocidi si sono moltiplicati. L’assalto, che risponde alla tattica del “fare terra bruciata”, durato quasi un anno, ha portato alla distruzione calcolata di Gaza: il costo umano, materiale e ambientale incommensurabile.
Dal marzo 2024, Israele ha ucciso 10.037 palestinesi e ferito 21.767 in almeno 93 massacri, portando il bilancio rispettivamente a quasi 42.000 e 96.000, sebbene i dati provenienti da fonti attendibili siano incompleti e potrebbero sottostimare l’entità delle perdite.

Almeno 13.000 bambini, tra cui più di 700 neonati36, venivano uccisi, spesso con un proiettile conficcato nella testa o nel petto.
In 300 giorni, 32 ospedali su 36 sono stati danneggiati, 20 ospedali e 70 su 119 centri di assistenza sanitaria di base sono stati resi incapaci di funzionare69. Al 20 agosto, Israele aveva attaccato strutture sanitarie 492 volte.
Dal 18 al 1o di aprile, le forze israeliane hanno nuovamente assediato l’ospedale di Chifa, uccidendo pi. di 400 persone e arrestandone altre 300, tra cui medici, pazienti, sfollati e funzionari pubblici.
Nell’agosto 2024, il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich ha affermato che era “giustificato e morale” far morire di fame l’intera popolazione di Gaza, anche se dovessero morire 2 milioni di persone.
I palestinesi subiscono sistematicamente maltrattamenti nella rete israeliana di campi di tortura.

La devastazione inflitta a Gaza si sta ora diffondendo in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Nel dicembre 2023, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva predetto che “quando l’IDF finir. Gaza, sarà il turno della Giudea e della Samaria [Cisgiordania]”.
25. Tra il 7 ottobre 2023 e la fine di settembre 2024, le forze israeliane hanno effettuato pi. di 5.505 raid. Coloni violenti, che agiscono con il sostegno delle forze israeliane e dei funzionari israeliani, hanno effettuato 1.084 attacchi, uccidendo più di 692 palestinesi.

Come a Gaza, molti di loro sono accademici, studenti, avvocati, giornalisti e difensori dei diritti umani, descritti come “terroristi” o “minacce alla sicurezza nazionale.

55. L’ambizione di fondare un “Grande Israele” (Eretz Israel), e consolidare così la sovranità ebraica sul territorio che oggi comprende sia Israele che i territori palestinesi occupati, è un obiettivo di lunga data, presente fin dagli inizi del progetto sionista e anche prima della creazione dello Stato di Israele. Il diritto, legittimamente riconosciuto, all’autodeterminazione dei palestinesi in relazione a questo territorio così come la loro presenza in gran numero costituiva ostacoli giuridici e demografici alla realizzazione del “Grande Israele”.
56. I governi che si sono succeduti hanno perseguito questo obiettivo, che si basa sulla cancellazione del popolo indigeno palestinese.

Tuttavia, è risaputo che Israele non può legittimamente invocare l’autodifesa contro la popolazione sotto occupazione.
Continuando a reprimere l’esercizio del diritto all’autodeterminazione, Israele riproduce casi storici in cui l’autodifesa, la controinsurrezione o l’antiterrorismo sono stati utilizzati per giustificare la distruzione del gruppo, portando al genocidio.
Come annunciato dal presidente di Israele, Isaac Herzog, Israele agisce sulla base del fatto che “un’intera nazione è responsabile”. L’intera popolazione – che Israele, secondo le sue stesse parole, ritiene non innocente e non dovrebbe essere scagionata – è stata oggetto di attacchi indiscriminati e sproporzionati.
Le tattiche della terra bruciata hanno diffuso il terrore tra i civili, ben oltre i limiti della forza legittima. Il continuo e infondato richiamo all’affiliazione con Hamas così come le accuse di utilizzo di “scudi umani” in quasi ogni attacco contribuiscono a nascondere il fatto che i civili vengono sistematicamente presi di mira, il che di fatto cancella la natura civile della popolazione palestinese.

