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La lotta

Il sito Il Rovescio. Cronache dallo stato d’emergenza conduce delle inchieste e formula delle analisi da una prospettiva di classe, emancipatrice, libertaria. Analisi tanto più necessarie in un periodo storico caratterizzato dall’apologia quasi universale del controllo, della repressione, della violenza e del paternalismo dell’autorità nei confronti del corpo collettivo.
Sulla mobilitazione contro il lasciapassare. Primi appunti è il titolo di un articolo che sarebbe del tutto naturale definire di sinistra se questa espressione avesse ancora un senso. Diciamo che è un articolo che fa emergere il non detto della sostanza autoritaria, discriminatrice ed economicamente ineguale dell’emergenza sanitaria, delle politiche che essa veicola, degli scopi che giorno dopo giorno cerca di raggiungere.
Ne consiglio la lettura; riporto intanto alcuni brani e una versione in pdf (i grassetti sono miei):

Sulla mobilitazione contro il lasciapassare. Primi appunti
(1.8.2021)

Pdf dell’articolo

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Il pericolo del “fascismo” (tranquilli: la democrazia basta e avanza), non lo si vede nell’azione dello Stato e di una classe dominante che colpisce compatta, ma nelle presenze di estrema destra ad alcune manifestazioni contro il lasciapassare. Come se i passi avanti della potenza coercitiva dello Stato in nome della “salute collettiva” fossero “neutri” rispetto al conflitto di classe nel suo insieme; come se il silenzio-assenso sulla discriminazione sociale e lavorativa di chi non vuole vaccinarsi non oliasse la stessa macchina che attacca i lavoratori che resistono ai licenziamenti, i rivoluzionari, e tutte le lotte.

L’Emergenza ha spostato il conflitto sociale su terreni inediti, “politicizzando” i gesti più intimi, le scelte più quotidiane, quelle dimensioni apparentemente “private” e “soggiacenti” rispetto ai posizionamenti ideali (i corpi, il senso di sicurezza, la paura di morire, il rischio di ammalarsi e di ammalare). Decenni di foucaultismi più o meno d’accatto si sono infranti nell’urto con una gestione statale e tecnocratica che ha applicato fino in fondo, e per davvero, un programma “biopolitico”. Improvvisamente, per lanciare delle iniziative di lotta – e persino per discutere collettivamente –, bisognava rompere anche sul piano epistemologico.

Benché siano piazze – in Italia come nel resto del mondo – assai eterogenee, ci sono almeno tre punti che accomunano decine di migliaia di persone: l’opposizione all’obbligo vaccinale, senza se e senza ma; il rifiuto della discriminazione di chi non si vaccina; la questione delle cure domiciliari negate.

Bisogna assumere il conflitto anche sul piano epistemologico (mettendo in discussione la sostituzione dello sguardo medico con i modelli statistici, la criminalizzazione del non-vaccinato in quanto pericolo per la salute pubblica, la crescente digitalizzazione della sanità e delle terapie ecc.). Stesso discorso sulle cure domiciliari negate, questione scandalosamente tralasciata (con il paradosso che a denunciare la strage di Stato è per lo più gente di destra…).

Un esempio tra i tanti di come i tre punti sopra accennati si intreccino nella mobilitazione contro il lasciapassare, lo si può trovare in un volantino, distribuito qualche giorno fa durante una manifestazione, da un gruppo di lavoratrici e di lavoratori della sanità in Trentino:

«Da un anno e mezzo, notte e giorno, tutti i giorni per mesi abbiamo continuato a operare senza interruzione, in alcuni momenti, all’inizio della dichiarata pandemia in particolare, in assenza di indicazioni terapeutiche, in condizioni organizzative disastrose, senza presidi di salvaguardia sensati, con turni di 12 ore e oltre di lavoro. Allo sbaraglio a reggere l’onda di panico alimentata dalla stampa e senza il filtro naturale della medicina di base criminalmente disattivata.
Ebbene, allora non avevamo tempo e voce per parlare e eravamo eroi.
Oggi prendiamo la parola per ricordarvi che noi sappiamo curare e curarci, abbiamo capito e capiamo molte cose operando da dentro le strutture sanitarie e di assistenza. E siamo trattati da criminali quando affermiamo il diritto di ciascuno di scegliere le cure e le attenzioni per stare in salute che considera più efficaci.
Ritieni forse più attendibili i politici e i governanti che questo disastro hanno provocato devastando il sistema sanitario e gestendo la proclamata pandemia in stato confusionale, usando come unica arma la criminalizzazione di ogni opinione? Non hanno mai visto un malato e non hanno mai ascoltato noi. Ascoltiamo solo un grappolo di supposti esperti in eccitazione narcisistica che hanno il buon tempo di pontificare dagli schermi televisivi e dai giornali insultando e minacciando. Parlano sotto dettatura di chi della salute ha fatto una fonte inesauribile di profitto. […]
Noi stiamo affermando semplicemente, ma con determinazione che i nostri corpi come i vostri, le nostre persone come le vostre non sono di loro proprietà e meno che mai i nostri figli. Non siamo schiavi e non sopportiamo più il peso di questa oppressione in particolare ora, nel momento in cui ci si impone la segregazione generalizzata con un segno di discriminazione che ha i toni della persecuzione politico-religiosa contro chi non fa atto di fede in uno pseudo-vaccino con il famigerato green pass».

