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Sarah Dierna su Ždanov

Sarah Dierna
Recensione a:
Ždanov. Sul politicamente corretto
in Discipline Filosofiche
29 aprile 2024

«Ontologia è anche ammettere la struttura biologica e fisiologica dei corpi, la negazione della quale non soltanto rappresenta un’ennesima conferma della tendenza all’uniformità ma secondo Biuso si spiega ancora con il dualismo cartesiano, con la radice moderna e antropocentrica del pensiero. L’esito di questa negazione sarà il transumanesimo che l’autore definisce chiaramente come una “forma completa dell’iperumanismo, del tentativo di condurre a pienezza e potere l’unicità umana dentro il mondo” (p. 108).
[…]
Parlare di Politically CorrectGender Theorycancel culture e Woke, in un periodo storico in cui il problema è ancora morale e poco politico, avendo come unica musa la filosofia rende questo libro una guida assai utile per il presente, per farsi un’idea del proprio tempo apprendendolo però con il pensiero e non davanti al televisore».

Ždanov

Ždanov
Sul politicamente corretto
Algra Editore, 2024
«Contemporanea, 9»
Pagine 160
€ 14,00

In una libera Repubblica è lecito a chiunque di pensare quello che vuole
e di dire quello che pensa.
(Spinoza, Tratctatus Theologico-Politicus, titolo del cap. XX)

 

 

Questa la quarta di copertina, firmata da Davide Miccione, Direttore della collana nella quale il libro esce:
«Il politicamente corretto, l’oblio del corpo e della biologia, il crollo di ogni tentativo di trasmettere un’attitudine alla comprensione del reale, l’odio per la propria storia culturale e le sue feconde contraddizioni, il tentativo di operare ortopedicamente sul linguaggio. Questi sono alcuni degli argomenti di Ždanov. Evocando sin nel titolo i guardiani delle più ottuse ortodossie novecentesche Biuso compie una difesa solenne e dolente e a volte dura e beffarda della necessità di serbare il pensiero, la libertà e la nostra natura cercante di fronte a chi ha deciso di maneggiare la bontà e i valori come fossero un randello o un sudario» .

E questa è la pagina introduttiva:
«Andrej Aleksandrovič Ždanov (1896-1948) fu, tra l’altro, capo del Dipartimento per l’agitazione e la propaganda dello Stato Sovietico. In questa veste elaborò una Dottrina per la quale ciò che viene chiamato scienza, cultura e conoscenza deve essere sempre subordinato agli scopi supremi della pubblica autorità, a ciò che tale autorità ritiene essere un Valore, costituire il Bene. Questo libro intende mostrare che lo spirito di Ždanov, lo ždanovismo, pervade di sé molti fenomeni collettivi e molta elaborazione culturale del XXI secolo e soprattutto intrama la tendenza omologatrice, uniformante e politicamente corretta dei media, della rete Internet, delle università e dei governi. In questo senso, Ždanov non è un testo dedicato soltanto al politicamente corretto ma costituisce un tentativo di ragionare sulla difficoltà o persino sulla impossibilità di buona parte della cultura dominante di pensare il mondo. Di questo inciampo il politicamente corretto è spesso l’aspetto più grottesco e in ogni caso emblematico e assai grave.
Naturalmente, il libro avrebbe potuto intitolarsi anche Goebbels. Sul politicamente corretto» (p. 9)

Il libro si compone di una premessa, sei capitoli e l’indice dei nomi:

Un titolo
1. Un sintomo
2. Umanitarismo
3. Contro l’etica
4. La dissoluzione della scuola e delle università
5. Femmine e maschi
6. In difesa delle libertà
Indice dei nomi

Il volume è disponibile in varie librerie e sul sito dell’editore, che ringrazio ancora una volta per l’apertura e il coraggio che mostra nel pubblicare libri così critici nei confronti delle idee dominanti.

 

Recensioni

Stefano Isola su ACrO-Pólis, 25 agosto 2024

Marta Mancini su Aldous, 3 luglio 2024

Enrico Palma su Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee, 11 giugno 2024

Sergej su girodivite.it, 23 maggio 2024

Sarah Dierna su Discipline Filosofiche, 29 aprile 2024

 

Transizioni

Transizioni
Aldous, 27 gennaio 2024
Pagine 1-2

A partire dal caso della città dove abito, Milano, ho cercato in questo articolo di analizzare il significato, le contraddizioni e la forte spinta transumanista di alcune recenti tendenze alla “transizione”: transizione digitale, transizione ecologica, transizione di genere.
Tali transizioni sono fondate su un moralismo estremo che intende sostituire (per usare le categorie platoniche) il Vero con il Buono, dove che cosa sia Buono è naturalmente stabilito da chi ha il potere e le risorse economiche per convincere le masse degli spettatori.
Tutto questo è espressione di una posizione storico-politica ancora più ampia: l’occidentalismo. Esso consiste nella certezza che i valori dell’Occidente anglosassone (e non dell’Europa) siano valori universali, indiscutibili e santi. Un occidentalismo molto aggressivo, manicheo e sostanzialmente suicida visto che l’Occidente rappresenta una minoranza sul pianeta, sia dal punto di vista economico sia da quello demografico e in relazione alle risorse naturali.
Il rischio per un’Europa asservita all’ideologia occidentalista è di cadere nella spirale di una transizione verso la propria fine.

