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1984

di George Orwell
(Nineteen Eighty-Four, 1949)
Trad. di Gabriele Baldini
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998
Pagine XI – 327

In una mattina di aprile dell’anno che forse è il 1984 Winston Smith torna a casa e comincia a scrivere i propri pensieri in un quaderno che ha da poco acquistato. Ecco: questa è la sua colpa, lo psicoreato che aveva già cominciato a commettere e che adesso è provato dalla sua stessa scrittura. Winston Smith vive, infatti, in Oceania, uno dei tre stati sovracontinentali nati dalla guerra atomica degli anni ’50.
In ciascuno di essi

«LA GUERRA È PACE
LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ
L’IGNORANZA È FORZA»
( p. 8 )

Winston lavora presso il Ministero della Verità, il cui compito è la falsificazione sistematica e la creazione di documenti che modifichino il passato. Infatti, «chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato» (260). In questo luogo, Smith lavora 60 ore alla settimana in quanto membro del Partito esterno. Su quest’ultimo domina il Partito interno il cui braccio operativo è la Psicopolizia e su tutti sta il Grande Fratello. Alla base della scala sociale, infine, vi sono i cosiddetti prolet, masse ignoranti e povere di milioni di persone alle quali è permessa una maggiore libertà di azione e di pensiero poiché esse pensare non sanno. In ogni caso, anche le masse vengono esaltate e controllate tramite la propaganda incessante contro il nemico interno ed esterno.

In questo mondo senza luce, Winston incontra Julia. Membro anche lei del Partito esterno, non crede ai suoi dogmi e cerca di godere della propria vitalità sessuale, atteggiamento che costituisce una forma di disobbedienza al Partito, il quale ha fra i suoi scopi quello di «abolire lo stesso piacere sessuale» (280). I due si incontrano quando possono, cercando di sottrarsi ai teleschermi che controllano ogni gesto quotidiano. Un giorno, O’Brien, membro del Partito interno, invita Winston a casa propria e gli rivela l’esistenza di un’opposizione al Regime guidata da Goldstein, vecchio fondatore del Partito e ora suo principale nemico e autore di un testo clandestino dal titolo La teoria e la pratica del collettivismo oligarchico. Winston e Julia decidono di entrare nella Fratellanza ma dopo qualche tempo vengono arrestati. Da qui comincia l’ultima intensissima parte del romanzo. A interrogare e torturare Winston è O’Brien che gli rivela come gli scopi del Partito siano ben più radicali di qualsiasi passata Inquisizione, di qualsiasi Regime totalitario del ventesimo secolo poiché il Partito vuole l’anima di chi ha pensato di resistergli e non uccide il colpevole finché questi non sia totalmente e sinceramente convinto della propria colpa e non provi autentico Amore per il Grande Fratello. A questo limite, infatti, sarà condotto Winston in un finale tanto terribile quanto malinconico e chiuso a qualsiasi speranza.

Si tratta di un libro chiave. E non solo per la potente forza visionaria, non solo per la scrittura lucida ed essenziale. È un libro che smaschera l’essenza del Potere il cui fine è lo stesso Potere. Orwell compie una singolare fusione di machiavellismo e anarchismo, il cui risultato è l’estrema, esaltata felicità con la quale O’Brien descrive il vero significato del Partito:

«I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinarono molto ai nostri metodi, ma non ebbero mai il coraggio di dichiarare apertamente i loro motivi, le loro ragioni. (…) Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere» (276).