Hind Rajab, 6 anni, ucciso da 355 proiettili dopo aver pianto per ore.
Quando la polvere si sarà depositata su Gaza, conosceremo la reale portata dell’orrore vissuto dai palestinesi.
Il numero di ostaggi uccisi dai bombardamenti indiscriminati israeliani o dal fuoco amico è stato superiore al numero di ostaggi salvati.

Oggi, il genocidio della popolazione palestinese sembra essere il mezzo per raggiungere un fine: la completa espulsione o sradicamento dei palestinesi dalla terra che è parte integrante della loro identità e che è illegalmente e apertamente ambita da Israele.
Riconoscere ufficialmente che Israele è uno stato di apartheid e che viola costantemente il diritto internazionale.

Universalismo

Universalismo
Aldous, 5 gennaio 2024
Pagine 1-3

L’universalismo liberale dell’Occidente non si fa scrupoli ad agire in base a principi etnocentrici e razziali quando essi diventano funzionali alla sua politica di potenza. Conseguenza di tale universalismo etnocentrico è un sempre più esteso e capillare controllo delle opinioni critiche rispetto agli eventi (che si tratti di epidemia, di Ucraina, di Palestina), una sempre più chiara imposizione di slogan autoritari, un pericoloso tramonto della libertà di espressione.
In questo modo l’universalismo liberale si mostra in realtà per quello che è, una forma della volontà di potenza, un’espressione del rifiuto delle differenze e della molteplicità a favore di un’identità imperiale.

[L’articolo è uscito anche su Sinistrainrete]

Genocidio

Nel Vicino Oriente, dall’altra parte del Mediterraneo, è in corso la guerra di Israele contro i bambini palestinesi. Ne sono stati uccisi già 4.000.
I cittadini europei sembrano impotenti di fronte a questo massacro. Trascrivo dunque qui il testo di due documenti che ho firmato. Si tratta di una goccia rispetto all’oceano di sangue che il governo sionista ed escatologico-apocalittico di Israele sta producendo in Palestina. Ma è una goccia doverosa.
Il primo è di più ampia diffusione e sono contento che stia ricevendo l’adesione anche di numerosi docenti dell’Università di Catania e del mio Dipartimento. Le cifre tra parentesi indicano le 22 note che si riferiscono ai documenti citati nel testo (per la loro lettura rinvio al sito dedicato, dove appaiono anche le firme).
Il secondo documento è anch’esso assai chiaro nel descrivere ciò che sta accadendo.

Aggiungo il pdf di una dichiarazione della Società per gli studi sul Medio Oriente (SeSaMO):
Dichiarazione pubblica della Società per gli studi sul Medio Oriente (SeSaMO) e del suo Comitato per la libertà accademica sulle crescenti violazioni della libera espressione di opinioni e di ricerca

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Richiesta di un’urgente azione per un cessate il fuoco immediato e il rispetto del diritto umanitario internazionale

Come membri della comunità accademica italiana, da molti anni assistiamo con dolore e denunciamo ciò che accade in Palestina e Israele, dove vige, secondo Amnesty International, un illegale regime di oppressione militare e Apartheid [1]. Ancora una volta, ci sentiamo atterriti e angosciati dal genocidio che sta accadendo a Gaza, definito a ragione dalla scrittrice Dominque Eddé come ‘un abominio che bene esemplifica la sconfitta senza nome della nostra storia moderna’ [2].

