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Algocrazia

Mercoledì 9 maggio 2018 alle 17,30 nel Coro di Notte del Monastero dei Benedettini di Catania parlerò di Tecnologie del vedere. Infosfera e social network.
L’incontro fa parte del Med Photo Fest 2018.
Pubblico il programma completo delle iniziative che si svolgeranno in Dipartimento e l’abstract del mio intervento.

 

Abstract

Nel XXI secolo individui e collettività si muovono dentro una infosfera che è diventata parte fondamentale dei luoghi e delle relazioni concettuali e politiche. La comunicazione va progressivamente perdendo il proprio corpo, con la conseguenza di generare interazioni sociali di forma radicalmente nuova. Sino a che punto le menti umane sono padrone di questo spazio inedito e complesso? Social network, strumenti informatici, cellulari, costituiscono il campo d’azione e lo strumento di un controllo pervasivo il cui fine è coincidere con il soggetto e con il suo tempo di vita. Monitor di tutte le dimensioni trasformano l’atto del guardare nelle tecnologie dell’essere visti, scrutati, profilati, controllati, venduti. Siamo diventati l’immagine dietro e dentro la quale non ci sono più corpi ma algoritmi. Qual è e quale può essere la funzione della fotografia all’interno di questa algocrazia?

 

Gelo

Loro 1
di Paolo Sorrentino
Italia, 2018
Con: Toni Servillo (Silvio), Elena Sofia Ricci (Veronica), Riccardo Scamarcio (Sergio Morra), Euridice Axen (Tamara), Fabrizio Bentivoglio (Santino Recchia), Katia Smutniak (Kira), Roberto De Francesco (Fabrizio Sala), Anna Bonaiuto (Cupa Calafa), Alice Pagani (Stella)
Trailer del film

Al di là di Albert Spica. Al di là del personaggio più volgare che sinora avessi incontrato al cinema. Il protagonista de Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante è un gangster analfabeta e violento ma genuino nella sua volgarità. Invece loro sono cartapesta, baratro, dipendenza e televisione. Sono statue femminili pronte a scopare, ministri pronti a servire e a tradire, lenoni sempre in moto, magnaccia, paraninfi, papponi, mezzani. Dove la merce sono apparentemente i corpi ma nella sostanza è il potere. È sottile e solare la soddisfazione che si prova a far agire un proprio simile ai nostri comandi. Lo si può fare con la mediazione dell’intelligenza, lo si può fare con la mediazione del denaro. E nel loro mondo la donna è una preziosa e arrapante banconota da spendere nel mercato dell’autorità.
Due volte vi compaiono altri animali. Un ratto che attraversa Roma mentre il corteo delle mondane va in pellegrinaggio dal Presidente e la scena diventa volo di un camion della spazzatura che diffonde tutt’intorno il letamaio. E soprattutto la pecora della scena iniziale, che nella solitudine della grande villa sarda attraversa il prato, entra nella casa, osserva con attenzione lo schermo perennemente acceso dal quale l’ennesimo Mike Bongiorno lancia le sue allegrie. Intorno alla pecora telespettatrice la temperatura scende, scende, sino a diventare gelo. Il freddo del tubo televisivo che ghiaccia ogni intelligenza. E la uccide.
L’epigrafe de La grande bellezza era tratta dal Voyage di Céline: «Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato, è un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non si sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi, è dall’altra parte della vita». Quella a Loro 1 è di Giorgio Manganelli, tratta dalla sua prefazione a Pinocchio: ««Tutto documentato, tutto arbitrario».
Danze, movimenti, genitali al vento e alla luce. Da tempo a Sorrentino interessa soltanto la pura forma dello spazio, il fremente andare degli umani dentro i luoghi. Sempre più artificioso, sempre più poietico. Un magnifico manierismo della corruzione.