La dottrina posta a fondamento di tale obiettivo consiste in una sorta di solipsismo antropocentrico, convinto che «non esiste nulla se non nella mente dell’uomo (…) non c’è niente al di fuori e oltre l’uomo. (…) La terra è il centro dell’universo. Il sole e le stelle ci girano attorno» (278-279). Un solipsismo collettivo che intende eliminare alla radice qualsiasi dimensione individuale, pensiero soggettivo, ambito privato. I teleschermi presenti ovunque, l’elaborazione della neolingua che riduce all’essenziale il numero delle parole, la vita in grandi alveari umani, la trasformazione dei figli nei primi nemici dei loro genitori -bambini trasformati in «una sottosezione della Psicopolizia» (142)-, la partecipazione obbligatoria alle iniziative serali dei Centri sociali, fanno sì che «nulla si possedesse di proprio se non pochi centimetri cubi dentro il cranio» (31) ma anche questo spazio alla fine sarà perduto. Lo stare da soli è già ragione di grave sospetto, così come il possesso o il desiderio di «qualsiasi oggetto antico o anche soltanto bello» (101) e dei libri, i quali vengono sistematicamente distrutti e sostituiti dalle opere collettive del Partito o da romanzi per i prolet elaborati con strumenti meccanici. L’ortodossia, quindi, consiste nel «non pensare, non aver bisogno di pensare. L’ortodossia è non-conoscenza» (57). E solo questo, infatti, interessa al Partito. Non le azioni compiute ma i pensieri che quelle azioni hanno prodotto
Nessuno ha mai visto il Grande Fratello poiché egli è la personificazione del Partito, è «la mente del Partito, che è collettiva e immortale» (261). 1984 è un libro molteplice, dai significati diversi e complessi. Un testo che descrive come lentamente si spegne l’ultimo uomo in Europa, che mostra la necessità del pensiero ribelle attraverso un incubo politico e televisivo nel quale individui e collettività vengono letteralmente cancellati dal servilismo assoluto verso il potere, verso la sua immagine.

La cosa

Leggo in questi giorni (su segnalazione di Dario Sammartino) quanto Franco Cordero ha scritto su Repubblica del 10 febbraio scorso.

«L’attuale incantatore non ha mondo psichico: ammesso che esista un’anima, misteriosamente combinata alla macchina corporea, l’Ingegnere cosmico s’era dimenticato d’infondergliela; sotto l’aspetto d’un giulivo imbonitore (quale appariva nella fase rampante) appartiene alla famiglia dei caimani, il cui modello Yahweh vanta allo sgomento Giobbe. O meglio, delle tre anime che san Tommaso mutua dallo scibile aristotelico, gli manca l’intellettiva: non pensa, nel senso complesso del fenomeno; al segnale percettivo rispondono riflessi infallibili e questa struttura assicura dei vantaggi sugli animali pensanti, perché il pensiero induce dubbi, stasi contemplative, conclusioni perplesse. Altrettanto utile è il vacuum morale: gli manca l’organo ossia i sentimenti definibili vergogna e colpa; quando mai gli alligatori soffrono nel ricordo delle prede divorate (…). Tale configurazione anomala spiega tante cose: vedi la sicumera con cui nega quel che ha appena detto (è caso raro scoprirlo veridico); o l’urlo belluino con cui assale chiunque pretenda d’applicargli le regole consuete. Insomma, è una macchina: accumula soldi, istupidisce l’audience, divora i concorrenti, tresca imbrogli, falsifica i conti, affattura le norme con l’automatismo delle ruote dentate; non avere coscienza, che risorsa. (…) Se non vanta exploits intellettuali, è solo perché li considera roba da poco (…); e passa quasi incolume nel ridicolo. Trent’anni fa conniventi e profittatori gli aprivano le porte ritenendolo innocuo, divertente, utile: rampava; è arrivato; chi lo sloggia più? (…) Dominus Berlusco assolda quante barbute vuole: fischia e corrono; comanda un apparato letale dell’omicidio bianco e l’adopera; i suoi giornali rodono teschi, affinché ognuno sappia d’essere vulnerabile dai sicari».

Riconoscere la disumanità di questa cosa è la prima condizione per comprenderla.

Nudo per Stalin

NUDO PER STALIN. Il corpo nella fotografia sovietica negli anni Venti
Milano – Museo Fondazione Luciana Matalon
Sino al 30 marzo 2010

La parabola dell’arte nella Russia diventata Unione Sovietica è emblematica. All’innovazione futurista degli inizi segue l’imbalsamazione staliniana. Significativa di tale destino è la vicenda del nudo. Negli anni Venti alcuni fotografi ne fanno un soggetto potente e innovatore. Con l’avvento di Stalin questi artisti vennero giudicati dei “pornografi”, le loro opere distrutte (compresi i negativi), gli autori stessi incarcerati. Il nudo-vestito diventa funzionale soltanto alla celebrazione dei successi economici, alle parate, alla vicinanza col corpo del Capo. Il monoteismo politico, come quello religioso, odia e teme la molteplicità del piacere. Anche per questo il potere è un’espressione di masochismo. Inevitabile che ci siano sempre dei sadici ad approfittarne. Stalin fu uno di questi.