Da tre settimane, a seguito delle brutali azioni perpetrate da Hamas il 7 ottobre che hanno causato la morte di oltre 1.400 persone (la maggior parte dei quali civili) e portato al rapimento di circa 200 ostaggi  [3], assistiamo a massicci e indiscriminati bombardamenti condotti dall’esercito di Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza, che si configura come una punizione collettiva contro la popolazione inerme e imprigionata in un territorio di poco più di 360 km2 [4]. Mentre scriviamo, a Gaza il bilancio delle persone uccise supera i 9.000 morti, di cui 3.760 bambini, circa 22.900 feriti e 1.400.000 sfollati [5]. Secondo le Nazioni Unite, allo stato attuale sono circa 2.000 le persone disperse, presumibilmente intrappolate o uccise sotto le macerie [5,6]. Interi quartieri abitati, ospedali, scuole, moschee, chiese e intere università (Islamic e Al-Azhar University tra le più grandi e rinomate) sono state completamente rase al suolo [5,7].  Il governo israeliano ha intimato ad oltre un milione di abitanti nella striscia di lasciare le loro case in vista di un attacco da terra, sapendo che non vi sono via di fuga e via di uscita dalla Striscia di Gaza. Molti di questi sfollati sono stati poi bombardati nelle “zone sicure” del sud della Striscia di Gaza, rivelando un chiaro intento di pulizia etnica da parte del governo israeliano.

Questa situazione ha reso ancora più grave e urgente la crisi sanitaria e umanitaria all’interno della Striscia di Gaza, già al collasso ben prima del 7 ottobre 2023 per via dei 16 anni di quasi totale embargo e assedio illegale imposto dall’esercito israeliano su Gaza [8]. Assedio ed embargo che il governo israeliano ha inasprito dal 7 ottobre, imponendo un blocco totale di beni essenziali per la sopravvivenza quali acqua, carburante, cibo e elettricità [9,10,11,12]. All’interno di questa catastrofe umanitaria e sanitaria senza precedenti, anche per le Nazioni Unite e per le organizzazioni internazionali risulta pressoché impossibile operare a supporto della popolazione civile. L’Association Jewish for Peace ha chiamato tutte “le persone di coscienza a fermare l’imminente genocidio dei palestinesi” (https://www.jewishvoiceforpeace.org/2023/10/11/statement23-10-11/). Già il 25 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato di non essere in grado di distribuire carburante e forniture sanitarie essenziali e salvavita agli ospedali nel Nord di Gaza per via dei continui bombardamenti israeliani [9,10]. La quantità di beni di prima necessità e soccorso che Israele ha permesso di far transitare a Gaza il 21 ottobre è stata dichiarata sufficiente a mantenere in funzione solo alcuni ospedali e ambulanze per poco più di 24 ore [13, 14] . Secondo l’UNICEF “Gaza è diventata un cimitero per migliaia di bambini” [15]

Inoltre, l’escalation di violenza si è estesa anche in Cisgiordania, con violenze e aggressioni quotidiane, numerose vittime ed espulsioni di intere famiglie dalle loro case e terre. Diversi sono i report delle Nazioni Unite che denunciano come dal 7 ottobre l’esercito israeliano abbia attaccato diverse aree della West Bank, causando la morte di almeno 96 palestinesi, e ferendone circa 1.800. Di questi, due sono bambini, e molti altri giovani adolescenti [16, 17]. Inoltre, 74 famiglie (circa 600 persone) sono state espulse da 13 comunità di pastori e beduini nei territori palestinesi, sei scuole e 1875 studenti sono stati colpiti durante gli attacchi [16, 17].

Tutto questo costituisce una evidente violazione del Diritto Internazionale e della Convenzione di Ginevra.

In tutti i report messi a disposizione dalle Nazioni Unite e dalle numerose organizzazioni umanitarie (ad esempio Amnesty International e Human Rights Watch), è segnalata l’importanza di considerare e comprendere le determinanti e antecedenti a questa violenza, da ricercarsi nella illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni, attraverso una forma di segregazione raziale ed etnica [1, 18, 19, 20]. Comprendere e analizzare queste determinanti è l’unica possibilità per poterne riconoscere le radici, contrastare l’escalation e sperare e reclamare  pace  e sicurezza per tutti.