Senza esplosioni di rabbia, senza contrattacco, non usciremo dall’angolo. Non è solo la miseria che avanza, ma anche la disumanizzazione.

La stragrande maggioranza di chi scende in strada non avanza alcuna rivendicazione corporativa. Se si nota, la rappresentazione della “dittatura” è spesso affidata ai ritratti di Draghi, Figliuolo e Burioni. Il generale NATO, ad esempio, non c’entra nulla con aperture o chiusure di bar e discoteche, ma molto con la militarizzazione della sanità e con la “caccia ai renitenti”.

Se tra le parole d’ordine dei cortei e i motivi per cui la gente scende in piazza c’è spesso un certo scarto, quando non una rottura vera e propria, ci pare innegabile che la mobilitazione contro il lasciapassare abbia caratteri decisamente più universali di quella “Tu mi chiudi, tu mi paghi” (slogan corrispondente al grado zero della critica) dell’autunno scorso.
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Da un’altra prospettiva, il più recente intervento di Giorgio Agamben descrive anch’esso gli effetti devastanti dell’ossessione securitaria verso il Covid19-Sars2, la quale genera una massa di ipocondriaci e sociopatici, distrugge il legame sociale, trasforma la πόλις in un aggregato impaurito di atomi che si tengono reciprocamente a distanza. Non so quanto la via d’uscita indicata da Agamben sia praticabile ma certamente è significativa di ciò che sta accadendo e che probabilmente accadrà.

Una comunità nella società

L’Italia, come laboratorio politico dell’Occidente, in cui si elaborano in anticipo nella loro forma estrema le strategie dei poteri dominanti, è oggi un paese umanamente e politicamente in sfacelo, in cui una tirannide senza scrupoli e decisa a tutto si è alleata con una massa in preda a un terrore pseudoreligioso, pronta a sacrificare non soltanto quelle che si chiamavano un tempo libertà costituzionali, ma persino ogni calore nelle relazioni umane. Credere infatti che il greenpass significhi il ritorno alla normalità è davvero ingenuo. Così come si impone già un terzo vaccino, se ne imporranno dei nuovi e si dichiareranno nuove situazioni di emergenza e nuove zone rosse finché il governo e i poteri che esso esprime lo giudicherà utile. E a farne le spese saranno in primis proprio coloro che hanno incautamente obbedito.
In queste condizioni, senza deporre ogni possibile strumento di resistenza immediata, occorre che i dissidenti pensino a creare qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza. Le forme di questa nuova clandestinità, che dovrà rendersi il più possibile autonoma dalle istituzioni, andranno di volta in volta meditate e sperimentate, ma solo esse potranno garantire l’umana sopravvivenza in un mondo che si è votato a una più o meno consapevole autodistruzione.

17 settembre 2021
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Intervista sul lasciapassare

La testata Live Unict mi ha chiesto un’intervista sul cosiddetto Green Pass, uscita il 13.9.2021. Spero che la conversazione con Rosario Gullotto possa chiarire, a chi fosse interessato, alcune delle ragioni della mia netta opposizione a un lasciapassare che non è uno strumento sanitario ma costituisce l’ennesima implementazione dell’esperimento biopolitico in corso da molto tempo nelle nostre società e che dall’epidemia Covid19-Sars2 ha ricevuto un decisivo impulso.
L’intervista si può leggere qui: Prof. universitari contro Green Pass, Biuso: “Da abolire, è discriminatorio”

Sullo stesso tema segnalo un testo del collega Davide Miccione, che è tra le riflessioni migliori che abbia letto (e sono tante) sulla questione, forse la migliore in assoluto anche per la sua prospettiva corretta e originale (biomaccartismo è formula geometrica ed esatta), per la chiarezza e non ultimo per la sintesi: Tranquilli, è solo biomaccartismo (Aldous, 13.9.2021).

