«Anima madre», versi e immagini in simmetria
il manifesto
23 giugno 2015
pagina 11
Anima madre (2004-2013), con le immagini di Mimmo Jodice, è la quarta raccolta in versi di Eugenio Mazzarella.
«Anima madre», versi e immagini in simmetria
il manifesto
23 giugno 2015
pagina 11
Anima madre (2004-2013), con le immagini di Mimmo Jodice, è la quarta raccolta in versi di Eugenio Mazzarella.
Il tempo, la salvezza
Postfazione a Nun è timpu di Alessandro Giuliana
Pagine 37-39
Algra Editore, Catania 2015
Il giovane favoloso
di Mario Martone
Italia, 2014
Con Elio Germano (Giacomo), Michele Riondino (Antonio Ranieri), Massimo Popolizio (Monaldo), Valerio Binasco (Pietro Giordani), Paolo Graziosi (Carlo Antici), Sandro Lombardi (precettore di casa Leopardi), Isabella Ragonese (Paolina Leopardi), Anna Mouglalis (Fanny Targioni Tozzetti), Federica De Cola (Paolina Ranieri)
Trailer del film
Il problema sono le biografie. Le quali possono essere a volte utili alla comprensione ma che nel caso di artisti, filosofi, scienziati costituiscono per lo più un equivoco. L’equivoco della dipendenza dell’opera dal fattore biografico. È evidente che le esistenze di tutti gli esseri umani -compresi coloro che hanno lasciato qualcosa di duraturo, di fecondo, di bello nel tempo- sono segnate anche da contraddizioni e da miserie. Poiché sono segnate dal limite. Il problema è la riduzione dell’opera a tale limite. Il film di Martone cade in questo errore. E dire che ne è consapevole. Uno dei momenti chiave del film è infatti l’incontro di Leopardi con dei letterati in un caffè di Napoli. Alcuni di costoro criticano il tono eccessivamente «malinconico» delle sue composizioni. Qualcuno cerca di difenderlo ricordando i problemi di salute del poeta e facendo dipendere da questo elemento tale tono. Leopardi risponde con determinazione che questo non c’entra nulla, che -se riescono- debbono smontare i suoi ragionamenti e non le sue malattie, che non debbono ridurre a una questione di salute o di umore ciò che è frutto «del mio intelletto». Esatto. Ma il film naviga in direzione opposta. E lo fa anche esagerando, inserendo scene -come l’incontro con le prostitute- del tutto superflue e tendenti solo a titillare l’inevitabile voyeurismo di ogni biografia.
Giacomo Leopardi non c’entra nulla con tutto questo. Leopardi è uno dei più importanti filosofi europei dell’Ottocento. Un pensatore che come Kierkegaard, Schopenhauer, Heidegger, Cioran sa che l’esistere umano è un oscillare tra il dolore e la noia, il cui ultimo esito è l’essere per la morte. «Pare che l’essere delle cose abbia per suo proprio ed unico obbietto il morire. Non potendo morire quel che non era, perciò dal nulla scaturirono le cose che sono» (Cantico del gallo silvestre, in «Operette morali», Garzanti 1982, p. 287). La metafisica di Leopardi è radicalmente materialistica. Egli vede nel mondo un continuo aggregarsi e sciogliersi di enti, in cui ciò che rimane costante è solo la quantità di energia e di sostanza. Nel Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco leggiamo che «le cose materiali, siccome elle periscono tutte ed hanno fine, così tutte ebbero incominciamento. Ma la materia stessa niuno incominciamento ebbe, cioè a dire che ella è per sua propria forza ab eterno» (p. 294).
