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Artemisia, la carne

Artemisia Gentileschi. Storia di una passione
Palazzo Reale – Milano
Sino al 29 gennaio 2012

Muse e ninfe maliziose e seducenti; monache orgogliose e temibili; dame altere e potenti; antiche regine -Cleopatra- e peccatrici -Maddalena-; allegorie della pittura, della musica, della pace, della retorica, della fama; Betsabee al bagno; guerriere bibliche, tra le quali domina Giuditta che con meticolosa calma trancia la testa a Oloferne, alla quale si aggiungono Giaele che conficca con un martello un chiodo nella tempia di Sisara e Dalila che toglie ogni forza a Sansone. La più straordinaria tra queste donne è forse una samaritana dalla posa e dallo sguardo assolutamente scettici che discute con un Gesù chiaramente in difficoltà. Ma sono tutti i maschi a subire inganno e vendetta nei dipinti di Artemisia Gentileschi.
Che cosa rovina questi uomini? L’eros? L’intelligenza? La menzogna? Certamente la corporeità, che dalle opere di Artemisia tracima col suo splendore e con la sua potenza. L’Allegoria della pittura è una coscia femminile che riempie il quadro e che si allarga a un corpo adagiato, lucido, sognante.
L’allestimento di Emma Dante regala ulteriore fascino a questa “pittora” ammirata nelle corti di tutta Italia e che a Napoli trovò forse il luogo più congeniale alla sua passione, oltre che la morte. Tra fulgenti lapislazzuli, fiotti di sangue e caravaggesche lame di luce, è la carne che trionfa in Artemisia.

Cézanne

Cézanne.
Les ateliers du Midi

Milano – Palazzo Reale
A cura di Rudy Chiappini
Sino al 26 febbraio 2012

Le forme presenti in natura sono per Cézanne tre: la sfera, il cilindro e il cono. Immergere la mente nel mondo, negli alberi, tra le montagne, i manufatti umani, le case, gli oggetti significa per lui cogliere tali forme in ogni sensazione, fluire e luminosità. E riprodurle sulla tela. Percezioni, sensazioni e ragionamenti si coniugano così nella mente dell’artista e si esprimono nella sua opera. Rimasto quasi sempre in Provenza, nella bellissima Aix in cui era nato, Cézanne avrebbe potuto in realtà dipingere dappertutto, poiché le forme sono ovunque costanti. Ma in quella periferia della Francia quest’uomo rude e tenace inventò in qualche modo l’arte del XX secolo.
La mostra milanese ricostruisce lo studio, les ateliers, di Cézanne attraverso delle grandi fotografie e dei video che occupano intere pareti. Le opere non sono numerose e sono tra le più conosciute. Una rassegna ben allestita ma che non dice molto di più di quanto sull’artista già non si sapesse.

 

Arcimboldo

Palazzo Reale – Milano
A cura di Sylvia Ferino-Pagden
Sino al 22 maggio 2011

Nei modi suoi propri -e quindi palesi, visibili, materici- l’arte figurativa è sempre stata compagna delle grandi narrazioni filosofiche, religiose, scientifiche. C’è un artista che di sé e della propria opera ha fatto un’espressione tra le più riuscite e originali di questo incrocio di forme estetiche e concettuali: Arcimboldo.