Sintetico non è un testo di Wu Ming, che consiglio di leggere con attenzione perché rappresenta una summa di quanto è accaduto e sta accadendo dal febbraio del 2020 in Assurdistan, una summa di sinistra (di quello che in Italia ne rimane), comunicata con la franca vivacità di questo gruppo: l’emergenza; le macerie; significato e funzione delle mascherine;  le possibili soluzioni per non arrendersi; le grandi aziende e tutti gli altri; una selezione di casi empirici; il vero nemico del decisore politico virocentrico, vale a dire il sapere, la conoscenza, un’appassionata razionalità, la cultura.
Questa la conclusione del testo:
«Insomma siamo ostaggi in Assurdistan.
Come molte altre persone, ci toccherà fare lo slalom tra le norme, tentare stratagemmi, trovare escamotages… In sostanza, bere l’amaro liquido verde. Non possiamo nemmeno aggiungere “fino alla feccia”, perché è tutta feccia, fin dal primo sorso. Dovremo sorbircelo, ‘sto lasciapassare.
Al contempo, continueremo a denunciarlo a gran voce, valorizzando come possiamo ogni resistenza, ogni mobilitazione contro l’Emergenza. Che almeno questa nuova branca del nostro never ending tour sia un’occasione per fare inchiesta, discutere e pensare insieme forme di lotta, spargere il contagio del malcontento.
E poi, può sempre capitare che gli ostaggi si ribellino, e abbiano la meglio sui loro carcerieri».
Questo è l’indirizzo dove leggere l’intervento: Ostaggi in Assurdistan, ovvero: il lasciapassare e noi / Seconda puntata (Giap, 9.9.2021).

Pinocchio, la miseria

Carlo Collodi
Le avventure di Pinocchio
Storia di un burattino
(1883)
Illustrazioni di Francesco De Francesco
A cura di Nino Sottile Zumbo
Fondazione Mudima, Milano 2019
Pagine 204

La miseria è uno degli elementi centrali di Pinocchio. Ne intride sin dall’inizio le pagine, dalla situazione di Geppetto -infima- e della famiglia nella quale «il più ricco di loro chiedeva l’elemosina» (cap. III, p. 15), alla condizione di totale sconfitta del Gatto e della Volpe ridotti a chiedere qualche soldo a colui che avevano derubato e quasi ucciso, per finire nella completa e davvero miracolosa metamorfosi di Pinocchio-Geppetto restituiti alla loro umanità perché «invece delle solite pareti di paglia della capanna» si ritrovano in «una bella camera ammobiliata e agghindata con una semplicità quasi elegante» (XXXVI, 187). In ogni caso, «la miseria, quando è miseria davvero, la intendono tutti: anche i ragazzi» (VIII, 35).
È la miseria a generare non soltanto e sempre la fame ma anche il diventar vittime di imbonitori di ogni genere, di malfattori mascherati, di magistrati, carabinieri, pescatori, contadini. Di tutti. È la miseria/fame che fa sognare carrozze foderate «nell’interno di panna montata e di crema coi savoiardi» (XVI, 69-70) e spinge a perdere quello che si ha per seguire il sogno di «una cantina di rosoli e di alchermes, e una libreria tutta piena di canditi, di torte, di panettoni, di mandorlati e di cialdoni colla panna» (XIX, 83).
È la miseria a far dichiarare come mestiere «il povero» (XII, 51), condizione nella quale si arriva a credere persino a quanti affermano di non agire «per il vile interesse: noi lavoriamo unicamente per arricchire gli altri» (XII, 53), a credere dunque ai criminali e alle istituzioni, alle istituzioni criminali, ai moralisti e ai farabutti, ai salvatori e ai buoni, agli esperti che con tutto il sussiegoso peso della loro certificata autorità scandiscono l’indubitabile verità che «se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero» (XVI, 70) oppure -poiché la medicina è pur sempre una scienza empirica e non esatta- «se non è morto, è segno che è sempre vivo» (XXXV, 175).
Intessuto di raccomandazioni morali e di disgrazie che accadono a chi quelle raccomandazioni disattende, Pinocchio è tuttavia percorso da una vena antipedagogica della quale il burattino è l’abile teorico: «Tutti ci sgridano, tutti ci ammoniscono, tutti ci danno consigli. A lasciarli dire, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri: tutti, anche i Grilli-parlanti» (XIV, 60).
Una vena realistica e antimoralistica che si esprime anche nel rispetto che il burattino ottiene quando reagisce e risponde alle aggressioni con una ancor più vivida violenza: «Fatto sta che dopo quel calcio e quella gomitata Pinocchio acquistò subito la stima e la simpatia di tutti i ragazzi di scuola: e tutti gli facevano mille carezze e tutti gli volevano un bene dell’anima» (XXVI, 114).
Una vena anarchica che gli studi da Giuseppe Traina dedicati a questo libro mostrano in tutta la sua forza emancipatrice: «Appena ‘battezzato’, appena dotato di sguardo, prima mobile e poi ‘fisso fisso’, Pinocchio sta mettendo alla prova il potere paterno con i mezzi più efficaci del potere stesso: lo sguardo controllore, il segreto del silenzio. Sta cominciando la sua efficacissima battaglia di resistenza al potere» [«Pinocchio e le figure del potere», in I linguaggi del potere. Atti del convegno internazionale di studi (Ragusa Ibla, 16-18 ottobre 2019), Mimesis 2020, p. 483]. Anarchismo che Nino Sottile Zumbo conferma nella sua densa Postfazione: «Pinocchio è, all’opposto, un anarchico cerca-guai, salvo pentirsene, tutti lo sanno. […] L’ha creato per sé, il padre, per tirarne i fili a suo piacimento, ma il figliolo è sempre in fuga per la libertà» (194).
Il trionfo del burattino non accade alla fine, quando diventa un bravo ed elegante cucciolo d’umano, ma nel bel mezzo delle avventure e della sua natura vegetale, fatta di puro legno. È in questo modo infatti che la burattinesca compagnia di Mangiafoco accoglie Pinocchio: «È impossibile figurarsi gli abbracciamenti, gli strizzoni di collo, i pizzicotti dell’amicizia e le zuccate della vera e sincera fratellanza, che Pinocchio ricevé in mezzo a tanto arruffio dagli attori e dalle attrici di quella compagnia drammatico-vegetale. […] Postosi Pinocchio sulle spalle, se lo portarono in trionfo davanti ai lumi della ribalta» (X, 42).
Trionfo che da allora non ha visto tramonto, come conferma anche questa elegante, recente edizione del romanzo, illustrata dalle immagini arcaiche e allegoriche di Francesco De Francesco, così descritte da Sottile Zumbo: «Ventuno le tavole grafiche: ogni tavola, ricca d’episodi. […] Il foglio respira, il tratto è leggero o denso secondo necessità. Nella tavole gli oggetti simbolici principali – come nella composizione del Cristo deriso del Beato Angelico conservata nel Convento di San Marco a Firenze – sono sospesi nell’aria. Simboli estranei al romanzo, ne arricchiscono il senso» (195).

