Skip to content


Ždanov a Catania

Lunedì 18 novembre 2024 alle 18.00 alla libreria Feltrinelli di Catania sarà presentato Ždanov. Sul politicamente corretto (Algra Editore, 2024). A parlarne saranno Alessio Canini, Sarah Dierna e Davide Miccione.

«Ancora una volta tentiamo di comprendere il presente. Che esso ci appaia sereno, miserabile, labirintico, patetico, esaltante, creativo e altro e altro, tentiamo di comprenderlo con gli strumenti nostri – della comunità filosofica intendo, non di quella mediatica e spettacolare –, con gli strumenti del concetto e della sua libertà» (Ždanov, p. 11).

 

Russia

Prima di pubblicare sul mio sito una pagina sulla Russia che ho ricevuto da un amico ho chiesto a un’altra amica che conosce bene quel Paese (e non è affatto simpatizzante del suo attuale governo) se questa descrizione della vita quotidiana in Russia corrisponda a realtà o meno.
La sua risposta, della quale le sono grato, è stata assai chiara e ha confermato ciò che ormai da anni penso dell’Occidente anglosassone (non dell’Europa, della quale la Russia è parte fondamentale), vale a dire che si tratta di una civiltà spenta, di una democrazia fasulla, di uno spazio dominato sempre più dall’ignoranza (con la dissoluzione delle scuole e delle università) e soprattutto dall’asfissia, uno spazio dove più non si respira. È quanto ho cercato di argomentare nel mio libro sul politicamente corretto e quanto discuto spesso su questo sito.
Naturalmente non condivido l’afflato natalista di queste righe; la mia amica ha inoltre precisato che il sogno dell’‘Occidente con la Mercedes’ poteva valere nei primi anni dopo la fine dell’URSS, non più oggi. Ma al di là di questi e altri elementi specifici, confido che la pagina che segnalo possa offrire una prospettiva diversa su un Paese europeo nei confronti del quale l’informazione occidentalista e atlantista risulta particolarmente tossica.

======

Non sappiamo mai il valore dell’acqua finché il pozzo non è asciutto

Nel suo canale Telegram, il giornalista Mikhail Onufrienko ha pubblicato la storia raccontata dal ristoratore Maxim, un tedesco che ha vissuto in Germania, Svizzera, Francia e America e ha lavorato nei migliori ristoranti del posto. Ha avuto l’opportunità di apprezzare la vita in quei paesi e di rimanere per vivere nei migliori. Tuttavia, si è trasferito nella città di Dobrograd, in Russia.

«Quando hai figli», dice Maxim, «e io ne ho due, inizi a pensare al futuro: non al tuo futuro, ma a quello dei tuoi figli. Ho cinquant’anni, ho vissuto la mia vita. Avrei potuto restare in Germania, ho lavorato in Austria, America e in altri posti. Ma quando hai figli, inizi a pensare a loro: in quale paese vivranno? Che tipo di futuro avranno? E non vedo un futuro per i miei figli in Germania, per dirla in parole povere.
I russi non si rendono conto di quanto siano liberi. Non si rendono conto di quanto siano liberi di parlare di quasi tutto ciò che vogliono qui. La società tedesca è cambiata negli ultimi vent’anni al punto che non c’è più libertà di opinione.
I russi mi sorprendono sempre: pensano che se si trasferissero in Europa, vivrebbero esattamente come qui, solo che guiderebbero tutti una Mercedes. Cerco di spiegarglielo, dico: ‘Ragazzi, non vi rendete conto di quanto siete fortunati a vivere qui’. Il novanta per cento dei russi vive in appartamenti di loro proprietà, mentre in Germania solo il due per cento vive in case di proprietà. Tutti gli altri affittano un alloggio.
In Germania, quando la gente vede un bambino che corre, qualche vecchia signora urla sempre: ‘Porta tuo figlio al guinzaglio!’ Qui, quando esco con mio figlio, tutti mi sorridono. Il novantacinque per cento delle donne e degli uomini, giovani e anziani, mi sorridono. La gente qui ama i bambini.
Non ho mai visto così tanti parchi giochi come in Russia. Sono stato in molti paesi e non ho mai visto così tanti parchi giochi. In Germania, se cammini per la città, vedi uno o due parchi giochi ogni centomila persone, ma qui, c’è un parco giochi in ogni cortile. È incredibile.
I tedeschi vivono per lavorare. Qui, la gente vive per vivere. Vuoi goderti la vita, solo per viverla. Mia moglie ha vissuto in Cina per sette anni, ha studiato alla Shanghai University e dice: ‘Non ho mai visto niente di più noioso dell’Europa, è solo una palude. La vita è così: casa-lavoro-casa-lavoro-casa-lavoro. Tutto qui, non c’è nient’altro. È noioso’. Qui in Russia, c’è un po’ di ‘azione’, dice. La gente vive vite vibranti».