Loro 2

Ministero della Verità

In una mattina di aprile dell’anno che forse è il 1984, Winston Smith torna a casa e comincia a scrivere i propri pensieri in un quaderno che ha da poco acquistato. Questa è la sua colpa, lo psicoreato che aveva già cominciato a commettere e che adesso è dimostrato dalla sua stessa scrittura. Winston Smith vive, infatti, in Oceania, uno dei tre stati sovracontinentali nati dalla guerra atomica degli anni ’50. Winston lavora presso il Ministero della Verità, il cui compito è la falsificazione sistematica e la creazione di documenti che modifichino il passato. Infatti, «chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato» (Orwell, 1984, Mondadori 1998, p.  260).
Lo psicoreato esiste negli anni Dieci del XXI secolo e si chiama politically correct. Esso è l’impossibilità di criticare dogmi etico-politici più o meno sensati, pena conseguenze anche sulle carriere. Esso è la disinformazione della quale parla il § XVI dei Commentari alla Società dello Spettacolo di Debord: una mescolanza di vero e di falso sempre funzionale agli interessi di chi governa. Non dimentichiamo, infatti, «che i grandi media che oggi si vantano di ‘decodificare’ le fake news degli altri, sono sempre stati i primi a rilanciare le menzogne di Stato, dalle ‘armi di distruzione di massa’ di Saddam Hussein al presunto ‘carnaio’ di Timisoara» (De Benoist, Diorama Letterario 340, p. 11).
Il politicamente corretto è l’altro nome dell’ideologicamente conforme, il quale diventa esplicita e ignorante censura in iniziative come quelle che hanno impedito lo svolgimento nello scorso febbraio di un dibattito su destra e sinistra promosso dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano con la partecipazione, tra gli altri, di Alain de Benoist. Attribuendo a questo filosofo tesi da lui mai sostenute, alcuni intellettuali (?) e giornalisti italiani hanno ottenuto la provvisoria cancellazione dell’iniziativa. «Affermano di voler difendere la democrazia e ne smantellano le fondamenta» (Tarchi, DL, p. 3). Costoro utilizzano anche «l’ingenuità, la rozzezza e la stupidità politica degli sparuti apologeti di dittature passate che non hanno conosciuto per rafforzare le premesse della dittatura del futuro, che si sforzano di trapiantare nel presente a suon di divieti, discriminazioni e punizioni» (Ibidem). La stupidità è per definizione stupida. Il risultato di quella improvvida richiesta di censura è stata infatti la sala strapiena della Fondazione Feltrinelli quando il dibattito si è poi svolto, lo scorso 6 aprile 2018.
Durante la recente campagna elettorale italiana, gruppi di miserabili e ininfluenti nostalgici come CasaPound e Forza Nuova sono stati gli alleati di una sinistra perduta che si sente viva quando agita «uno spauracchio che si pensa possa farle riguadagnare consenso e sostegni fra un certo numero di simpatizzanti e militanti ormai caduti in preda alla delusione» (Tarchi, DL, p. 19).
Contro il vero fascismo contemporaneo, che è l’ultraliberismo il quale moltiplica le guerre, strangola le economie  e cancella i diritti sociali, non si attua una mobilitazione neppure lontanamente paragonabile alle manifestazioni che hanno regalato per qualche giorno audience e dignità politica agli esigui nostalgici di Mussolini. E invece è contro gli Stati Uniti d’America che bisognerebbe mobilitarsi senza tregua, contro un sistema che -secondo l’analisi del giornalista francese di TF1 Michel Floquet- è inguaribilmente razzista, ferocemente diseguale, fanaticamente bellicista, mortalmente inquinante. Una nazione che è «la più grande prigione al mondo. In America, un adulto su cento si trova in carcere. E un prigioniero su quattro, nel mondo, è americano» (Virgilio, DL, p. 27); secondo Floquet «la democrazia e la libertà delle quali godrebbero tutti i cittadini statunitensi senza distinzione di razza, di sesso, di religione, non sono altro che una finzione, ‘un meraviglioso esempio di doppiezza e di ipocrisia’» (Id. DL, p. 26), come conferma una documentata e dolente analisi di Santo Barezini sul numero 422 di A Rivista anarchica: «Schiavi del XXI secolo».
Rispetto all’uniformismo dei padroni del mondo, sarebbe opportuno applicare la difesa della biodiversità anche alla «diversità dei popoli, nonché a quella delle lingue e delle culture che sono ad esse associate» (De Benoist, DL, p. 5; sulla questione linguistica si vedano anche i testi miei e di Dario Generali: Parola) cercando almeno di rallentare la distruzione della Terra e delle sue fonti di vita, attuata da una forma politico-economica del tutto indifferente alle leggi della natura e alla limitatezza delle risorse. Questo infatti «dimostra il secondo principio della termodinamica e la legge dell’entropia nell’assoluta indifferenza da parte di sociologi, economisti e scienziati della politica, nonostante la messa in guardia fornita dalla teoria della complessità di Edgar Morin e dalle acquisizioni di Ilya Prigogine sulle ‘strutture dissipative’» (Zarelli, DL, p. 22).
Come dimostra Orwell, il Ministero della Verità è anche sede della menzogna più profonda.