[L’articolo è uscito anche su Sinistrainrete]

Universalismo

Universalismo
Aldous, 5 gennaio 2024
Pagine 1-3

L’universalismo liberale dell’Occidente non si fa scrupoli ad agire in base a principi etnocentrici e razziali quando essi diventano funzionali alla sua politica di potenza. Conseguenza di tale universalismo etnocentrico è un sempre più esteso e capillare controllo delle opinioni critiche rispetto agli eventi (che si tratti di epidemia, di Ucraina, di Palestina), una sempre più chiara imposizione di slogan autoritari, un pericoloso tramonto della libertà di espressione.
In questo modo l’universalismo liberale si mostra in realtà per quello che è, una forma della volontà di potenza, un’espressione del rifiuto delle differenze e della molteplicità a favore di un’identità imperiale.

[L’articolo è uscito anche su Sinistrainrete]

Buoni sentimenti

L’imprevedibile viaggio di Harold Fry
(The Unlikely Pilgrimage of Harold Fry)
di Hettie MacDonald
Gran Bretagna, 2023
Con: Jim Broadbent (Harold Fry), Penelope Wilton (Maureen), Earle Cave (David Fry), Linda Bassett (Queenie)
Trailer del film

Quanto bisogno hanno gli umani di sentirsi buoni. Di sentirsi e apparire sinceri, bravi, corretti, accoglienti, onesti, dolci. Un bisogno che ha naturalmente anche origini filogenetiche, in modo da temperare un poco l’innata e indispensabile aggressività che spesso tracima in esplicita violenza e altrettanto spesso in ferocia, azioni estreme e persino sadismo. Dato che la paura di un Grande Padre che punisca i bambini cattivi non è alla fine sufficiente, si inventano idee e soprattutto autorappresentazioni che ci rassicurino sulla nostra indole in fondo non tanto malvagia. Esistono raffinatissime e più o meno razionali versioni di questa immaginazione (l’antropologia di Rousseau, ad esempio) e poi esistono opere del tutto finte come questo Unlikely Pilgrimage of Harold Fry. Pilgrimage, pellegrinaggio, e non viaggio come recita il sempre banalizzante titolo italiano. Un pellegrinaggio unlikely, improbabile e non imprevedibile, che non è la stessa cosa. 

È infatti improbabile, davvero improbabile, che un pensionato abitudinario e poco camminatore di una qualsiasi cittadina inglese dopo aver ricevuto da una sua vecchia collega la notizia che lei si trova in un ospedale nella fase terminale di un tumore, decida di colpo di mettersi in cammino per andare a trovarla a 800 chilometri di distanza, un cammino a piedi (un pellegrinaggio appunto) nato dalla fede che sin quando Harold camminerà per raggiungerla, l’amica Queenie non morirà. Durante questa improbabile camminata, Harold si trova ovviamente in condizioni molto critiche ma viene accolto da una signora che gli offre dell’acqua dicendogli quanto sia bello avere dei figli; viene amorosamente curato da un medico (femmina) immigrato che per vivere fa le pulizie; incontra in un bar un maturo omosessuale che gli chiede consiglio su come agire con il proprio amante giovane e povero; viene fotografato e diventa la star dei buoni sentimenti televisivi, tanto che un giovane ex tossico e poi molte altre persone si uniscono a lui (in una versione New Age di Forrest Gump), scegliendolo come guru. Alla fine, però, Harold arriva da solo al capezzale dell’amica, le regala un cristallo dal quale vengono illuminati – in una scena tra le più finte e fasulle che abbia visto al cinema – la donna del bicchiere d’acqua, il medico immigrato, l’omosessuale.

Harold attraversa, in un itinerario poco picaresco e abbastanza selvaggio, buona parte dell’Inghilterra, sino ai confini con la Scozia. Attraversa quindi le terre e le città della nazione che ha inventato il colonialismo e la schiavitù moderne, che ha esportato l’imperialismo al di là dell’Atlantico con la sua gemmazione statunitense, che rimane serenamente fedele alla sua storia con la piena complicità nei massacri in corso in Ucraina e a Gaza. Ma non intendo soffermarmi su questo aspetto storico, che pure è significativo.
The Unlikely Pilgrimage of Harold Fry è veramente emblematico di altro, è emblematico di una ideologia tanto autoritaria e distruttiva quanto più si presenta buona e brava. I personaggi sono centellinati con la bilancia del farmacista: QB per i neri, le donne islamiche con il velo, gli immigrati, i tossici, con una robusta dose di anziani che nelle loro vite hanno fallito ma che suscitano tanta compassione. Più di tutti ha fallito Harold. La vera ragione del suo pellegrinaggio, si scopre a poco a poco, non è la sopravvivenza della collega Queenie ma la vicenda del figlio David, che compare a intervalli regolari nel film con tutto il peso della sua memoria. Ragione che Harold dichiara in modo aperto quando, arrivato a destinazione, comincia a piangere e a ripetere «Voglio mio figlio, voglio mio figlio». È un atroce senso di colpa a guidare questo personaggio. La colpa sulla quale vivono e prosperano tutti i poteri immanenti e trascendenti, temperata da affermazioni quali: «La fede può ottenere qualunque cosa» (testuale, un personaggio dice proprio questo).

