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Un'immobilità senza requie

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Il ritorno a casa
(The Homecoming, 1964)
di Harold Pinter
Traduzione di Alessandra Serra
Con: Paolo Graziosi, Alessandro Averone, Elia Schilton, Rosario Lisma, Andrea Nicolini, Arianna Scommegna
Regia di Peter Stein
Sino all’1 dicembre 2013

Il vecchio Max vive in un sobborgo di Londra con i suoi due figli, uno aspirante pugile e l’altro magnaccia, e con il fratello, che fa lo chauffeur. I rapporti tra di loro sono sprezzanti, rancorosi, verbalmente violenti. Una notte torna dopo sei anni dagli Stati Uniti il figlio maggiore, professore di filosofia, con la moglie. Al mattino si scatena la misoginia di questi soggetti dalle vite piatte e senza luce. Ruth sembra la vittima, consenziente ma anche in grado di capovolgere la situazione a proprio vantaggio.
Ancora la famiglia, la sua perversione. Ma l’elemento decisivo è un altro. È una scrittura drammaturgica capace di dire tutto sin dalle prime battute e insieme di svolgere nel tempo il viluppo iniziale di solitudine e di ferocia. I personaggi rimangono sempre gli stessi, nell’immobilità delle loro nature e della loro storia, e però scopriamo sempre qualcosa di nuovo. Personaggi monocordi e schizofrenici, convenzionali e volgari, indifferenti a tutto ciò che non siano i propri bisogni. Nel teatro di Pinter emerge la particolarissima animalità dell’umano. Noi, infatti, non potremo mai possedere l’innocenza degli altri animali, il loro essere d’emblée al di là del bene e del male. Possiamo, invece, situarci al di là del bene e del male, nella sfera dell’oggettività filosofica o in quella del sadismo e del cinismo esclusivamente umani.
Si fa fatica a capire che cosa il pubblico mediamente borghese possa applaudire di una commedia così immorale, che per quasi tre ore conduce lo spettatore dentro i meandri della degradazione. L’abitudine, forse, le convenzioni teatrali. E certamente l’apprezzamento verso una regia capace di porsi al servizio di un’immobilità senza requie.

 

Il calapranzi

(The Dumb Waiter)
di Harold Pinter
Teatro Franco Parenti – Milano
traduzione di Alessandra Serra
interpretazione e regia di Lorenzo Costa e Ivana Monti
produzione Teatro Garage di Genova
Sino al 1 novembre 2009

calapranzi

In una camera d’albergo-ristorante d’infimo ordine Gus e Ben aspettano istruzioni da Wilson sulla loro prossima vittima. Killer professionisti, il giovane Gus ha commesso però un errore nell’ultimo lavoro e l’inquietudine lo attanaglia sempre più. Dai piani superiori del palazzo arrivano richieste di cibo espresse con un linguaggio-codice che diventa sempre più chiaro sino al finale sospeso in un istante nel quale tutto può accadere.

Materassi e lenzuola dei letti che arredano la camera sono nerissimi, catafalchi nei quali i due aspettano la morte. Il Gus di Ivana Monti è diventato dunque una donna, a esprimere la complessità, l’inquietudine, l’emotività del personaggio rispetto all’impassibile e professionale Ben. Pinter ha la capacità di porre di fronte all’assoluto con mezzi lessicali di apparente poverissima banalità. I due personaggi non esprimono un solo concetto ma dal tessuto del loro parlare di fiammiferi, di tazze da the, di salatini, di squadre di calcio, emerge per intero la prigione sociale e metafisica degli umani. Lorenzo Costa e Ivana Monti dialogano col pubblico alla fine della rappresentazione, con un gesto insolito e utile a comprendere scelte registiche e chiave di lettura del testo.

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