Riccardo III

Manifatture Teatrali Milanesi – Milano
Riccardo III
di William Shakespeare
adattamento e regia di Corrado d’Elia
con Andrea Bonati, Raffaella Boscolo, Marco Brambilla, Giovanni Carretti, Paolo Cosenza, Corrado d’Elia, Gianni Quillico, Chiara Salvucci, Antonio Valentino
ideazione scenica e grafica Chiara Salvucci
costumi Rossana Parise
produzione Compagnia Corrado d’Elia
Sino al 4 marzo 2018

La natura furibonda del potere è tale da farne una droga senza pari. Chi si getta nel gorgo dell’autorità diventa archetipo, boia e ologramma, che per gli altri è difficile capire sin dove possa arrivare. Dove possa spingersi la frenesia dell’essere primi, essere i soli, essere dei cresi senza morte, essere ricchezze e potenze ambulanti per le strade.
«L’istante del sopravvivere è l’istante della potenza […] per essere l’unico, oppure, nella forma più mitigata e frequente, il desiderio di servirsi degli altri per divenire l’unico con il loro aiuto» (Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi 1981, pp. 273 e 561). Il potente è in primo luogo il sopravvissuto, l’unico superstite di fronte alla distruzione dei propri simili; il suo trono poggia su mucchi di cadaveri: «Chi stermina tutti i nemici non ha più alcun nemico, e inoltre gode la vista dei loro mucchi ora inermi» (Massa e potere, p. 543).
Riccardo III è la perfetta espressione di questo desiderio e del suo godimento, dell’ossessione che diventa, della totalità paranoica che è. Molto più di una tragedia. Un trattato sulla natura umana, sul suo abisso.
Togliere a questa perfezione ogni circostanza storica, ogni orpello d’epoca, ogni finzione, ogni cascame puramente narrativo. Per farne la verità di un videogioco nel quale i livelli salgono a ogni assassinio, il punteggio cresce a ogni conquista, la pura parola dell’ambizione trionfa e decade, insaziabile di se stessa, divoratrice del tempo e dello spazio. Riccardo è solo voce, i personaggi e i fantasmi con i quali interagisce appaiono e scompaiono su una scena che mima un monitor, dominata dall’eleganza del nero e del blu, illuminata da luci intense e sature, scandita da movimenti discreti e feroci, pervasa da ritmi esaltanti fatti di melodie che diventano technorock ed esplodono insieme alle luci, agli incubi, alle parole scolpite di Shakespeare.
Uno spettacolo superbo, barocco, ludico, tecnologico e tribale. Una gioia, una danza ritornante, un ciclo senza fine, l’essenza del potere, l’enigma disvelato.
«Tomorrow in the battle think on me, And fall thy edgeless sword. Despair, and die!»

I professori resistenti

I professori resistenti e il Congresso negato per «ordine pubblico» 
il manifesto
28 settembre 2017
pag. 11

Trascrivo qui l’incipit e la conclusione dell’articolo.
« “Si sa che la gente dà buoni consigli / se non può più dare cattivo esempio” canta De André in Bocca di Rosa. Capita così che dalla sicurezza della propria cattedra non pochi professori parlino e scrivano contro colleghi del passato che si sarebbero sottomessi a poteri autoritari e totalitari di diverso segno. Ma che cosa avrebbero fatto loro trovandosi in quei frangenti?
[…]
Il tentativo di trasformare i docenti da ricercatori scientifici a funzionari dello Stato impauriti e prudenti può essere attuato in forme molto diverse, non soltanto con la violenza esplicita dei regimi fascisti ma anche con l’asservimento liberista del sapere a scopi puramente economicisti».

Tra i professori universitari che si rifiutarono di prestare giuramento al fascismo ci fu il filosofo Piero Martinetti, al quale dedico questo articolo.