Anarchici

Sacco e Vanzetti
di Giuliano Montaldo
Italia-Francia, 1971
Con: Gian Maria Volonté (Bartolomeo Vanzetti), Riccardo Cucciolla (Nicola Sacco), Cyril Cusack (Frederick Katzmann), Milo O’Shea (L’avvocato Moore), Geoffrey Keen (Il giudice Webster Thayer), Rosanna Fratello (Rosa Sacco)
Trailer del film

[Il 23 agosto del 1927 venivano trucidati sulla sedia elettrica negli Stati Uniti d’America gli anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. A 94 anni da quell’evento ricordo il film di Montaldo a loro dedicato]

Anni Dieci e Venti del Novecento. La polizia al servizio della democrazia statunitense compie delle retate sistematiche nei quartieri operai, nei circoli politici anarchici e socialisti. Raccoglie uomini, donne, bambini e li deporta nei lager, dopo averli debitamente picchiati e torturati. Somiglia a quanto negli anni Trenta accadrà nella Germania nazionalsocialista, vero? Sì, è vero. E tuttavia dato che gli USA sono usciti vincitori dalla Seconda guerra mondiale e la Germania sconfitta, di quei fatti non si fa parola, si dissolve la memoria.
Ma il caso dei due immigrati italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, quello è ancora vivo nella coscienza storica del XXI secolo e nella memoria politica del movimento anarchico. Per loro infatti si mobilitarono i movimenti d’emancipazione di tutta Europa con l’obiettivo di evitare un crimine politico le cui vittime furono un calzolaio e un pescivendolo, che erano emigrati negli Stati Uniti illudendosi di migliorare la propria condizione economica. La stessa illusione che spinse uno dei miei nonni, Biagio Biuso, a emigrare in Argentina, da dove ritornò povero come era partito.
E però per Sacco e Vanzetti tutto fu vano. La macchina stritolatrice delle ‘libertà americane’ li condusse a finire i loro giorni sulla sedia elettrica. Le modalità dell’assassinio di due innocenti la cui colpa fu di intendere la libertà in un modo diverso rispetto a quello con cui la intendeva e tuttora la intende la Nazione Americana (con i suoi ‘diritti civili’ posti quale maschera deforme della giustizia sociale, con la sua ‘democrazia’ da esportazione che produce catastrofi come quella afghana), queste modalità sono ben descritte da Alessandro Manzoni:

Que’ giudici condannaron degl’innocenti, che essi con la più ferma persuasione dell’efficacia dell’unzioni, e con una legislazione che ammetteva la tortura, potevano riconoscere innocenti; e che anzi, per trovarli colpevoli, per respingere il vero che ricompariva ogni momento, in mille forme, e da mille parti, con caratteri chiari allora com’ora, come sempre, dovettero fare continui sforzi d’ingegno e ricorrere a espedienti, de’ quali non potevano ignorar l’ingiustizia
(Storia della colonna infame, in «Tutte le opere», G. Barbèra Editore 1923, p. 772).

