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Coltelli ermeneutici

Knives Out
(Cena con delitto)
di Rian Johnson
Con: Daniel Craig (Benoit Blanc), Ana de Armas (Marta), Christopher Plummer (Harlan Thrombey), Jamie Lee Curtis (Linda Thrombey), Michael Shannon (II) (Walt Thrombey), Don Johnson (Richard Drysdale)
USA, 2019
Trailer del film

Un suicidio che non è un suicidio ma che forse è un suicidio. Un’infermiera che è di buon cuore ma forse è un’omicida senza essere un’assassina. Una famiglia ricca perché il nonno, famoso scrittore di gialli, la rende tale ma che ricca non è pur essendo molto ricca. E un detective che sembra girare a vuoto ma al quale non sfugge ovviamente nessun particolare, interpretato da un Daniel Craig che, dismessi gli abiti di 007, si dondola come un fessacchiotto nel suo tweed grigio tra il proletario e lo snob. E infine una bisnonna della quale nessuno conosce esattamente l’età. Il tutto frullato in una tipica villa di campagna, solitaria e labirintica. Con l’inevitabile testamento.
Un giallo classico, assai divertente e -direi– rilassante. Con decine di coltelli sempre sullo sfondo anche se, come ci insegna la metafisica, in quanto oggetti empirici essi «si generano perennemente senza mai essere» (Platone, Timeo, 27d–28a). Coltelli quindi che non sono coltelli pur essendo coltelli. La filosofia, pertanto, non è solo «la musica più grande» (sempre Platone, Fedone, 61a), è anche il più intrigante giallo che sia mai stato scritto.

Scuola dell’ignoranza

La scuola del liberismo e la crisi delle scienze europee
in La scuola dell’ignoranza
A cura di Sergio Colella, Dario Generali e Fabio Minazzi
Mimesis 2019
Pagine 118-140

Grande è la difficoltà dell’educare. Nonostante  la centralità che attribuisce all’educazione, Platone esclude un’uguaglianza meccanica dei suoi risultati; sa che una precondizione è l’armonia tra intelletto e carattere; inserisce il fatto educativo nella più vasta dimensione sociale ritenendo responsabili del successo o del fallimento l’intera comunità e non soltanto gli educatori; rifiuta sia la mera costrizione autoritaria come la riduzione del peso dell’apprendere; è convinto, infine, che la vera educazione consista nel far emergere qualcosa di totalmente autonomo dall’educante e che è presente invece nell’educato. Persino per i Sofisti e per Isocrate lo studio e l’esercizio non bastano se non sono sostenuti da un adeguato talento naturale. Se uno di questi tre elementi viene a mancare, l’educazione non può che fallire.
La struttura del fatto educativo è socratica. Nessun docente può garantire alcun risultato se in chi lo ascolta non c’è predisposizione all’apprendere e volontà di riuscirci. L’educatore non è onnipotente; l’educando non è una macchina plasmabile in qualsivoglia forma; l’educazione è rapporto fra persone, incontro di libertà.
Scuole e università realmente democratiche dovrebbero basare le proprie valutazioni su criteri non di fortuna familiare, di padrinaggio politico, di appartenenza ideologica o di promozione indiscriminata, ma sul merito personale, sulla competenza e sulla volontà. Regalando a tutti dei diplomi e delle lauree frutto di un insegnamento dequalificato e superficiale –e quindi inutile–, i “riformatori”  all’opera in Occidente negli ultimi decenni stanno confermando in realtà la sostanza vecchia e classista dei loro progetti, che si esprime anche nella Società dello spettacolo diventata la Società dell’ignoranza.
Un’ignoranza che non sa di esserlo o che persino si vanta di esserlo. Molte persone ritengono infatti del tutto normale rinunciare ai fondamenti del pensiero argomentativo, con il quale si cerca di dimostrare le proprie tesi, a favore di una esposizione fondata sul sentito dire delle piattaforme digitali, sul principio di autorità, su impressionismi psicologici, su una comunicazione aggressiva.