«Tout médiatique a toujours un maître»

Lo scorso 30 giugno il Dipartimento di Scienze della Formazione di Unict ha invitato il Prof. Luciano Canfora a presentare il suo La schiavitù del capitale (il Mulino, 2017). È stato un incontro molto interessante, nel quale sono state pronunciate parole che nel discorso pubblico è ormai assai difficile ascoltare. Canfora ha smontato la propaganda occidentalista che pervade i media mostrando la miseria delle politiche dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e dei loro servi, «vale a dire noi». Si è soffermato con particolare e pungente ironia sul neoeletto presidente francese Emmanuel Jean-Michel Frédéric Macron, come simbolo del vuoto assoluto della politica quando essa si identifica con il finanziarismo che opprime le economie e i corpi collettivi.
Ho riflettuto sulla ricchezza di questo incontro, a partire dalla consapevolezza che il potere è potentia ed è potestas. Il primo consiste nella capacità che gli esistenti possiedono di influire sull’ambiente, anche con la semplice resistenza e con l’attrito che gli enti minerali oppongono all’attività di tutti gli altri. Nel mondo vegetale e animale, la potentia è la vita stessa, che si sviluppa, cresce, confligge, decade, muore.
Potestas è invece e propriamente il potere politico, la capacità di indurre altri umani a compiere le azioni che auspichiamo o ad astenersi da quelle che vogliamo evitare. I mezzi con i quali ottenere questo scopo sono sostanzialmente tre: «Con la coercizione (il bastone); con i pagamenti (la carota); con l’attrazione o la persuasione. Bastone e carota sono forme di hard power, attrazione e persuasione sono forme di soft power» (Joseph. S. Nye jr, citato da Massimo Virgilio in Diorama letterario n. 336, p. 22).
Se nell’ambito dello scambio economico il denaro è costitutivamente al centro del rapporto di potere, nella società contemporanea -e più precisamente dentro il sistema ultraliberista in cui siamo immersi e che Canfora ha descritto con lucidità- esso pervade ogni forma di relazione. Un momento di svolta in questo processo fu la decisione del presidente statunitense Richard Nixon che nel 1971 «su consiglio di due o tre Gorgoni universitarie, ha deciso di infrangere il legame fra il dollaro e l’oro. Il dollaro ha potuto espandersi nel mondo a profusione e ha permesso ai parassiti di acquistare tutto ciò che loro pareva. Da allora in poi l’Europa ha perso tutto: industria, posti di lavoro, élite, educazione di qualità e via dicendo. La quantità di dollari sparsa ha eliminato chi non si adeguava e promosso i servi più ripugnanti, sia nella commissione di Bruxelles, sia fra i dirigenti dei vari paesi europei» (Auren Derien, ivi, p. 20).
L’effetto di questo dominio finanziario e contabile su scuola, università, cultura è stato assai grave. Il culto verso il denaro, che da indispensabile mezzo di scambio diventa il fine totale delle umane esistenze, ostacola infatti «ogni alta cultura perché i ricchi sanno solo contare. Così si spiega l’incorreggibile volgarità che ormai li contraddistingue. Inoltre, se l’unico criterio di valutazione è la quantità di denaro, allora si ritrovano sullo stesso piano il buzzurro che calcia un pallone, la prostituta che finge di essere un’artista, il trafficante di droga analfabeta, il bankster di Wall Street e il politico cleptomane» (Id., 21).
A tali categorie si possono e devono aggiungere gli impiegati della comunicazione, soprattutto i più famosi e i più pronti al servizio di chi meglio li paga. «Il ne faut pas oublier que tout médiatique, et par salaire et par autre récompenses ou soultes, a toujours un maître, parfois plusieurs; et que tout médiatique se sait remplaçable» (‘Non bisogna dimenticare che ogni impiegato dei media, tramite lo stipendio e altre ricompense, ha sempre un padrone, e spesso più di uno; e che tali impiegati sanno bene di essere sostituibili’. Guy Debord, Commentaires sur la société du spectacle, Gallimard, Paris 1992, § VII, p. 31). Questi giornalisti e presentatori lavorano alacremente in funzione degli interessi dei loro padroni -interessi che cercano di travestire da idee e valori- e sono subito pronti a imporre il politically correct, «una censura delle ‘cattive idee’ in ambito culturale», la quale sta compiendo «passi da gigante: nell’editoria, nell’ambito scientifico, nel cinema, nel teatro, nel mondo delle lettere e delle arti» (Marco Tarchi, Diorama letterario n. 336, p. 3).
Bisogna opporsi a questa sottile e implacabile censura che traveste di libertà l’oppressione finanziaria, le sue guerre, la sua miseria culturale e politica.

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