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Napoli Napoli Napoli

di Abel Ferrara
Con: Luca Lionello, Salvatore Ruocco, Benedetto Sicca, Salvatore Striano
Italia/USA, 2009

Affascinato dalla bellezza e dalla violenza di Napoli, Abel Ferrara ascolta le storie di chi la abita nei quartieri spagnoli, nei bassi, nelle orribili “vele” di Scampia; di giornalisti, magistrati, organizzatori dei centri sociali. Va nelle carceri a vedere e a cercare di capire, intervistando soprattutto delle detenute, quasi tutte in galera per spaccio di stupefacenti. Intreccia poi questi racconti a delle ricostruzioni di episodi di malavita.

Il cuore nero e pulsante della città partenopea emerge in tutta la sua tenacia irredimibile. Nessun compiacimento e nessun alibi. Ma le storie di queste donne dicono molto non solo della violenza da loro esercitata e sinceramente ammessa ma anche degli apparati e delle istituzioni che dovrebbero reprimerla. Una ragazza senza più il padre e con la madre gravemente malata chiede in commissariato di incontrare il fratello più giovane arrestato da poco. Quando lo vede pestato si ribella e per questo viene condannata a due anni di carcere, per direttissima. Fior di banditi della Banca d’Italia, dei ministeri, delle imprese, grandi ladri che rubano milioni di euro rimangono ricchi e liberi -quando non stanno al potere- e una giovane donna viene buttata in carcere per aver spinto dei poliziotti. La violenza dello stato, anch’essa irredimibile.

Palermo, Milano, Bronte. Il fantoccio.

Noi sappiamo. Il suo primo finanziatore ha studiato nello stesso luogo dove ho studiato io. Sappiamo che le enormi somme con le quali a Milano cominciò la trista avventura del fantoccio vennero dall’Isola. Non si è fatto da sé, costui, ma lo hanno fatto i soldi di Palermo. «E comunque quel che deve intimorire e intimorisce oggi il premier non è la personale credibilità presso le cancellerie dell’Occidente, ma fin dove si può spingere e si spingerà l’aggressione della famiglia mafiosa di Brancaccio, determinata a regolare i conti con l’uomo – l’imprenditore, il politico – da cui si è sentita “venduta” e tradita» (Fonte: Repubblica, 28.11.2009).
Non c’è alcuna grandezza, in tutto questo. Non c’è, soprattutto, politica. “Destra, sinistra, comunismo, libertà…” diventano qui parole vuote, segni violenti e violentati. C’è solo la realtà dei soldi, soldi, soldi. I siciliani sono i padroni dell’Italia. Lo sono dallo sbarco dell’esercito statunitense, che affidò le amministrazioni locali ai mafiosi siculo-americani, passando per Scelba e Portella della Ginestra, per Andreotti -sfinge e interfaccia dei palermitani-, per il messinese Sindona, e arrivando al presente. I siciliani, i mafiosi sono i padroni dell’Italia. Oggi più che mai. La palma è arrivata ai confini, e va oltre. C’è da esserne orgogliosi.

È tutto.

«L’Italia è sempre più corrotta. O almeno è percepita come tale. Il nuovo rapporto di Transparency ha fatto precipitare il Belpaese dalla 55ma posizione dell’anno scorso alla 63ma di quest’anno, con un punteggio di 4,3 contro il 4,8 del 2008. Meglio dell’Italia si piazzano la Turchia e la Slovacchia. I Paesi meno corrotti sono la Nuova Zelanda e la Danimarca, quelli che fanno peggio sono la Somalia e l’Afghanistan»
( Fonte: la Repubblica, 17 novembre 2009 )

Tra i tanti casi, situazioni, complicità, immense facce toste che lo confermano, uno dei più chiari -ma meno discussi, anche dalla cosiddetta “opposizione”- è quello di Nicola Cosentino, viceministro dell’economia, con una richiesta di arresto da parte della magistratura per «concorso esterno in associazione camorristica». E che rimane dentro il governo italiano, come se fosse cosa normale. Normale infatti è, per uno degli stati e dei popoli più corrotti al mondo.

Il ghigno

«Egli era allora, come oggi, il tipo concentrato del piccolo borghese italiano, rabbioso, feroce, impasto di tutti i delitti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti».
Così scriveva Antonio Gramsci su Ordine Nuovo del 15 marzo 1924. Si riferiva a Benito Mussolini ma la rabbia, il ghigno, la miseria umana, l’impasto dei delitti contro la libertà e la dignità dello stare al mondo, valgono assai più oggi che allora. Ottant’anni trascorsi invano. A conferma che nella storia non si dà progresso e che aveva ragione Étienne de La Boétie sulla «servitù volontaria» alla quale individui e masse si consegnano.