La recensione continua su Vita pensata 11 – Maggio 2011

Accardi e altre lievità

Carla Accardi. Segno e trasparenza

Segni come sogni. Licini, Melotti e Novelli fra astrazione e poesia

Catania – Fondazione Puglisi Cosentino, Palazzo Valle
Sino al 12 giugno 2011

Le opere esposte alla Fondazione Puglisi Cosentino percorrono l’intero itinerario di Carla Accardi dagli anni Cinquanta al presente. Una grande installazione nel cortile di Palazzo Valle –Vie alternative, 2010- accoglie il visitatore col suo bianco e nero elegante e giocoso. «Dare vita a un’immagine astratta, oggettiva, primaria e libera» è l’obiettivo che Accardi raggiunge attraverso segni cromatici che sono un’esplosione di colori, che formano una disordinata armonia poiché, scrive, «in natura non esiste solo un ordine geometrico e al di fuori di esso un disordine casuale, ma piuttosto un ordine casuale». Non soltanto di ossimori si tratta ma della complessità inclassificabile della vita che uomini, natura, cose condividono nel fluire del tempo. Perché l’arte di Accardi ha la particolarità di sembrare e di essere viva, come un animale che muta e cresce al variare dello spazio e dei momenti. Una caratteristica, questa, che è data anche dal materiale usato per molti anni, il sicofoil, un acetato di cellulosa che è simile al vetro e che reagisce alle variazioni ambientali. I colori, soprattutto i colori, restituiscono la potenza delle forme. Ma anche i colori sono un mezzo perché, afferma Accardi, «più che i colori, io amo da sempre gli accostamenti e l’emanazione di luce che ne deriva». Per questa artista il colore più bello è un «verde fluorescente sul trasparente». Alcune opere recenti segnano il trionfo della potenza coloristica: Immediatamente rosso, Verde e cobalto, Curve verdi su nero (tutte del 2008), Grigio azzurro abbaglio (2010), nelle quali il vinilico su tela crea il gaudio dei colori, della luce, del gioco che l’arte è.
La seconda mostra ospitata a Palazzo Valle è fatta anch’essa di lievità, di aria, di geometrie, di creazione con pochi semplici strumenti di spazi ritmati, esattamente come fa Accardi. In particolare, Fausto Melotti costruisce con l’ottone dei paesaggi, dei percorsi, dei totem che sono insieme arcaici e postmoderni.

[Una recensione più ampia è apparsa sul numero di giugno 2011 di Vita pensata.
A Carla Accardi sono dedicate le immagini del numero di marzo 2011 di Alfabeta2]

Dalì

Salvador Dalì. Il sogno si avvicina
Milano – Palazzo Reale
A cura di Vincenzo Trione, con la collaborazione della Fondazione Gala Salvador Dalì
Sino al 30 gennaio 2011

Dalì ha dato forma al diventar sogno del mondo. Uno dei suoi scopi è di «contribuire all’assoluto discredito del mondo reale» dipingendo con esattezza i pensieri, le euforie, i ritmi, la morte. Dipingendo il tempo, coi suoi orologi liquidi, deformi, -quelli che compaiono in Il giardino delle ore, (1981) o ne Alla ricerca della quarta dimensione (1979)- che segnano l’immobilità dello spazio, l’eternità della morte. La metafisica di Dalì è seria sino alla tragedia e ironica come in un gioco. Il luogo più desolato è in ogni caso la storia. Sui suoi eventi Dalì getta uno sguardo simile a quello di Goya mostrandone l’immensa stoltezza e crescendo di pietà all’avanzare del macello. Un’opera come Volto della guerra (1940-41) è l’emblema più terrificante e autentico di ciò che in quegli anni stava accadendo, della pulsione di morte e d’orrore che spinge la specie e i suoi giorni, che fa degli stati e del potere la grande falce che tutto trasforma in teschio. La via d’uscita dal calore dissolvente della storia è la freddezza del mito. «Se i classici sono freddi è perché la loro fiamma è eterna», scrisse Dalì, dando a questa verità la forma splendente e magnifica di quadri come  Apparizione dell’Afrodite di Cnido (1981), Grande testa di dio greco, (1946), Torso-edificio su scacchiera (1946) e molti altri tra i suoi più belli, evocativi, fuori dalla prigionia del male. Su tutto dominano il divertimento, l’inventiva e l’invenzione, il sogno e la sua geometria.

[ Una più ampia recensione di questa mostra si può leggere su Vita pensata 7 – gennaio 2011 ]

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