Babilonia

Babilonia
Aldous
, 3 settembre 2024
Pagine 1-2

La natura profondamente teologica dell’opera narrativa e drammaturgica di Friedrich Dürrenmatt si esprime nei temi, nel lessico, nel significato complessivo dei suoi singoli romanzi, racconti, commedie e drammi. A volte però lo fa in modo palese e diretto, come nel caso di Un angelo è sceso a Babilonia.
Può una commedia scritta nel 1953, i cui protagonisti sono Nabucodonosor, mendicanti babilonesi, angeli e mercanti, può un simile testo parlarci del nostro presente? Può descrivere politici, funzionari, professori, medici, giornalisti, albergatori, bidelli contemporanei? Sì, può. La torre della ὕβρις politico-moralistica nella quale siamo immersi emerge vivida da una commedia che testimonia che cosa sia il grande teatro del Novecento.

Stefano Isola su Ždanov

Stefano Isola
Per un’ascesi barbarica
ACrO-Pólis
25 agosto 2024
pp. 1-5

«Questo di Biuso è un libro necessario per orientarsi nella situazione di barbarica decadenza in cui viviamo, e lo è anche per la sua capacità, assai rara nel quadro degli attuali tentativi di ridefinizione degli strumenti concettuali per la critica del presente, di realizzare generosamente l’auspicio del suo stesso autore: scrivere un testo che sia non soltanto una critica al wokismo dilagante, ma un più generale “tentativo di ragionare sulla difficoltà o persino sulla impossibilità di buona parte della cultura dominante di pensare il mondo”. In tale ampia prospettiva il libro di Biuso dedica ricche ed ispirate disamine a questioni fondamentali come la dissoluzione della scuola e dell’università, e l’oscurantismo antibiologico della cosiddetta gender theory, in capitoli che meriterebbero ciascuno una recensione a parte.
[…]
I fenomeni collettivi che vanno sotto la denominazione di woke e di cancel culture, insieme ad esiti apparentemente bislacchi come gli abbattimenti di statue o la censura nell’insegnamento scolastico di poeti e pensatori del passato in nome di dogmi del presente, sedimentano ed alimentano l’annullamento e il superamento dei dati di realtà – tra cui la distinzione biologica tra i sessi, ma anche tra salute e malattia, tra materico e digitale, tra reale e virtuale – spingendo l’intera cultura occidentale nella trappola di un narcisismo egotico in cui tutti possono essere tutto nello stesso momento in cui sono portati benevolmente per mano verso il nulla, verso la perdita di ogni differenziazione culturale ed esperienziale e dunque di ogni significato effettivo. E proprio nella misura in cui si dissolve il confine tra verità e finzione, tra ciò che si dà e ciò che si inventa, tra ciò che si produce naturalmente e ciò che viene artificialmente simulato ed implementato, si configura un macroscopico processo di ingegneria sociale assegnato alla decostruzione delle dimensioni umane prodotte dalla biologia e dalla storia, ed al loro oltrepassamento verso la dimensione del transumanesimo»

[La recensione è uscita anche sulla rivista La Fionda, il 6 settembre 2024 e sul bellissimo periodico Il Covile il 19 settembre 2024.  Di questa terza uscita è disponibile anche il pd,, pagine 1-6]

Maleparole

Wicked Little Letters
(Cattiverie a domicilio)
di Thea Sharrock
Gran Bretagna, 2023
Con: Olivia Colman (Edith Swan), Jessie Buckley (Rose Gooding), Anjana Vasan (Gladys Moss), Timothy Spall (Edward Swan)
Trailer del film