È fondamentale ricordare come riconoscere il contesto da cui nasce quest’ultima ondata di violenza non significa sminuire il dolore e la sofferenza delle vittime israeliane e palestinesi, ma costituisce il cruciale impegno per sostenere la dignità, la salute ed i diritti umani di tutte le parti coinvolte. È possibile e necessario condannare le azioni di Hamas e, al contempo, riconoscere l’oppressione storica, disumana e coloniale che i palestinesi stanno vivendo da 75 anni. Come affermato dall’organizzazione pacifista Jewish Voice for Peace [21, 22], l’escalation a cui assistiamo rappresenta l’ennesimo esempio di come gli attacchi coloniali e illegali perpetrati da Israele contro la polazione palestinese costituiscano un rischio per la vita di tutti coloro che vivono nella regione, siano essi israeliani o plaestinesi.

In qualità di accademici e accademiche italiane riteniamo che sia nostro dovere e responsabilità attivarci e contribuire a contrastare queste escalation di violenza e sostenere i diritti umani, la salute, la dignità e il benessere. Crediamo fortemente che l’unico modo per promuovere una coesistenza pacifica sia lavorare insieme per denunciare e porre fine al prolungato assedio di Gaza e all’occupazione illegale (in ottemperanza con la legge internazionale) dei territori palestinesi.

Pertanto,

  • chiediamo urgentemente al Ministro Antonio Tajani di adoperarsi diplomaticamente e pubblicamente per l’urgente rispetto del diritto umanitario internazionale da parte di tutte le parti e la condanna dei crimini di  guerra e l’immediato cessate il fuoco, la fornitura di aiuti umanitari e la protezione delle Nazioni Unite per l’intera popolazione palestinese.
  • chiediamo alla Ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini di farsi pubblicamente portatrice delle nostre rivendicazioni nelle apposite sedi istituzionali
  • Ci rivolgiamo infine anche alla CRUI e ai singoli Atenei, chiedendo loro di non limitarsi a sostare in una dolorosa impotenza ma di agire con tutte le azioni necessarie e possibili nei rispettivi contesti. Come studiosi, studiose e membri del mondo universitario italiano guardiamo con preoccupazione alla diffusione di misure di limitazione della libertà di dibattito e di delegittimazione delle richieste di cessazione della violenza. Chiediamo quindi di ribadire l’impegno per la libertà di parola, di garantire il diritto degli e delle studenti delle università italiane al dibattito, e di favorire momenti di dibattito e discussione all’interno degli atenei. Chiediamo inoltre di pronunciarsi con chiarezza sulla necessità da parte dei singoli atenei italiani di procedere con l’interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale e umanitario, cessati i crimini contro la popolazione civile palestinese da parte dell’esercito israeliano e quindi fino a quando non saranno attivate azioni volte a porre fine all’occupazione coloniale illegale dei territori palestinesi e all’assedio di Gaza.

Crediamo che queste azioni siano irrimandabili sia per contribuire a ripristinare i diritti umani e la giustizia globale sia per non continuare ad essere spettatori conniventi e silenziosi  di una tragedia umanitaria e della cancellazione del popolo palestinese.

Con profonda preoccupazione,

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Fermiamo il genocidio. L’appello degli intellettuali

«Immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano allo scopo finale di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per far questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con il pugno, immagina che l’edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina – accetteresti di essere l’architetto a queste condizioni? […] potresti accettare l’idea che gli uomini, per i quali stai innalzando l’edificio, acconsentano essi stessi a ricevere una tale felicità sulla base del sangue irriscattato di una piccola vittima e, una volta accettato questo, vivano felici per sempre?»
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I Fratelli Karamazov

