Skip to content


Psiche / Ade

Enrico Palma
L’anima. Ψυχή
vol. 12 della collana Greco. Lingua, storia, cultura di una grande civiltà
Corriere della Sera, 2022
Pagine 160

Ventiquattro volumi, ventiquattro parole, ventiquattro modi per accostarsi a «un archetipo di vita intramontabile, nell’orizzonte del quale ancora ci muoviamo, agiamo, pensiamo e in grazia di cui attribuiamo un senso al nostro esistere al mondo» (p. 63), per accostarci ai Greci. Parole quali πόλεμος, la guerra; τέχνη, la tecnica; λόγος, la filosofia; νόμος, la legge; μῦθος, il mito; ἀρχὴ, il potere, e altre parole/mondi costitutivi dell’identità europea, delle sue lingue.
Tra questi concetti c’è quello che dà titolo al dodicesimo volume della collana: ψυχή. Tradotta con il tradizionale «anima», questa parola si mostra nell’argomentare di Enrico Palma assai più sfuggente, ricca, complessa. È un nucleo intorno al quale si addensa un intero mondo di significati, credenze, concetti: ψυχή è «vita spirituale», «vibrazione del corpo che si manifesta nell’istante del suo abbandono», «mente» e «corpomente» (pp. 15-17) ed è ancora altro nel variare dei tempi, dei generi letterari, dei contesti quotidiani, teoretici, religiosi.
Questo volume è anche una sintetica storia della filosofia antica; una storia che comincia con Omero e si conclude con l’ellenismo. Storia che ha due dei suoi protagonisti in Dioniso «che sprigiona le energie occulte e libera nella gioia coloro che scelgono di votarsi a lui» (39) e in Platone, «evocare [il quale] significa affermare la grandezza del pensiero e la fiducia nella razionalità, intraprendere un cammino luminoso e numinoso di trasformazione di se stessi in luce e divinità» (55).
Dentro, accanto e sopra la parola ψυχή abita e vive un’altra parola fondante: ἀλήθεια, verità, che Palma traduce e spiega in un modo heideggeriano, vale a dire profondo e universale: «Ma cos’è la verità? È l’apertura di ciò che si mostra e che emerge dal non nascosto, il taglio di luce in cui avviene la giusta e illuminata visione del mondo» (54).
Ψυχή appare in questo libro parola fortemente prassica, legata al mondo dei riti mortuari e delle credenze relative alla fine; una delle fonti è giustamente Erwin Rohde, con il suo Psiche. Culto delle anime e fede nell’immortalità presso i Greci.  Ma è parola legata anche al mondo dei vivi e delle loro passioni; un’altra fonte è Dodds, I Greci e l’irrazionale.
Che sia vita o che sia morte, vale a dire che sia tempo, la potenza di ψυχή è unita a quella di Ἅιδης, l’invisibile, l’oscuro, il vero regno della moltitudine, il regno dei morti; «Ade è un nome del Niente», come scrivono (a p. 10) i curatori della collana Monica Centanni e Paolo B. Cipolla.
Una continuità tra l’essere e il nulla che Palma sa bene mostrare e alla quale affida la conclusione del suo testo: «E allora quando l’alito della morte chiederà il nostro soffio di vita, lo daremo. Senza amaramente piangere, ma gioiosamente sorridendo» (65). Anche di questo i Greci sono capaci.

Silenzio

Mulholland Drive
di David Lynch
USA-Francia, 2001
Con: Naomi Watts (Betty Elms / Diane Selwyn), Laura Elena Harring (Rita / Camilla Rhodes), Justin Theroux (Adam Kesher), Angelo Badalamenti (Luigi Castigliane)
Trailer del film

Un classico ironico e visionario. Che nella prima parte si fa gioco di Hollywood e dei suoi stereotipi. E nella seconda guarda il mondo come lo percepisce e vive un corpomente folle, riuscendo a trasmettere in immagini la dissoluzione dell’identità, il vagare del tempo, l’oscillare dell’essere in realtà materica, ricordi ossessivi, visioni da incubo, desideri di piacere e di morte.
Un gangster movie, un western, una commedia, un giallo, una psiche, l’entrare negli oggetti e da essi far aprire e scaturire gli eventi e le cose. Nell’inconscio, se qualcosa del genere esiste veramente, tutto è in realtà visibile e Lynch lo fa vedere.