Indice del saggio
-Uno sguardo al recente passato delle riforme scolastiche
-Effetti delle riforme scolastiche sulla formazione universitaria
-Sul finanziamento della ricerca
-Università, società, cultura
-Conoscenze e competenze
-Grecità e Globalizzazione
 

[Photo by Brandi Redd on Unsplash]

Siracusa, le acque

È certo significativo che il primo filosofo greco abbia indicato nell’ὑγρότης, nell’acqua, nell’elemento umido, il principio e la forza comune a tutti gli enti. La Grecia ebbe infatti nascita dal mare; Οὐρανός e Ζεύς sono intrisi della potenza di ciò che fluisce e non si ferma mai: le acque, il tempo.
Siracusa fu ed è una città greca, il cui Duomo è tuttora il tempio di Atena adattato al loro culto dai soliti parassiti cristiani (come si vede dall’immagine del suo interno qui a destra). Di questa Pentapolis fa parte Ortigia, Ὀρτυγία, “l’Isola delle quaglie”, che non è  soltanto circondata dalla acque ma contiene in sé fonti lussureggianti e ininterrotte.
Tra di esse, tre meritano di essere visitate: il Mikvé, bagno ebraico destinato alla purificazione, scoperto durante i lavori di ristrutturazione dell’albergo Alla Giudecca; i sotterranei della Giudecca sotto la chiesa di San Filippo Apostolo, che contengono anch’esse un bagno ebraico dalla struttura verticale e a spirale; infine, e naturalmente, la Fonte Aretusa, il suo splendore, la passione di Alfeo per la Ninfa, la fuga di lei trasformata in fonte, la tenacia di Alfeo che ottiene di essere a sua volta trasformato in fiume per attraversare il mare e raggiungere l’amata sulle rive orientali della Sicilia.
Secondo alcune versioni del mito -non tutte- la relazione tra Alfeo e Aretusa rimane asintotica, l’amante si avvicina indefinitamente all’amata ma le acque non si mescolano. Segno questo, della distanza che l’Altro sempre rimane, anche quando sembra che i corpi diventino una cosa sola: «Un corps humain, même aimé comme était celui d’Albertine, nous semble à quelques mètres, à quelques centimètres distant de nous. Et l’âme qui est à lui de même», ‘Un corpo umano, anche amato, com’era quello di Albertine, ci sembra, a pochi metri, a pochi centimetri di distanza, lontano da noi. Ed egualmente l’anima che gli appartiene’ (Proust, Sodome et Gomorrhe, in «À la recherche du temps perdu», Gallimard 1999, p. 561, trad. di Elena Giolitti).
Se i bagni ebraici esprimono una ritualità rigorosa e intransigente -persino il numero degli scalini che conducono ai bagni e la loro misura sono stabiliti e simbolici–, il mito ellenico si insinua invece dentro le passioni umane con la libertà e l’imprevedibilità delle acque; si fa a sua volta fiume andando verso una pluralità di direzioni, anfratti, polle. La fonte, le acque, il mito, il cielo si confondono, diventano specchio tremolante nella luce, anche nell’immagine qui sopra che somiglia a un dipinto impressionista e invece è soltanto una mia foto.
Siracusa è le sue acque, Siracusa è il suo cielo. Lo stesso cielo contemplato dagli occhi di Platone. Anche per questo è un luogo sacro.

Dispositivi teoretici

Recensione a:
Stanley RosenLa questione dell’essere. Un capovolgimento di Heidegger
(The Question of Being. A Reversal of Heidegger, 2002)
Traduzione di Guido Frilli
Edizioni ETS, 2017
Pagine 306
in Discipline Filosofiche, luglio 2019

Il dispositivo teoretico dell’heideggerismo produce di continuo critiche, riprese, abbandoni. L’ambizione di Stanley Rosen di capovolgere tale dispositivo contiene in sé tutti questi elementi. Rosen conduce infatti una severa analisi della tesi heideggeriana che interpreta la filosofia di Nietzsche come platonismo capovolto e dunque in ogni caso come platonismo, nel noto significato per il quale, nello sviluppo da Platone a Nietzsche, la metafisica si orienterebbe in base agli enti, lasciando impensato l’Essere. Per Heidegger il Wille di Nietzsche –la volontà di potenza– capovolge sì l’εἶδος di Platone –la forma– ma ne condivide l’immanenza ontica rispetto alla trascendenza ontologica.
Rosen contesta con molti buoni argomenti questa interpretazione del plesso Nietzsche-Platone, riconoscendo in ogni caso che Heidegger è «talvolta estremamente illuminante». Illuminazione che si esprime, aggiungo, non soltanto nelle «molte cose che si possono imparare» da lui, compreso «come spogliare la filosofia del suo guscio accademico o scolastico e riportarla alla vita», ma anche nell’abilità che il pensiero heideggeriano possiede di capovolgere la stessa intenzione critica di Rosen in una chiara riproposizione, da parte di quest’ultimo, della differenza ontologica.
A Reversal of Heidegger diventa così un capovolgimento delle intenzioni del suo critico. Anche di questo è capace un pensare potente come quello di Martin Heidegger.