Le efferatezze compiute da gruppi di seguaci del movimento Hamas il 7 ottobre, assolutamente spietate, ingiustificate e da condannare, hanno innescato, come era facile da prevedere, una cascata di altre non meno orrende e immense atrocità.
Siamo (razionalmente ed emotivamente) sconvolti dal genocidio che si sta perpetrando davanti ai nostri occhi inerti e impotenti di un popolo calpestato e umiliato da più di 70 anni con la complicità totale delle grandi potenze e dei loro sudditi; il pensiero unico e asservito (volontario o non volontario) è il primo colpevole e movente di questo crimine immane.
Siamo sconvolti dall’indifferenza e dall’egoismo delle moltitudini, dall’ignobile e vergognoso appoggio che da tutte le parti viene a un genocidio voluto e programmato, e le poche voci diverse che si levano per tentare di restituire una realtà storicamente e culturalmente più differenziata e complessa sono messe a tacere o additate come folli e pertanto pericolose.
Per ogni bambino e anziano innocente morto sotto le bombe di una delle armate (tecnologicamente e ideologicamente) fra le più potenti e addestrate al mondo ci vorrebbero non una singola reazione di sdegno e di condanna ma un’infinità di prese di posizione, non un solo atto di resistenza ma una resistenza civile senza fine.

Chi pagherà per quei bambini e quegli anziani ammazzati perché appartenenti a un popolo “inferiore”, esseri umani per sembianza fisica ma in fondo “animali” (così si è espresso un ministro israeliano), e perciò considerati indegni di vivere? Nessuno pagherà quei morti, come nessuno ha pagato quelli che ci sono stati in Iraq e in molti altri Paesi, colpevoli soprattutto di non essersi conformati al modello unico del capitalismo statunitense e occidentale della Nato e della UE (ma l’Occidente è tutt’altra cosa, le sue radici e i suoi valori sono ben altri! E l’Europa è stata nei secoli un’altra realtà del tutto diversa da quella che vediamo oggi, e il progetto europeo aveva altri contenuti e obiettivi!), perché la coscienza non esiste più come forza critica e vitale, espressione nobile e universale di libertà-e-giustizia. Anzi molti autori di quei crimini anche recenti si sono arricchiti e hanno ricevuto premi in più passando alla storia come uomini di pace ed esempi di saggezza!

Neanche le campane suonano più (avrebbe detto Saramago) per chiamare uomini e donne ad essere consapevoli della realtà e a ribellarsi contro i soprusi più assurdi e le ingiustizie più disumane.
Siamo sconvolti dallo smarrimento dell’uomo che oramai non sa più distinguere, capire, cooperare, che è incapace di provare dolore e vicinanza, che trasforma la più immensa delle tragedie in un avvilente e indegno spettacolo mediatico. Si sta (ri)affermando la parte dell’uomo più bassa e vile che sta comandando sulle masse e guidando il destino del mondo portandolo verso il baratro. Molti, troppi uomini, in particolare fra quelli che detengono nello loro mani il destino di milioni di persone, stanno degenerando in esseri inferiori privi di ragione (…in inferiore, quae sunt bruta, degenerare…, Pico della Mirandola). “L’incivilimento smisurato” e lo “snaturamento senza limiti” (di cui parlava Leopardi nel suo Zibaldone), che trovano la loro più truce espressione nella soppressione degli altri esseri umani e di quanto rende possibile biologicamente e culturalmente la loro vita, oramai caratterizzano la nostra realtà quotidiana.
È un tormento vedere quei bambini e anziani morire nelle loro case o negli ospedali dove cercano disperatamente l’ultima àncora di salvezza, l’ultimo rifugio, l’ultima speranza di vita. La sofferenza degli innocenti (bambini, anziani, malati) e la loro eliminazione è il male supremo. Il pensiero di Dostoevskij (ne “I fratelli Karamazov”) sui bambini innocenti che soffrono e muoiono (spesso nel nome di un dio in cui si dice di credere e al quale ci si affida) ci tocca nell’animo più profondo, ci parla e incita a ribellarci a uno stato di cose inaccettabile, che ha le sue molteplici cause non sempre facili da comprendere, ma che non è tuttavia affatto ineluttabile.