Un importante e riuscito film italiano mette in scena esattamente queste parole di Manzoni: la ferocia razzista del procuratore Frederick Katzmann, la complicità del giudice Webster Thayer, il conformismo assoluto della giuria che pronunciò il verdetto giudicando Sacco e Vanzetti colpevoli di rapina a mano armata e omicidio, quando tutte -davvero tutte- le prove mostravano la loro innocenza. Il film è una ricostruzione storica accurata, documentata e sobria. Il cui momento chiave è la dichiarazione finale di Bartolomeo Vanzetti, interpretato dal magnifico Gian Maria Volonté:

Quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome, il nome di Nicola Sacco, sarà ancora vivo nel cuore della gente. Noi dobbiamo ringraziarli. Senza di loro noi saremmo morti come due poveri sfruttati. Un buon calzolaio, un bravo pescivendolo, e mai in tutta la nostra vita avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini. Voi avete dato un senso alla vita di due poveri sfruttati.

L’anarchismo è anche e soprattutto questo: è il non diventare «così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni» (De André, Nella mia ora di libertà). Qualunque nome, partito, regime sia al potere. Compresi quelli dell’Italia e dell’Europa contemporanee. E degli Stati Uniti d’America, naturalmente.

«Studenti dell’Università di Catania contro la deriva autoritaria»

L’iniziativa e il testo che segnalo testimoniano ciò che constato ogni giorno: se ci sono studenti chiusi nel proprio «particulare» o interamente rintronati dalla Società dello Spettacolo, ne esistono altri -e sono numerosi- il cui studio non si limita alla raccolta di CFU e al nozionismo ma diventa parte delle loro vite, come è del tutto ovvio e necessario che sia se lo studiare ha un senso.
Non importa quanto questa di Catania e le altre analoghe iniziative che si stanno svolgendo in tutta Italia incideranno sul decisore politico e amministrativo, che sembra tetragono a ogni critica e proposta. L’importante è che la libertà scenda ancora in piazza, con motivazioni articolate e razionali quali sono quelle che emergono dal documento degli «Studenti dell’Università di Catania contro la Deriva Autoritaria» che presenta una manifestazione organizzata per oggi, sabato 21 agosto 2021, alle 18.00 in Piazza Stesicoro a Catania.

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Care studentesse e cari studenti universitari,
oramai un intervallo temporale dalla già inaspettata dimensione di 528 giorni ci separa da quel fatidico 9 Marzo 2020, data che ha sconvolto inesorabilmente le nostre vite, introducendoci a nuove terminologie, concetti, abitudini, paure ma che, soprattutto, ha operato una cesura nello svolgimento del nostro percorso universitario, il quale si configura come un percorso formativo globale dai connotati universali, coinvolgendo tanto la sfera formativa professionale quanto quella individuale nell’ambito delle tante sfide, confronti, emozioni ma anche sane difficoltà cui ogni studente si sottopone.

Altresì, la data del 6 Agosto 2021 rappresenta non solo una cesura della vita democratica che ogni Paese civile dovrebbe garantire, ma anche una lacerazione del Patto di Lealtà alla base del rapporto tra i Cittadini e le Istituzioni, culminata nella pubblicazione in Gazzetta del d.l n°105/2021, il quale estende l’uso del dispositivo denominato “Green Pass” alla vita universitaria e scolastica.

In un quadro epidemiologico in fase di stabilizzazione e decrescita costante dal Marzo 2021, salvo una lieve tendenza al rialzo dell’ultimo periodo per via della maggiore mobilità, caratterizzato da sempre da un impatto clinico moderato nella nostra fascia di età, secondo i rilievi dell’Istituto Superiore di Sanità, si è introdotta una misura fuori da ogni ragionevole principio di proporzionalità, travalicando l’aspetto scientifico dal quale vorrebbe trarre spunto per migrare verso lidi di natura esclusivamente politica.

In particolare, pur recependo il Regolamento UE 2021/953 e 2021/954, come testimonia l’articolo 4, comma 2 del suddetto decreto, e la Risoluzione del Consiglio Europeo del 14 Giugno 2021, che assicurano la tutela dei cittadini sprovvisti di Green Pass da ogni forma di discriminazione, tale dispositivo introduce l’obbligo surrettizio alla vaccinazione, venendo meno a quanto stabilito dagli articoli 16, 32 e 77 della nostra Costituzione.
Nondimeno, l’introduzione del Green Pass rappresenta un precedente giuridico e burocratico dai risvolti e dalle prospettive del tutto ignote, ponendo in serio pericolo l’equità democratica salvaguardata dalla Carta Costituente, in ottica di medio e lungo termine.

In tale contesto, la comunità degli studenti universitari è chiamata a individuare e neutralizzare tutti i fenomeni che pongono una grave ipoteca verso un futuro libero e virtuoso, foriero di prospettive per il nostro Paese.
D’altronde, la vita universitaria è sempre stata una roccaforte del confronto democratico ed un laboratorio di idee capace di porre le basi per la proiezione della società nel futuro.
La nostra è una Voce forte, compatta e coerente e si incarica di ripudiare la pericolosa deriva autoritaria in atto, attraverso tutti gli strumenti che la Cultura ci fornisce.