Pausania / L’Attica

Vissuto nel II secolo e.v., viaggiatore attento e narratore insieme sobrio e fascinoso, ammiratore del filellenico imperatore Adriano, odiato dai cristiani in quanto «autore particolarmente interessato alla storia dei culti e dei luoghi di culto pagani» (Introduzione a Pausania, Guida della Grecia, Libro I, L’Attica, a cura di Domenico Musti e Luigi Beschi, Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori Editore  2013, p. LXVI; citerò il testo di Pausania indicando il numero dei libro, quello dei paragrafi e il numero di pagina della traduzione italiana), Pausania compose la sua descrizione di Atene e dell’Attica tra il 135 e il 150. I luoghi vengono percorsi quasi palmo a palmo, i monumenti descritti nel loro contesto e nella loro genesi, santuari e templi sono posti al centro della vita, ammirati gli eroi, compianta ma accettata la finitudine degli umani e di ogni cosa, individuati ovunque -davvero ovunque- gli dèi.
Per gli umani, infatti, «non c’è verso di evitare quanto il dio gli ha assegnato in sorte» (5, 35-36, p. 33) e anche «quelli che i Greci chiamano ‘valorosi’ non sono nulla senza la Fortuna», senza τύχη, che è anch’essa una divinità (29, 96-97, p. 163).
Dappertutto gli umani sono immersi nelle passioni della guerra e dell’amore. Tra tutte le vittorie degli Ateniesi, nessuna fu da loro rivendicata come quella di Maratona (14, 47, p. 79), con la quale la Grecità si oppose ai barbari. I quali però tornarono nelle vesti dei Macedoni, per quanto anch’essi Greci. Ostile a Filippo e a suo figlio Alessandro, Pausania sostiene che «il disastro di Cheronea fu all’origine delle sventure di tutti i Greci, soprattutto rese schiavi gli indifferenti e quanti si schierarono dalla parte dei Macedoni» (25, 21-22, p. 131). Ma la guerra in Grecia -e ovunque- è anche un fenomeno interno alle comunità politiche, alle città. Omicidi, complotti, aggressioni costellano la narrazione, come il caso di Efialte (495-461 a.e.v.), democratico radicale e per questo vittima designata dei poteri oligarchici (29, 140, p. 165).
L’altro nome della guerra è l’amore. Gli umani, infatti, «sono soliti incorrere in molte sventure a causa delle passioni d’amore» (10, 25-26, p. 55). Lo conferma la natura cosmica di Afrodite Urania, che in realtà «è la primogenita delle cosiddette Moire» (10, 17-18, p. 99), le divinità implacabili, le potenze prime e ultime che sovrastano il capo di Zeus insieme alle Ore, insieme al Tempo (40, 42-43, p. 215). La potenza di Afrodite si mostra in molte forme, situazioni, eventi, espressioni. C’è un’Afrodite che avvicina -Epistrofia- e c’è un’Afrodite che allontana -Apostrofia- (40, 61, p. 217). C’è Ἔρως e c’è ᾿Αντέρως, il dio vendicatore dell’amore non corrisposto (30, 1, p. 167).

Le Moire, Afrodite, Eros, Anteros, Nemesi, sono implacabili come irremovibile è il grande dio potenza della terra: Dioniso. Un dipinto che si trovava nel più antico santuario del dio ad Atene mostrava «Penteo e Licurgo, che pagano il fio delle offese arrecate a Dioniso; Arianna che dorme; Teseo che salpa e Dioniso che viene a rapire Arianna» (20, 30-33, p. 103).
La divinità pervasiva di questo primo libro della Periegesi è naturalmente la dea eponima, Atena, alla quale è consacrata l’intera città e tutto il suo territorio (26, 52-53, p. 139). Tra la miriade di luoghi, edifici, templi e monumenti illustrati da Pausania, fondamentale per l’identità dell’Europa è uno che si trova «non lontano dall’Academia […] la tomba di Platone, a cui la divinità preannunciò che sarebbe stato il più grande fra i filosofi» (30, 24-25, p. 169).