La logica conseguenza è il lucido e costante rifiuto di ogni antropocentrismo. L’infantile pretesa che il mondo sia stato fatto a esclusivo uso di una specie, che il volgere delle galassie e della materia sia finalizzato al progresso della vicenda umana, la dismisura antropocentrica -insomma- è deprecata da Leopardi con giusta ironia e a volte con ferocia. Prometeo riconosce di aver perduto la sua scommessa, di aver fatto un errore nell’esaltare le capacità dell’animale uomo, dato che il genere umano è sì sommo ma «nell’imperfezione» (La scommessa di Prometeo, p. 112). Nella chiusa del Dialogo di un folletto e di uno gnomo quest’ultimo splendidamente osserva che dopo la scomparsa degli umani «le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, e non hanno preso le gramaglie» (p. 69). Leopardi si inserisce, così, in quella linea della filosofia europea che da Spinoza a Heidegger sottolinea la finitudine dell’ente uomo, il suo essere effimero in un mondo che si muove e vive in assoluta indipendenza rispetto alle sue componenti. La Natura risponde, gelida, all’Islandese che «se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvederei» (Dialogo della natura e di un Islandese, p. 155). Questa antica e sempre argomentata concezione teoretica si riduce nel film di Martone alla Natura che assume il volto della madre di Leopardi. Banale psicoanalisi, insomma.
Il primo a respingere con decisione il riduzionismo biografico è stato naturalmente lo stesso scrittore, il quale fu perfettamente consapevole della propria strategia ermeneutica e dei suoi fini e rifiutò con grande lucidità la tesi che voleva fare delle sue opere la mera conseguenza dei suoi malanni: «E sentendo poi…dire che la vita non è infelice, e che se a me pareva tale, doveva essere effetto d’infermità, o d’altra miseria mia particolare, da prima rimasi attonito, sbalordito, immobile come un sasso…poi tornato in me stesso, mi sdegnai un poco; poi risi» (Lettera a De Sinner, 24.5.1832). A chi gli vorrebbe negare la qualità teoretica e l’oggettività dell’analisi, Leopardi così risponde: «Se questi miei sentimenti nascano da malattia, non so: so che malato o sano, calpesto la vigliaccheria degli uomini, rifiuto ogni consolazione e ogn’inganno puerile, ed ho il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della vita, non dissimularmi nessuna parte dell’infelicità umana, ed accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera» (Dialogo di Tristano e di un amico, in «Operette morali», p. 377).
Una filosofia dolorosa, ma vera. Leopardi non fu un uomo che soffriva, fu un corpomente che pensava. Ha quindi ragione Jaspers quando afferma che «un’opera deve essere valutata esclusivamente sulla base del suo contenuto spirituale: la causalità sotto il cui influsso qualcosa è creato, non dice nulla sul valore della creazione stessa» (Nietzsche. Introduzione alla comprensione del suo filosofare, Mursia 1996, p. 104).
In questo film sono certamente suggestive la forma, il taglio delle inquadrature, la luce. Suggestivo e ben trovato è soprattutto il titolo. E però di questo «giovane favoloso» non si comprende in che cosa consista la meraviglia, lo splendore, la favola. La vicenda si conclude con la lettura di alcuni versi della Ginestra da parte di Leopardi di fronte allo «Sterminator Vesevo». Una lettura che però si interrompe insensatamente prima dei versi finali, che avrebbero potuto esprimere meglio l’ironia e l’antiumanesimo del pensiero leopardiano: «Ma più saggia, ma tanto / Meno inferma dell’uom quanto le frali / Tue stirpi non credesti / O dal fato o da te fatte immortali» (vv. 314-317).
La parola poetica -la Parola- si alza di fronte all’orrore e ne chiede il senso, lo chiede al divino.
Anche di questo è capace la parola di Eugenio Mazzarella.
Da 40 anni Abu Mohammed si dedica ai morti.
Avvolge i corpi nel lenzuolo di lino bianco.
Gaza 2014
Teatro Franco Parenti – Milano
Lo straniero
Reading tratto da L’étranger di Albert Camus
con Fabrizio Gifuni
riduzione letteraria di Luca Ragagnin
regia di Roberta Lena
produzione il Circolo dei Lettori
2-3 luglio 2014
Fabrizio Gifuni è proprio Meursault. È la sua calma, l’indifferenza, la lucidità. È il pari valore delle scelte. È l’inevitabilità degli avvenimenti. È lo svuotamento dell’immensa ipocrisia degli esseri umani, è la distruzione del loro egoismo. È la colpa d’essere nati. È la parola pacata, essenziale e terribile. È il sole a piombo, accecante e mortale. È l’anarchismo che rifiuta codici, tribunali e religioni. È il disincanto sulle istituzioni, sulle passioni e sui sentimenti. È la bellezza delle notti di sale, di terra e di stelle. È la poesia che zampilla invisibile da una scrittura apparentemente prosaica. È la ribellione, l’urlo, la morte. È l’odio.