Giorgio von Hindenburg

C’è chi in queste ore paragona Napolitano a Vittorio Emanuele III. Vero. Lo si potrebbe anche accostare a von Hindenburg, l’anziano presidente della Repubblica di Weimar che nominò Adolf Hitler cancelliere. Il quale Hitler aveva comunque ottenuto la maggioranza al Reichstag vincendo senza trucchi le elezioni. Quando il Führer andò a fargli visita nel 1934, alla vigilia della morte, Hindenburg pensò di trovarsi davanti al suo antico Kaiser e lo apostrofò “Maestà”. Speriamo che a Napolitano non accada di rivedere in Berlusconi il vecchio e amato Stalin oppure -più modestamente- l’amico Bettino. Anche se le differenze appaiono certo minime, e non soltanto agli occhi di un anziano presidente.

Allegro ma non troppo

di Carlo Maria Cipolla
Traduzione di Anna Parish
Il Mulino, Bologna 1988
Pagine 88

Nel primo dei due saggi che compongono il volume l’Autore disegna una breve storia dell’Europa medioevale, mostrando che i maggiori e più complessi eventi di quel tempo sono stati in realtà determinati dalla carenza -e dalla conseguente ricerca- di beni quotidiani come il vino, la lana e soprattutto il costoso e a volte introvabile pepe. In questa operazione, Cipolla utilizza strumenti di analisi assai sofisticati, risultando sempre persuasivo e anche molto divertente. A proposito dello spopolamento altomedioevale, ad esempio, l’Autore ne fa risalire l’origine alla carenza di pepe, noto afrodisiaco, e aggiunge che «l’idea di ricompense in Cielo aiutò la gente a sopportare la mancanza di pepe su questa terra» (pag. 17).
Il secondo saggio rappresenta invece una concisa e attendibile analisi della stupidità umana. Con logica stringente e mediante l’uso di grafici e rilevazioni statistiche, proiettando i dati su degli assi cartesiani, Cipolla elenca e commenta le cinque leggi fondamentali della stupidità. Essa è molto più diffusa di quanto i non stupidi credano; la sua presenza in un individuo è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona; la pericolosità degli stupidi è sottovalutata quanto il loro numero; lo stupido è, nel complesso, molto più dannoso di ogni altro individuo, foss’anche un bandito. Cipolla ne spiega esattamente le ragioni: «gli esseri umani rientrano in una di quattro categorie fondamentali: gli sprovveduti, gli intelligenti, i banditi e gli stupidi» (57). Ora, i primi agiscono in modo da avvantaggiare altri causando un danno a se stessi, gli intelligenti ottengono il massimo per sé e per gli altri, il bandito «perfetto» danneggia il prossimo esattamente nella misura in cui favorisce se stesso (ad esempio, un puro e semplice furto come forma di trasferimento di un bene senza altri danni per chi lo subisce). Invece, recita la III legge fondamentale, «una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita» (58). Un Paese, una società, una comunità vanno in rovina non per il numero degli stupidi o per il loro accesso al potere, la cui frequenza è costante, ma quando «nella restante popolazione si nota, specialmente tra gli individui al potere, un’allarmante proliferazione di banditi con un’alta percentuale di stupidità (sub-area Bs del quadrante B nella fig. 3) e, fra quelli non al potere, una ugualmente allarmante crescita del numero degli sprovveduti (area H nel grafico base, fig. 1)» (77). Applichiamo tale schema all’Italia contemporanea e ne otterremo una rigorosa descrizione.
Come si vede, l’effetto paradossale e straniante del testo è dato anche dall’uso di un linguaggio tecnico, spesso matematico, in un contesto ludico e divertito, per quanto serissimo sia l’argomento affrontato. Cipolla è probabilmente pervenuto a quel grado di onestà intellettuale, di disincanto, di ironica rassegnazione per cui ogni discriminazione fra gli umani è superata -in tutti i gruppi il numero degli stolti è proporzionalmente costante- si riconosce il fondamento biologico della società: «gli uomini non sono uguali, alcuni sono stupidi ed altri non lo sono» e la differenza non è data soltanto da elementi culturali, sociali, ambientali, educativi «ma dalle mene biogenetiche di una imperscrutabile Madre Natura» (47).

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