La peculiarità dello sguardo di Pausania consiste anche nel fatto che qualunque sia lo specifico spazio che descrive, è capace di inserirlo in un tessuto geografico, storico, mitologico di universale significato. Un’intenzione e una vastità della quale lo scrittore è del tutto consapevole: «Intendo toccare in ugual misura tutti gli aspetti del mondo greco» (26, 34, p. 139)
Al di là di Atene, Pausania presenta Capo Sunio, le isole a esso vicine, le altre più lontane -Egina e Salamina-, le montagne della Megaride, la città di Megara, Eleusi e i misteri ai quali egli stesso era iniziato e sui quali è dunque massima la discrezione, altri santuari, villaggi, luoghi dove esiste o è accaduto qualcosa di significativo, tanto più se poco conosciuto rispetto a quanto hanno già narrato Erodoto e Tucidide. Ma un luogo che è e rimane centrale è Maratona. Non soltanto, come accennato, questo fu per Atene e per i Greci l’evento chiave ma «a Maratona è dato di sentire ogni notte nitrire cavalli e uomini combattere» (32, 29-31, p. 175).
Si ricordò di queste parole Foscolo quando scrisse -in alcuni versi assai densi dei Sepolcri– che Atene «sacrò tombe a’ suoi prodi» a Maratona, pianura nella quale «il navigante / che veleggiò quel mar sotto l’Eubea, / vedea per l’ampia oscurità scintille / balenar d’elmi e di cozzanti brandi, / fumar le pire igneo vapor, corrusche / d’armi ferree vedea larve guerriere / cercar la pugna; e all’orror de’ notturni / silenzi si spandea lungo ne’ campi / di falangi un tumulto e un suon di tube / e un incalzar di cavalli accorrenti / scalpitanti su gli elmi a’ moribondi, / e pianto, ed inni, e delle Parche il canto» (vv. 202-214) .
E delle Parche il canto. Infinito, silenzioso, inesorabile. Anche di questo trionfo della Necessità e dei suoi dèi è pervaso il viaggio di Pausania. Ecco perché «qui c’è anche una statua di Afrodite, una di Apollo e una di Pan» (44, 96-97, p. 243). Qui. Ovunque.

Democratici?

Tra i tanti commenti dedicati ai risultati delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, tenutesi lo scorso 26 maggio, ne ho letto uno che mi è parso emblematico. Questo:

 

(Fonte: Twitter)

Il testo è stato scritto da un soggetto che su twitter ha come avatar una foto di Enrico Berlinguer e che in altri interventi accusa l’attuale governo italiano di ‘assassinare la democrazia’. E poi scrive questa frase contro il suffragio universale.
Non si tratta di un caso di confusione ideologica da parte di una singola persona. Affermazioni come queste esprimono con efficacia il fondamento antidemocratico del politicamente corretto e, in generale, di chi oggi si crede di sinistra ma vive in sé impulsi decisamente autoritari. Avevo già letto molte affermazioni di questo tenore -formulate anche da persone che conosco- dopo la vittoria dei sostenitori della Brexit nel Regno Unito. Si tratta, lo sappiano o meno, di posizioni vicine a quelle sostenute dal lussemburghese Jean-Claude Juncker -Presidente della Commissione Europea- quando con esemplare chiarezza afferma che «il ne peut pas y avoir de choix démocratique contre les traités européens», ‘non può esserci scelta democratica contro i trattati europei’ (Fonte: Europe : une élection contre la démocratie, di Adlene Mohammedi, «Philitt», 26 maggio 2019).
Negli anni Dieci del XXI secolo semplici cittadini e potenti burocrati europeisti invocano dunque la fine o la neutralizzazione di una conquista di civiltà politica come il diritto di voto garantito a tutti i cittadini. E questo perché i risultati del voto non sono a loro graditi. Sta qui uno dei nuclei di ogni politica autoritaria, classista, tecnocratica. Elementi, questi, che pervadono in modo ormai patologico i sostenitori di una ‘sinistra’ che apprezza la democrazia soltanto quando le elezioni vengono vinte dai suoi esponenti e la rifiuta quando a prevalere sono altri.
Potrei tuttavia essere in fondo d’accordo con l’autore di quel tweet. Con qualche integrazione però: «Vuoi votare? Sostieni un esame nel quale dimostri di aver letto e compreso la Repubblica di Platone, Il Principe di Machiavelli, Il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno. Soltanto sulla base (almeno) di questi testi puoi infatti davvero intendere la politica». Siamo d’accordo, amici democratici che disprezzate il suffragio universale allorché i vostri ‘valori’ non prevalgono?