In questi giorni molte maschere stanno cadendo, di governi, organizzazioni nazionali e mondiali e singoli individui (in primis di politici, giornalisti e intellettuali) e la loro totale ipocrisia e il loro becero cinismo traspaiono pienamente. È terribile constatare come ci sia una maggioranza di uomini (nell’Occidente in decadenza) che si mostrano indifferenti o approvano e addirittura appoggiano il genocidio in corso, questo massacro di un popolo inerte e indifeso (ripetiamo, soprattutto bambini, anziani e malati). È una cosa orrenda, rivoltante, inaccettabile, culturalmente, politicamente, moralmente, semplicemente umanamente.
Viviamo una crisi profondissima e abissale di un modello di civiltà, dell’intera umanità, dell’uomo, dello spirito. Ma non c’è consapevolezza di ciò o ce n’è troppo poca, non abbastanza per costituire una forza critica e costruire un altro modello e progetto di società e di cultura. Come non capire ormai, anche di fronte ai recenti terribili fatti, che non solo non viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma che un altro mondo è possibile, fondato su modelli culturali e valori morali radicalmente diversi?
Dobbiamo agire in un orizzonte culturale in cui dominano incontrastate l’indifferenza, la viltà e l’ipocrisia. Da qui la difficoltà ad incidere anche minimamente sullo stato delle cose. Ci vuole un nuovo inizio, occorre un altro modo di pensare, un altro linguaggio, una diversa concezione della natura e una diversa visione dell’uomo.
Dalla noche oscura del alma si uscirà forse solo quando avremo avuto il coraggio di recidere le “catene” del nostro asservimento fisico e mentale e ritrovato il cammino del pensiero autonomo e critico (della consapevolezza e della coscienza) e della dignità umana (che altri chiamano spirito o anima).

Eleusi. Una negazione

Piccolo Teatro – Milano
Eleusi
di Davide Enia
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
10-11 giugno 2023