La legge

L’Osservatorio permanente per la legalità costituzionale ha redatto un documento giuridicamente rigoroso e nello stesso tempo a tutti accessibile. L’Osservatorio -che è formato da giuristi di consolidata esperienza, la più parte dei quali sono professori universitari- sta raccogliendo l’adesione di quanti intendono opporsi alla «estrema e pericolosissima strumentalizzazione di principi giuridici complessi quali la proporzionalità nelle scelte politiche sanitarie o il bilanciamento tra diritti costituzionali che, inquinati da interpretazioni frutto di meri rapporti di forza, vengono utilizzati per giustificare il trasferimento di poteri di polizia in capo a soggetti del tutto privi di qualifiche».
È possibile dare qui la propria adesione: GREEN PASS: appello e raccolta firme.

Il titolo del documento relativo alla tessera verde è Sul dovere costituzionale e comunitario di disapplicazione del cd. decreto green pass.
Ne consiglio la lettura anche al fine di comprendere il pericoloso vulnus giuridico che in Italia si sta realizzando. E, con tale estensione, soltanto in Italia, come ben chiarisce il testo anche tramite un confronto con la Francia.
Riporto qui il link al documento, il suo pdf integrale, il sommario e alcuni brani particolarmente significativi.

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1. Premessa metodologica;
2. Il quadro di riferimento normativo europeo;
3. L’introduzione della certificazione verde: continuità o discontinuità con il green pass europeo?;
4. Covid pass e obbligo vaccinale: simul stabunt simul cadent?;
5. Green pass, diritto a (non) vaccinarsi e principio di non discriminazione. 

Diversi articoli della nostra Costituzione sono coinvolti dall’entrata in vigore del Green pass, infatti, oltre agli artt. 2 e 3 Cost., esso, da una prima lettura, ha un impatto diretto sugli artt. 11, 13, 16, 24, 32, 77, 117 Cost.
Si tratta di un tema che coinvolge la natura e l’essenza stessa della Democrazia. 

Si tratta di aspetti che non si possono trascurare tanto nella fase in cui il vaccino è ancora in fase sperimentale (avendo ottenuto solo un’autorizzazione di emergenza) quanto a sperimentazione avvenuta se la capacità di limitare il contagio non dovesse risultare confermata.
Inoltre, proviamo ad interrogarci se il suddetto quadro normativo risulta compatibile “con i regolamenti (UE) 2021/953 e 2021/954 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021” come richiede l’art. 4 comma 3, punto2) dello stesso d.l. n. 105/2021.
Al momento l’impressione è che con l’ultimo suddetto Decreto-legge, l’ordinamento giuridico italiano non recepirebbe le scelte del diritto europeo in materia di Green pass, ovvero la facilitazione della libertà di circolazione in sicurezza tesa a sopprimere la quarantena obbligatoria. Al contrario il d.l. n. 105/2021 sembrerebbe conferire al Green pass natura di norma cogente ad effetti plurimi di discriminazione e trattamento differenziato.
In relazione al suddetto Decreto-legge, sorgono pertanto plurimi ordini di problemi, perché diverse sono le dimensioni giuridiche coinvolte: 1) sotto il profilo generale, possibile violazione dell’ordinamento giuridico europeo, poiché mentre in ambito europeo il Green pass ha valenza informativa, assume viceversa nel nostro ordinamento valenza obbligatoria e prescrittiva; 2) presunta violazione del dato costituzionale, laddove, pur in assenza di un obbligo vaccinale e di un serio dibattito parlamentare come accaduto in Francia, s’introducono forme di discriminazione e di trattamento differenziato nei confronti dei soggetti non titolari del Green pass.
Mentre il quadro normativo europeo configura un modello di governance basato sul ragionevole trattamento differenziato, teso ad agevolare la libertà di circolazione in sicurezza, nel modello de quo sembrano trovare spazio provvedimenti di carattere normativo e/o amministrativo, tali da generare irragionevoli e non proporzionati trattamenti differenziati al punto da incidere su ampie fette della vita sociale dei cittadini.
In sostanza, la certificazione verde finirebbe per costituire l’imposizione, surrettizia e indiretta, di un obbligo vaccinale per quanti intendano circolare liberamente e/o usufruire dei suddetti servizi o spazi. Ne conseguirebbe la violazione della libertà personale, intesa quale legittimo rifiuto di un trattamento sanitario non obbligatorio per legge, o comunque di continue e quotidiane pratiche invasive e costose quali il tampone.
Indubbiamente, la messa all’indice dei non vaccinati etichettati come cittadini non rispettosi del dovere di solidarietà sociale provoca uno stigma sociale equiparabile a una delle menomazioni della dignità della persona in cui si concreta la violazione dell’habeas corpus.
Soltanto una legge che imponga la vaccinazione obbligatoria – ove sussistano i presupposti legali e scientifici – potrebbe costituire valido fondamento giuridico al Green pass di tipo prescrittivo. 