Capitalism: A Love Story

di Michael Moore
USA, 2009
Trailer del film

Inizia con lo spezzone di un vecchio documentario dedicato alle ragioni della caduta dell’Impero Romano, dal quale risulta evidente l’analogia con la situazione dell’Impero americano. Il secondo inizio è costituito da una serie di brevi filmati di rapine in banca, riprese da telecamere di sorveglianza. Finisce con il regista che circonda l’edificio della Borsa a Wall Street con uno di quegli adesivi arancioni coi quali la polizia delimita la “scena del crimine”. E infatti ciò che Moore racconta è una rapina senza confronti, senza precedenti, senza misura, perpetrata dall’1% dei cittadini statunitensi contro tutti gli altri e verso l’intero pianeta. Mutui subprime, derivati e altre invenzioni della finanza criminale -ma del tutto legalizzata- vengono spiegati con chiarezza e senza un briciolo di noia; spiegati soprattutto nei loro effetti: famiglie intere private della loro casa e costrette a vivere in automobile; migliaia di operai lasciati senza lavoro da un giorno all’altro; “contadini morti” e cioè cifre assicurative milionarie intascate dalle aziende per la scomparsa dei loro impiegati, senza che le famiglie lo sappiano e mentre subiscono lutto e danno. In questo modo, un impiegato è molto più redditizio da defunto che da vivente. E poi gli intrecci strettissimi tra il Ministero del Tesoro USA e la Goldman Sachs e le altre banche, vere padrone e vero flagello dell’economia statunitense e mondiale.

Tutto narrato con la consueta vivacità e ironia intessute alla tragedia. Da riso aperto le scene tratte dal Gesù di Zeffirelli, doppiate in modo da garantire beatitudine non ai poveri ma al capitalismo, visto che questo sistema viene presentato come del tutto conforme alla fede cristiana, nonostante alcuni preti e vescovi qui intervistati neghino la compatibilità tra il principio capitalista del profitto e l’etica cristiana del dono. Pur con delle lodi a volte eccessive a F.D.Roosevelt e a Obama, il film è imperniato sul conflitto tra capitalismo e democrazia e si conclude con l’affermazione che «il capitalismo è il male, e il male non si riforma: si abbatte». Più di questo non si può chiedere a un regista statunitense. Dopo il muro dell’89 andrebbe infatti abbattuto l’altro muro, assai più radicato e potente, quello che sta nel nome stesso di Wall Street. Il miglior film di Moore.

Catania, finalmente legale

Catania, la città dove lavoro, è uno dei luoghi più illegali d’Europa. Con le recenti amministrazioni guidate (si fa per dire) dal medico e farmacista personale di s.b. è ulteriormente precipitata nel caos, nella bruttura, nell’insicurezza, nel controllo mafioso. Ma questo solo sino al 30 ottobre 2009, quando all’alba le forze di polizia hanno restituito Catania alla legalità sgomberando con la violenza dei manganelli il centro sociale Experia, uno spazio occupato di via Plebiscito dedicato da anni al tentativo di riqualificazione sociale di uno dei quartieri più malavitosi della città.
Invito a vedere il filmato qui sotto e a leggere il testo scritto dalla Redazione di girodivite.it: Lo sgombero dell’Experia

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=PDxY-SGJ99w[/youtube]

Pestiamoli

Alcuni siti e quotidiani hanno pubblicato le fotografie di Stefano Cucchi, un tossico ammazzato dalle “forze dell’ordine” perché trovato in possesso di 20 grammi di hashish. Vari benpensanti ritengono che in fondo lui, come anche per esempio Aldo Branzino o Federico Aldrovandi, se la sia cercata; che se non vai in giro con la droga queste cose non ti succedono.
Sono sempre d’accordo con le persone per bene e quindi propongo di riservare il medesimo trattamento ai numerosi deputati, senatori, ministri o sottosegretari della Repubblica, amministratori pubblici, agiati e noti imprenditori privati, uomini e donne di spettacolo che utilizzano, comprano, cercano ogni giorno cocaina e analoghe sostanze, in questo modo alimentando il crimine. Pestiamoli, pestiamoli duro, pestiamoli sino a cavare loro il sangue. Se le cercano, no? E se poi vanno pure a puttane (“escort” o “trans” che siano) eviriamoli, così imparano.
Non sono soltanto servi e ladri, gli italiani, ma anche un popolo di ipocriti, ammirando nei potenti le stesse azioni che ai deboli costano la morte.

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