Dalle ore 21.00 del 10 giugno 2023 alle ore 21.00 del giorno successivo in due delle sedi del Piccolo Teatro di Milano è andata in scena una recitazione collettiva che ha visto al Teatro Studio l’alternarsi di 32 cori mentre una voce registrata raccontava fatti di violenza, senza nomi di persone e di luoghi ma assai probabilmente riferiti ai viaggi dei migranti dall’Africa del Nord all’Europa; al Teatro Grassi a ogni inizio d’ora e per una ventina di minuti sono stati messi in scena alcuni brevi testi dedicati a violenze, torture, sottomissioni.
Che cosa c’entra una simile operazione con il titolo Eleusi? Che cosa hanno a che fare le espressioni della ὕβρις contemporanea con il rito greco? Nulla, non hanno in comune nulla.
I Greci non erano moralmente buoni ma antropologicamente disincantati. I Greci non erano misericordiosi ma feroci. I Greci non erano accoglienti: l’ospite per loro è sacro come individuo, non certo come masse di popolazioni, all’arrivo delle quali rispondevano ovviamente con le armi. I Greci non erano sentimentali ma leggevano gli eventi alla luce del cosmo; il Timeo è una delle più profonde testimonianze di questo atteggiamento ma è l’intera cultura greca a esserne pervasa. I Greci, in una parola, non hanno nulla a che fare con le miserie, la viltà, le ipocrisie, il conformismo e la sottomissione che intridono le società contemporanee e che emergono in modo evidente in operazioni come questa realizzata dal Piccolo Teatro. Il quale è transitato negli ultimi anni da Brecht e da un progetto di emancipazione  politica a una pressoché completa omologazione alle mode morali del presente.
I testi letti mentre i cori cantavano tendono, nella loro crudeltà, a suscitare emozione e, probabilmente, a convincere che i migranti vanno accolti tutti. Ma è proprio questa stolta convinzione una delle principali cause delle crudeltà subite dai migranti. Ne ho parlato in passato anche in questo stesso sito sulla base di testi scientifici ben documentati, come ad esempio l’indagine di grande valore dal titolo La ruée vers l’Europe. La jeune Afrique en route pour le Vieux Continent (Grasset, Paris 2018, tradotta in italiano da Einaudi).
A favorire violenza, annegati e morti sono le ONG che dispongono di grandi risorse finanziarie (provenienti da dove?), che con un sistema di collegamenti satellitari conoscono le rotte delle imbarcazioni prima ancora che esse si mettano in mare, che sono complici degli scafisti, dei trafficanti di persone umane; ONG che sono una delle espressioni contemporanee del colonialismo e dello schiavismo che depauperano il continente africano del ceto medio (i più ‘poveri’ non hanno neppure i soldi per tentare il viaggio) e producono conflitti etnici in Europa. Quei conflitti che poi le stesse ONG e i cittadini ‘solidali, inclusivi e accoglienti’ denunciano con la parola-grimaldello razzismo. A essere ‘razzisti’ sono coloro che ritengono l’Africa un luogo di inferiorità culturale dal quale fuggire. Il colonialismo ha molte forme e le ONG ‘in soccorso dei migranti’ sono una di esse. Più in generale è in atto – mediante televisione, giornali, teatri, social network- una tendenza alla semplificazione emotiva e sentimentale di complessi problemi sociali e politici il cui esito è l’aggravarsi di tali problemi.
Al contrario, se si vuole fare lo sforzo di capire al di là dello spettacolo emotivo, il flusso senza interruzioni di migranti dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa conferma le tesi marxiste a proposito dell’«esercito industriale di riserva», la cui disponibilità serve ad abbassare i salari e a incrementare il plusvalore: «Un esercito industriale di riserva disponibile [eine disponible industrielle Reservearmee] che appartiene al capitale in maniera così assoluta come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese. Esso crea per i propri mutevoli bisogni di valorizzazione il materiale umano sfruttabile sempre pronto [exploitable Menschenmaterial]» (Il Capitale, libro I, sezione VII, cap. 23, «La legge generale dell’accumulazione capitalistica», §§ 3-4).
Ma perché porre questa propaganda a favore della globalizzazione capitalistica sotto il titolo Eleusi? Una risposta superficiale consiste nel ritenere che chi ha scelto il titolo non sappia nulla di Eleusi e della società greca o che abbia cercato di trovare un titolo che funga da tipico ‘specchietto per le allodole’. Una risposta forse più profonda potrebbe far riferimento al bisogno di nobilitare la violenza contemporanea ponendola sotto l’egida di una civiltà che viene inconsciamente percepita come superiore. Ma proprio per questo i Greci non possono essere strumentalizzati nel modo sfacciato e miserabile di Eleusi.
«Come a Eleusi, così a Samotracia, Dioniso è dio segreto dei Misteri» (Angelo Tonelli, Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia antica , Feltrinelli 2021, p. 292) durante i quali si venera anche il fallo e ci si immerge in un rito di iniziazione nient’affatto ‘inclusivo’ ma riservato a pochi. In La sapienza greca Giorgio Colli scrive infatti che «l’accesso al peribolo sacro di Eleusi era proibito ai non iniziati, a costo di pene gravissime», un brano citato nel programma di sala (p. 37), così come altri testi (di Mircea Eliade, ad esempio) che però non hanno alcun collegamento con questa operazione teatrale e anzi ne rappresentano la negazione.
I misteri di Eleusi erano volti a rendere l’umano una sola cosa con Γῆ e con Demetra, con la Madre Terra e con il suo perenne rinascere. Che cosa ha a che fare tutto questo con la dismisura contemporanea delle azioni e dei sentimenti? La motivazione data da Davide Enia è la seguente: «Si chiama Eleusi, perché, nell’antica Grecia, quella era la città dove ci si recava in pellegrinaggio rituale, e anche qui ci si sposta tra un teatro e l’altro per accostarsi a un “mistero”» (programma di sala, p. 7). Una motivazione inaccettabile nella sua pura esteriorità analogica. Che lascino in pace i Greci, una buona volta, e chiamino le loro operazioni intrise di ‘accoglienza’ con i nomi contemporanei del dominio e della menzogna.

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