Rendere il patentino verde requisito necessario per esercitare il diritto alla circolazione o per accedere a determinati luoghi/servizi, comporterebbe, di fatto, in violazione dell’art. 32 Cost., la scelta tra il vaccinarsi o il sottoporsi a continui test o, peggio ancora, rinunciare a priori all’esercizio di propri diritti.
Si aggirerebbe così, nella sostanza, la riserva di legge assoluta, con una serie di atti che porterebbe al medesimo obiettivo, nell’ assenza di una base fattuale ragionevole tanto per l’imposizione vaccinale (esclusa in tutti i Paesi europei anche per le categorie a rischio) quanto per una sua implementazione de facto. Porre in essere una rete di limitazioni all’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti, attraverso provvedimenti, che appaiono, come si è cercato di dimostrare, dalla debole sostenibilità giuridica, determinerebbe un obbligo vaccinale surrettizio.
Se l’obiettivo è quello di vaccinare tutta la popolazione, occorrerebbe esprimerlo con un chiaro e netto atto di indirizzo politico, ovvero con una legge formale, la quale allo stato, tuttavia, non sembrerebbe poter resistere ai limiti costituzionali vigenti, in virtù della sperimentalità e delle limitate conoscenze scientifiche circa l’impatto sull’ infezione. 

Che il decreto legge non rappresenti un’idonea base giuridica per l’introduzione e l’utilizzo dei certificati verdi è stato fatto presente anche dal Garante per la Protezione dei dati personali proprio in relazione alla questione del trattamento sistematico e non occasionale dei dati personali anche relativi alla salute su larga scala comunicati attraverso il Green pass.
Il Garante nel parere n. 156 del 21 aprile 2021 ha ritenuto con riferimento al dl n. 52/2021 – tra l’altro adottato in dispregio delle procedure previste dalla normativa sulla privacy – che “soltanto una legge statale può subordinare l’esercizio di determinati diritti o libertà all’esibizione di tale certificazione”.
Il timore invece, è che il Decreto-legge di cui all’oggetto, così come strutturato, nella sua farinosa governance, possa incrementare il profluvio di incertezza e discrezionalità diffusa dettate da trattamenti differenziati.
Ne deriverebbe quindi un paradosso insuperabile giacché il danneggiato da farmaco sperimentale, per di più caldeggiato al punto da costituire discriminante per l’esercizio di libertà fondamentali, e quindi surrettiziamente obbligatorio, godrebbe di trattamento deteriore rispetto al danneggiato da un qualunque vaccino raccomandato per il quale la Corte costituzionale sia già intervenuta e sul quale sia già disponibile ampia letteratura medico scientifica per sostenere il nesso di causalità (come ad esempio il vaccino antinfluenzale o il vaccino trivalente – morbillo parotite rosolia). 

Probabilmente il motivo risiede nel fatto che tale imposizione, per non trasformare il diritto alla salute in diritto tiranno, deve essere sostenibile, ovvero ragionevole e proporzionale. La copertura dell’art 32 della Costituzione ammette l’imposizione di un sacrificio al singolo ma solo a fronte di un beneficio collettivo certo ed anche a condizione che il sacrificio sia certamente vantaggioso, in termini di salute, anche per il singolo stesso: requisito che non può dirsi soddisfatto laddove il farmaco sia ancora in fase sperimentale (così la sentenza storica della Corte Cost. 307/90, richiamata anche dalla recente sentenza Corte Cost. 5/2018). 

Doveroso anche richiamare la sentenza n. 118/1996 della Corte costituzionale che, in riferimento a un danno alla salute conseguente alla vaccinazione antipolio, ha stabilito che: “… in nome del dovere di solidarietà verso gli altri è possibile che chi ha da essere sottoposto al trattamento sanitario (o, come in caso della vaccinazione antipoliomelitica che si pratica nei primi mesi di vita, chi esercita la potestà di genitore o la tutela) sia privato della facoltà di decidere liberamente. Ma nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”. 

Dal 6 agosto 2021, saremo in presenza di trattamenti differenziati per andare al ristorante, al teatro, ai centri culturali, e già si parla di introdurli progressivamente anche per l’esercizio di diritti-doveri fondamentali, come andare a scuola o al lavoro.
Il rischio, come si è detto, è che l’obbligo vaccinale, pur in assenza di legge, lo diventi in modo surrettizio, anche per giustificare il trasferimento di poteri di polizia in capo a soggetti del tutto privi di qualifiche. In tal senso appare di debole sostenibilità giuridica l’art. 3 comma 3 del decreto legge de quo che attribuisce ai titolari o gestori di servizi il potere di verificare l’accesso ai predetti servizi e attività e che ciò avvenga nel rispetto delle prescrizioni adottate.
Insomma, si configura un potere di polizia diffuso esercitato, de facto, da persone non immediatamente individuabili, e soprattutto esercitabile su libertà fondamentali. 