Tra le tante sindromi psicosomatiche, in parte anche di origine genetica, che accompagnano e affliggono le persone ce n’è una nota anche perché tra le vittime sembra vi sia stato Mozart. Si tratta della sindrome di Tourette, la quale induce il soggetto a una serie di comportamenti quasi automatici, per lo più ossessivo-compulsivi, tra i quali la coprolalia, vale a dire l’utilizzo di un linguaggio osceno e svaccato, del turpiloquio.
La vicenda raccontata in questa commedia umoristica ma piuttosto amara – e che sembra ispirarsi a eventi realmente accaduti – si riferisce a qualcuno che durante gli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale in un paesino britannico scrive e spedisce lettere piene di maleparole e di fantasiosi e grevi insulti, tutti declinati nel registro degli escrementi e del sesso. Le prime vittime sono una devota zitella e i suoi altrettanto bigotti genitori. Poi i destinatari si ampliano a numerosi altri abitanti del luogo. Viene immediatamente sospettata una giovane immigrata irlandese, vedova e ragazza madre, molto estroversa, frequentatrice di pub e dal linguaggio assai aperto. Naturalmente la colpevole non è lei, come cerca di dimostrare una poliziotta che prende a cuore il caso, anche contro i suoi superiori. Quel comportamento è infatti come sempre il frutto dell’invidia e soprattutto del rancore più profondo che una persona sottomessa nutre inevitabilmente verso i suoi tiranni. In ogni caso, buona parte della sceneggiatura è composta da un denso, variabile e pesante turpiloquio.
Piccole lettere malvagie è anche l’occasione per delle esemplari prestazioni attoriali sia delle due attici protagoniste sia dei tanti ottimi caratteristi che le attorniano. Triste è però la conferma che troppe opere cinematografiche seguono un vero e proprio «Manuale Cencelli» che non deve far mancare tra gli attori i neri e i gay. In questo caso la seconda categoria sarebbe stata del tutto inverosimile per l’epoca e quindi non compare. Il poliziotto donna è invece di origine indiana e un giudice è di colore. Caratteristiche assai improbabili nell’Inghilterra degli anni Venti del Novecento. A un’opera anche e soprattutto di fantasia non si chiede ovviamente verosimiglianza e realismo e tuttavia l’imposizione di regole «inclusive» a registi e case di produzione è un esempio di sottomissione estetica e moralistica, di negazione della libertà. Quella «libertà» che pure i contenuti del film giustamente difendono e rivendicano.

Marta Mancini su Ždanov

Marta Mancini
Ždanov o della superiorità (im)morale
Aldous
3 luglio 2024
pagine 1-4

«La chiave per comprendere la sottocultura che va sotto il nome di politically correct, con gli annessi dispositivi della cancel culture e del wokismo, è senz’altro la sudditanza all’egemonia culturale d’oltreoceano, sostenuta da una forte matrice identitaria radicata nel puritanesimo protestante e nel più profondo calvinismo. Nonostante la crisi in cui versa il progetto economico-finanziario della globalizzazione, gli effetti che ha generato nelle mode culturali sono ancora tangibili e più stringenti che in passato, anche se il compito di conservare la supremazia statunitense ha passato la mano allo sforzo bellicista, naturalmente a spese di altri paesi e lontano dalla geografia fisica della democraticissima nazione che ha sempre molto da insegnare, specialmente in superiorità etica.
Da una simile prospettiva prende avvio l’ultimo libro di Alberto Giovanni Biuso, da poco uscito per Algra Editore, Ždanov. Sul politicamente corretto nel quale l’autore percorre i tratti di tale contesto culturale mostrandone con critica passione i sintomi, i presupposti impliciti, la pervasività, le sostanziali contraddizioni ma anche la possibilità di uscirne attraverso un atto coraggioso di libertà che è prima di tutto libertà di pensiero e di parola. Con la scelta della globalizzazione come sfondo naturale del politicamente corretto, Biuso ne esplicita anche la connotazione ideologicamente trasversale, rappresentata da “un bizzarro miscuglio di alcune espressioni della cultura ‘di destra’ nelle sue componenti individualistiche e liberiste e della ‘cultura di sinistra’ nelle sue componenti altrettanto individualistiche che tendono a trasformare semanticamente e giuridicamente alcuni legittimi ‘desideri’ individuali, figli di ben precisi contesti storici, in dei ‘diritti naturali’»

Vai alla barra degli strumenti