Sentimento di colpa che si coniuga al sentimento della morte, che nella nostra povera civiltà di depressi è rifiutata, taciuta oppure posta al centro delle decisioni politiche, perché la salute è tutto e non bisogna morire, non bisogna proprio; la morte è un disdicevole scandalo, un comportamento inammissibile. Degli umani che arrivano a questo, a combattere strenuamente contro la loro stessa natura di enti finiti, e il cui solo accenno alla morte li terrorizza, sono destinati a una vita ben triste, come appunto è quella di Harold.
Ma questo non è affatto l’unico modo di essere umani e di rimanere vivi. Tantomeno è un modo inevitabile e naturale. Ci sono state e ci sono intere e grandi culture, quelle orientali ad esempio, nelle quali e per le quali morire è naturale quanto vivere. Anche l’Europa una volta è stata così. Diogene Laerzio racconta (ma è soltanto uno dei tanti episodi e detti di questo tenore) che quando ad Anassagora annunciarono la morte dei figli la risposta fu «Sapevo di averli generati mortali» (I Presocratici, a cura di G. Giannantoni, Anassagora, DK A 1; p. 557). L’abisso che ci separa da un simile sentimento della vita, sostituito da patetici e fasulli ‘buoni sentimenti’, è indice e segno assai chiaro di un tramonto.

Woke

Sul fenomeno Woke
Aldous, 28 novembre 2023
Pagine 1-2

Politically correct, cancel culture e wokismo (stadio estremo del politicamente corretto, apparso dal 2012-2013) sono accomunati dal rifiuto programmatico della logica argomentativa alla quale sostituiscono l’attingimento a valori ritenuti superiori a ogni critica e a ogni discussione, di fatto diventati degli assoluti. Ogni ragionare deve essere sostituito da un aderire a credenze di natura morale e a pratiche di struttura fideistica, allo scopo di cancellare ogni ‘discriminazione’ reale o presunta, salvo e inevitabilmente generare discriminazioni e violenze ancora più nette e pervasive.
In questo breve testo ho cercato di delineare le radici religiose e le principali espressioni di questo fenomeno, concentrandomi sul safetyism, vale e dire sull’atteggiamento che potremmo tradurre con ‘protezionite’. Le persone, soprattutto appartenenti alle classi agiate, che da bambine non vengono mai lasciate sole a dirimere i loro conflitti cercano poi anche da adulte la protezione di una autorità superiore, non più familiare ma ad esempio universitaria, che le difenda da ogni pur minimo contrasto e conflitto con i diversi. Contrasti e conflitti che rappresentano in realtà un elemento costante delle vite e delle psicologie sane, non patologiche, e saper affrontare i quali, senza piagnucolare indicando ‘l’altro’ come ‘cattivo’, è indice dell’essere diventati davvero adulti. Una protezionite rispetto a ogni pur minimo conflitto che poi passa dalle famiglie alle istituzioni universitarie e alla burocrazia accademica.

[Foto di Zachary Kadolph su Unsplash]

Irrazionalismi

Irrazionalismi
Aldous, 9 settembre 2023
Pagine 1-2

Con la fine del progetto comunista incarnato dagli stati guidati dall’Unione Sovietica, il sedicente ‘progressismo’  è diventato una forma della reazione che va assumendo caratteri sempre più globali. Si tratta infatti di posizioni politiche, culturali, finanziarie che si pongono al servizio delle multinazionali, del loro globalismo che è una forma di imperialismo economico e dunque politico e che si presenta con caratteri etico-religiosi come forma del Bene, quando invece – come tutte le pratiche di dominio che tendono all’egemonia – è espressione di atteggiamenti esclusivi ed escludenti, che non dialogano con altre posizioni ma semplicemente le condannano.
In questo articolo ho cercato di indicare alcune espressioni e forme di tale fenomeno, in particolare quelle che per il loro fanatismo e la loro bizzarria mi sembrano affette da particolare irrazionalismo. Tra queste ho accennato anche all’involuzione che i Dottorati di ricerca delle Università italiane (certamente quelli di Unict) stanno subendo a causa delle imposizioni, delle forme ideologiche, degli interessi finanziari che si celano nella formula esoterica ‘PNRR’.

[Foto di Salvador Altamirano su Unsplash]

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