RiEvolution.
I grandi rivoluzionari dell’arte italiana. Dal futurismo alla Street art
Palazzo della Cultura – Catania
A cura di Raffaella Bozzini e Giuseppe Stagnitta, con il coordinamento storico-scientifico di Marco Di Capua
Sino al 7 gennaio 2024
Rara è a Catania, e in Sicilia in genere, l’occasione di intraprendere un percorso così ricco e articolato nell’arte del Novecento. 130 dipinti, sculture, installazioni, video che vanno dal Futurismo al presente e che mostrano ciò che a più di un secolo dai suoi inizi è la poetica del Novecento, una poetica unitaria e ben riconoscibile nonostante la grande varietà di forme, nomi, espressioni, materiali, ideologie.
Astrattismo e realismo; formalismo e intenti politici; materiali poveri di uso quotidiano e materiali di nuovissima invenzione; vibrazioni tragiche e declinazioni puramente tecniche si intrecciano, si confondono, dialogano e producono il risultato di un divertimento dal quale si apprende. La svolta romantica ha segnato ciò che Giuseppe Frazzetto ha esattamente descritto come metamorfosi dell’artista artigiano nell’artista sovrano, il quale abbandona la prospettiva, un punto di vista oggettivo sul mondo, a favore di una pluralità di punti di vista creati dall’artista stesso, padrone dello spazio, delle relazioni, delle durate e della stessa indicazione di qualsiasi oggetto o situazione come arte. Da allora siamo immersi nella funzione collettiva e sociale, e soprattutto nella valenza radicale, ontologica, del fatto artistico dentro il mondo umano.
Ben si vede anche da questa mostra come l’estetica contemporanea pensi – in modo più o meno radicale ma pervasivo – all’opera come manipolazione di materiali che si fa smascheramento, leggerezza, denuncia e sorriso. Nella prima sala appaiono subito le scatolette nelle quali Piero Manzoni racchiuse la sua «merda d’artista», uno degli esiti più ironici ed emblematici del Novecento.
Nel 1939 Charles Morris propone di cogliere nell’arte non più enunciati – segni che vogliono dire qualcosa al di là di sé – bensì iconi, segni che non rinviano ad altro ma presentano il significato, lo incorporano in se stessi. L’opera d’arte non significa nulla al di là del proprio stesso significare, la potenza della forma. Questo non vuol dire, però, che l’arte sia solo un gioco. È anche un gioco ma nel suo carattere ludico diventa la sostanza stessa delle società e degli umani. Sta qui il nucleo delle avanguardie, la loro perenne fecondità.
In un corso di estetica tenuto a Berlino nell’a.a. 1822-23 Hegel argomenta come l’arte sia «inferiore al pensiero per l’espressione; ma fa intravedere il pensiero, l’idea; contrariamente al mondo sensibile dove è immediatamente nascosto il pensiero. L’arte non si distingue, del resto, dalla maniera in cui appare» (Estetica. Il manoscritto della «Bibliothèque Victor Cousin», a cura di Dario Giugliano, Einaudi 2017, p. 3, foglio 1 del manoscritto). La sostanza dell’arte è dunque fenomenologica, è l’apparire. Nell’apparire dell’opera d’arte confluiscono pertanto la forma/espressione, il contenuto/concetto, la società che li genera.
Elementi ed esperienze che appaiono assai chiari anche nel percorso dentro il fare artistico contemporaneo che questa mostra consente di intraprendere.
La foto di apertura rappresenta l’opera di Grazia Varisco Filo rosso F (2009).