Si crea in tal modo un modello normativo fluido e invasivo, a prima lettura non rispettoso del principio di legalità formale e sostanziale, con poteri difficilmente controllabili, ma soprattutto che mette in forte tensione tutte le garanzie di cui alle libertà individuali, così come consegnateci dai nostri Costituenti.
Ne risulterebbero inevitabilmente compresse libertà costituzionali fondamentali (libertà personale e libertà di circolazione prime fra tutte) e violati principi costituzionali fondamentali come il principio di eguaglianza, il principio di legalità ed il principio della certezza del diritto.
Come pure, chi decide di non vaccinarsi – è bene ricordarlo – esercita una scelta legittima in assenza di obbligo vaccinale e il suo rifiuto va protetto e non ammantato di moralismo apocalittico.
La banalizzazione e volgarizzazione di tali argomentazioni rischia di alimentare, al contrario, una frattura sociale ed antropologica; il tema di fondo è come tutelare la salute nel rispetto della Costituzione, riuscendo a distinguere provvedimenti costituzionalmente orientati da provvedimenti che si muovono al di fuori del perimetro costituzionale.
Infine, non lascia indifferenti il fatto che il Consiglio d’Europa, nella risoluzione del 27 gennaio 2021, stante l’attuale non obbligatorietà del vaccino e la contestuale necessità di rispettare il pieno esercizio della libertà di autodeterminazione degli individui, nel richiamare altresì gli artt. 8 e 9 della CEDU e l’art. 5 della Convenzione di Oviedo del 1996 sui diritti dell’uomo e la biomedicina, abbia risolutamente affermato la necessità di assicurare che nessuno venga discriminato per non essersi fatto vaccinare. Le condizioni imposte per ottenere la certificazione verde, tuttavia, come si è già espresso, lasciano perplessi sulla effettiva corrispondenza a questa raccomandazione. 

I corpi, il potere

Imponendo un passaporto sanitario, Francia e Italia sono pronte a calpestare persino le normative UE del 14.6.2021, le quali al comma 36 affermano questo:

Therefore, possession of a vaccination certificate, or the possession of a vaccination certificate indicating a COVID-19 vaccine, should not be a pre-condition for the exercise of the right to free movement or for the use of cross-border passenger transport services such as airlines, trains, coaches or ferries or any other means of transport. In addition, this Regulation cannot be interpreted as establishing a right or obligation to be vaccinated.

Come definire i regimi di Macron e di Draghi/ Speranza/ M5S/ Forza Italia/ Letta/ Salvini?
Mario Draghi, Presidente del Consiglio pro tempore del Governo italiano, in una recente conferenza stampa ha mentito in due modi:
1) affermando che chi è vaccinato non è contagioso
2) sostenendo che chi non è vaccinato «muore o fa morire».
Un rapporto così rigido di causa/effetto è degno di un analfabeta. Draghi naturalmente non lo è. La motivazione è il terrore. Penso male di costui ma non immaginavo sarebbe arrivato a uno dei livelli più bassi mai raggiunti dal potere contemporaneo in un Paese democratico.
Come Conte prima di lui, Draghi utilizza sempre più un dispositivo ricattatorio, menzognero e paternalistico, come un qualunque Francisco Franco.

Quando pensate a «come furono possibili» la caccia alle streghe, le inquisizioni, l’avvento del Nazionalsocialismo; quando vi chiedete «com’è che obbedivano tutti?» pensate a questi anni, guardatevi allo specchio e avrete le risposte. È infatti interessante (e anche tragico) che per i «sostenitori dei diritti» di questo e quello, la privazione dei diritti di milioni di concittadini non costituisca un gravissimo vulnus, anzi non faccia proprio problema o sia persino auspicata.
Se vi privano del diritto fondamentale, il diritto al vostro corpo, vi potranno togliere -e lo stanno già facendo- qualunque altro diritto, a cominciare dal lavoro e dalle opinioni. Ricordate? «Prima vennero a prendere…» e quello che ne segue. Non vi illudete: dopo quello di chi viene colpito nel proprio corpo arriverà anche il vostro turno, un qualunque vostro turno.

Ma non soffermiamoci su questi prudenti, su questi cittadini ligi all’autorità qualunque essa sia –qualunque-, pensiamo invece al coraggio, al dinamismo, all’uscire dal terrore, a immaginare ciò che oggi sembra diventato impossibile (e che sino a ieri era la nostra vita, semplicemente), ad affrancarci dal conformismo, pensiamo alla disobbedienza, pensiamo alla libertà.
«Potete liberarvi senza neanche provare a farlo, ma solo provando a volerlo. Siate risoluti a non servire più ed eccovi liberi» (Étienne de La Boétie, Discours de la servitude volontaire o Contr’un, trad. di F. Ciaramelli, Chiarelettere 2011, p. 14).
Non è così semplice ma è un dovere provarci. Per tentare di essere e di rimanere dei corpi liberi dalla tenaglia dell’autorità, dalla morte.

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