O amato Pan

Sulle rive dell’Ilisso, sotto un platano frondoso, il dialogo tra Socrate e Fedro ha una densità e un equilibrio profondi. Iniziano con il leggere un discorso di Lisia, nel quale l’autore intende mostrare che è assai meglio per l’amato unirsi a chi non è innamorato piuttosto che all’innamorato. Anche Socrate sostiene in un primo tempo una tesi analoga per poi però attuare una palinodia nella quale Eros si mostra come la divinità che stimolando alla bellezza conduce la ψυχή al vero e al bene. Nasce qui la complessa metafora del carro alato con i due cavalli e l’auriga.
Il contrasto tra il discorso di Lisia, il primo discorso di Socrate e la successiva palinodia serve a incentrare il dialogo sulla retorica. Ancora una volta la contrapposizione di Platone ai Sofisti è netta, anche se nella efficace esposizione di due opposte argomentazioni il filosofo rivela anch’egli la sua capacità di rendere persuasivo qualunque discorso.
Nella parte conclusiva Platone parla dei limiti della scrittura. Simile ai personaggi dei dipinti, lo scritto tace; se interrogato, risponde sempre allo stesso modo; arriva nelle mani di chiunque, anche di chi non ha gli strumenti per comprenderlo; ha bisogno, per difendersi, dell’aiuto dell’autore. L’effetto dello scrivere non sarà quindi la sapienza ma una sua parvenza. E tuttavia criticare per iscritto la scrittura non costituisce anche un gioco? Il platonismo è certamente un labirinto più intricato e una vertigine più profonda di quanto di solito si pensi.
Il punto centrale che il dialogo intende svolgere sembra l’identificazione tra retorica (tecnica del dire) e dialettica (tecnica del pensare), la conformità tra il discorso e l’indagine metafisica: «τοῦ δὲ λέγειν ἔτυμος τέχνη ἄνευ τοῦ ἀληθείας ἧφθαι οὔτ᾽ἔστιν οὔτε μή ποτε ὕστερον γένηται (un’efficace tecnica del discorso che non si immerga nella verità non esiste e non esisterà mai)» (Fedro, 260 e). Non il sofista, quindi, ma il filosofo è il vero retore. In lui pensiero e parola convergono a rappresentare l’unione tra il Bello, il Vero, e l’ἀγαθός, fondamento della filosofia come dominio di sé, equilibrio, serenità e misura. La filosofia non esclude, anzi implica, la presenza e il potere di una segreta «μανίας, θείᾳμέντοι δόσει διδομένης (follia, se e quando sono gli dèi a donarcela)» (244 a). I diversi modi nei quali la follia si mostra in ciascuno esprimono anche la gerarchia tra le menti. Al livello più basso c’è l’«ἐπιθυμία ἡδονῶν (un innato desiderio di piaceri)» (237 d). Mano a mano che si sale prevale invece la volontà di conoscenza, l’esistenza come ricerca del sapere.
La legge di Aδράστεια -l’Inevitabile- determina i diversi piani che dall’infimo gradino del tiranno ossessionato dal potere pervengono invece a chi ama bellezza e conoscenza, passando attraverso i gradi del sofista, artigiano, artista, indovino, ginnasta, esperto di economia, governante rispettoso della legge (248 e). Pertanto, «se prevalgono le parti migliori della mente (τῆς διανοίας ἀγαγόντα) e conducono a una vita equilibrata e alla filosofia, costoro vivranno qui un’esistenza felice e in armonia, poiché possiedono se stessi, avendo sottomesso ciò da cui deriva nella ψυχή il male e liberato ciò da cui deriva invece l’ἀρετή, l’equilibrio con la propria natura» (256 a-b). Gli altri sono preda, in diversa misura, dell’eccesso, della ὕβϱις, del male.
La preghiera a Pan, con la quale il dialogo si chiude, esprime bene la sua intera tonalità e intenzione: «ὦ φίλε Πάν τε καὶ ἄλλοι ὅσοι τῇδε θεοί, δοίητέ μοι καλῷ γενέσθαι τἄνδοθεν: ἔξωθενδὲ ὅσα ἔχω, τοῖς ἐντὸς εἶναί μοι φίλια. πλούσιον δὲ νομίζοιμι τὸν σοφόν: τὸ δὲ χρυσοῦ πλῆθος εἴη μοιὅσον μήτε φέρειν μήτε ἄγειν δύναιτο ἄλλος ἢ ὁ σώφρων (O amato Pan, e tutti gli dèi che siete in questo luogo, fatemi il dono di diventare bello dentro me stesso e che tutto ciò che possiedo al di fuori sia in armonia con quanto è dentro me. Che consideri davvero ricco il filosofo e avere tanta ricchezza quanto soltanto chi è saggio possa portare con sé)» (279 b-c).
Il Fedro parla della Bellezza e dell’Eros -come il Simposio-, dell’immortalità della ψυχή-come il Fedone, della giustizia e del potere, come Repubblica e Leggi. Si colloca dunque al cuore della metafisica.

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