«La malattia mentale è in primo luogo una distorsione ermeneutica, una metastasi dei significati fondata sulla proliferazione delle analogie, dei segni, della confusione semantica che non sa più distinguere e collocare il senso di ciò che accade. […]
Quando il futuro si chiude, è la vita che finisce. La morte psichica, in particolare nelle sue manifestazioni schizofreniche e malinconico-depressive, è esattamente tale chiusura, è il rifiuto dell’avvenire, di ciò che ha da venire: “Quando i vissuti si immobilizzano e non c’è più in essi divenire, la storia dell’io e anche la storia del mondo si arrestano; e non sopravvivono se non forme di esperienza irreali, statiche e spettrali”1. La dissoluzione della costituzione psichica del tempo e di quella trascendentale della temporalità costituiscono la più profonda radice e scaturigine della Lebenswelt schizofrenica. In essa il tempo si fa immobile, diventando un tempo ancora una volta spazializzato.
Lo spaziotempo è una struttura unitaria nella sua costituzione e molteplice nelle sue espressioni. Nella malattia mentale il tempo si riduce invece al passato -diventando un tempo morto- e lo spazio si restringe diventando luogo interiore dell’angoscia. […]
I luoghi cambiano continuamente di significato in relazione alla nostra tonalità emotiva, i luoghi sono anche la proiezione della psiche nella materia. […] Schizofrenia e depressione costituiscono una significazione dello spaziotempo personale chiusa all’incontro con lo spaziotempo altro. Sono dunque forme patologiche dell’identità che pure siamo ma che privata della relazione fondante con la differenza non può che morire alla pluralità che il mondo è»2.
Non a caso, naturalmente, l’ultima parola del film è «silenzio».


Note

1. E. Borgna, I conflitti del conoscere. Strutture del sapere ed esperienza della follia, Feltrinelli 1988, p. 114.
2. Temporalità e Differenza, § 9, pp. 59-60.

Psiche

Transfert
di Massimiliano Russo
Italia, 2017
Con: Alberto Mica (Stefano Belfiore), Massimiliano Russo (Stefano), Paola Roccuzzo, Clio Scirè Saccà,  Rossella Cardaci, Rosario Pizzuto
Trailer del film

Dentro i meandri della psicoterapia, sullo sfondo del cielo e del mare di Catania, nella notte e nella metropolitana, tra le carte e le parole, sui letti e davanti agli specchi che moltiplicano le figure, le scompongono, le agglutinano, le separano, le dissolvono e ne ratificano il dolore.
Quando Stefano Belfiore riceve e ascolta i suoi pazienti c’è sempre uno specchio dietro di lui, che dei pazienti riflette la presenza. Ma che cosa significa presenza? In quanti modi si può essere presenti alla mente? La descrizione degli altri umani è anche la descrizione di ciò che noi stessi siamo, della differenza che vorremmo marcare, dell’identità che a loro ci accomuna.
Una sceneggiatura matura, nella quale non ci sono affermazioni superflue e battute fuori posto. Una tensione che va seguita dall’inizio alla fine con molta cura, per non smarrire un filo che si intrica, si dipana, si scioglie e ci sorprende. Una recitazione scandita e mediterranea, esagerata e sottile, sorridente e fredda. L’intrico può sembrare estremo ma -come sappiamo da Pirandello e da altri gorghi- la vita vissuta è a volte più improbabile della vita immaginata.
C’è chi vuole diventare psicoterapeuta e chi, invece, vuole diventare paziente.

Insetti / Depressione

Effetti collaterali
(Side Effects)
di Steven Soderbergh
Con: Rooney Mara (Emily Taylor), Jude Law (Jonathan Banks), Catherine Zeta-Jones (Victoria Siebert),  Channing Tatum (Martin Taylor), Vinessa Shaw (Deidre Banks)
USA, 2013
Trailer del film

Il giorno del suo matrimonio Emily vede arrestare il marito Martin per un reato finanziario, l’insider trading (o “asimmetria informativa” nelle operazioni di compravendita finanziaria). Un elemento, questo, che all’inizio sembra secondario ma che nel corso della vicenda diventerà centrale. In ogni caso, Emily ne viene sconvolta e cade in uno stato di profonda depressione che la spinge a tentare il suicidio anche dopo che Martin è uscito dal carcere. In ospedale incontra uno psichiatra -il dottor Banks- che le propone l’utilizzo di un nuovo ansiolitico in corso di sperimentazione. Gli effetti collaterali di questo farmaco si riveleranno però drammatici, sino a sconvolgere la famiglia di Emily e quella di Banks. Sullo sfondo sta Victoria Siebert, la psichiatra che aveva avuto precedentemente in cura la donna.

Nella prima parte il film tenta -riuscendoci- qualcosa di temerario: mostrare il mondo come lo vede un depresso. Grigiore, nebbia interiore, oggetti e situazioni senza reciproche relazioni, stanchezza, insignificanza, raggomitolarsi in se stessi, pianto, vuoto. La raffinata tecnica cinematografica di Soderbergh è capace di entrare in questi meandri interiori e trasformarli in immagine. È sicuramente la parte che vale l’intero film. Poi, Effetti collaterali diventa un buon thriller teso e conseguente. Ma niente di più. L’opera accenna anche agli enormi interessi finanziari che stanno dentro e dietro l’attività e i profitti delle case farmaceutiche ma il significato del film sta nello sguardo freddo e nelle modalità oggettive con le quali il mondo del depresso viene analizzato sin nei dettagli. La cinepresa diventa un entomologo che osserva, scruta, fruga la psiche diventata puro movimento di un insetto triste.

 

Vai alla barra degli strumenti