Fabrizio Gifuni è proprio Meursault. La sua voce ferma, i gesti essenziali, il grido improvviso, la calma del mare si rapprendono in una magnifica esperienza di ascolto, di pensiero, di odio.
Il caso, vale a dire la necessità degli eventi, ha voluto che a distanza di meno di una settimana uscissero due miei nuovi libri. Li presento quindi insieme.
Temporalità e Differenza è un testo non molto lungo ma denso, nel quale ho cercato di comunicare ciò che sinora ho appreso del tempomondo. Sono contento che sia stato pubblicato da una casa editrice che da più di 125 anni è un punto di riferimento per gli studi umanistici, in Italia e non solo. È diviso in 21 paragrafi, ciascuno con un proprio titolo. Una struttura che nelle mie intenzioni lo rende simile a un vino da meditazione, da gustare senza fretta.
Un barlume di fasto è uno dei quattro volumi che inaugurano una nuova casa editrice che si chiama ScritturImmagine. ebook e multipli d’autore. Si tratta quindi di ebook, pensati però non come trasposizione del cartaceo ma come una diversa forma della comunicazione. Lo si vede anche dal modo in cui sono impaginati i testi. Per la pagina a me dedicata gli editori hanno scelto una poesia che si intitola Desiderio e quei versi mi sembrano già diventati oggettivi, diversi da me pur se da me nati. Gli editori hanno deciso di non proteggere gli ebook, affidandosi alla correttezza dei lettori. Credo che sia una scelta temeraria. Speriamo bene.
***************
Temporalità e Differenza
Leo S. Olschki
Firenze 2013
Pagine VIII-120
€ 18,00
***************
Un barlume di fasto
Scrimm Edizioni
Catania 2013
Pagine 60
€ 4,99
I fiori del male
(Les Fleurs du mal)
(1857-1868)
di Charles Baudelaire
Garzanti, 1978
Pagine XXIII-349
«Mais mon coeur, que j’amais ne visite l’extase» (L’irreparabile), eppure è tutta un’estasi questo canto notturno, ironico e fremente, che sembra precipitarsi verso il Nulla. Satana lodato e benedetto, padre delle tenebre e protettore dei disperati, è una maschera rovesciata del Dio che mai è stato; l’amore si trasforma in spettro; l’oppio e il vino diventano gli strumenti del nirvana. E il Tempo, il Tempo che precipita, annienta e purifica, è odiato dal poeta come l’immagine di un «dieu sinistre, effrayant, impassible» (L’orologio). «Amour…gloire…bonheur!» sono delle chimere e nonostante la magnificenza di alcuni paesaggi -«La gloire du soleil sur la mer violette, / La gloire des cités dans le soleil couchant»- la vera «chose capital» è «le spectacle ennuyeux de l’immortal péché». Il Baudelaire che loda San Pietro per aver rinnegato Gesù ha nel fondo il sentimento più desolato e irreparabile del peccato che involve l’umano sin dal suo apparire. E dunque disgusto, putrefazione, violenza, assassinio, illusioni, voluttà, maledizioni, demenza, oppio, «Tel est du glob entier l’éternél bullettin» (Il viaggio).
C’è tuttavia in questo libro l’affermazione decisa di un sì, l’affermazione della potenza dell’arte come unico «Inconnu» nel quale si possa «trouver du nouveau!» (Il viaggio). Così se «Lorsque, par un décret des puissances suprême, / Le Poëte apparaît en ce monde ennuyé» (Benedizione) l’universo intero sembra rifiutare questa creatura strana e insensata, tuttavia nel procedere dei tempi la poesia appare compagna e amica della vita, la bellezza splende come «unique reine» della mente e di quei pochi uomini che sanno ancora ascoltare la Terra sacra e maledetta (Inno alla bellezza).