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Il proprio stesso significare

Les Citoyens
Uno sguardo di Guillermo Kuitca sulla collezione della Fondation Cartier pour l’art contemporain
Palazzo della Triennale  – Milano
Sino al 12 settembre 2021

Una scelta, operata da Guillermo Kuitca, di luoghi, immagini, video, musica, installazioni, affreschi rupestri contemporanei; materiali di varia natura e fattura, tra i quali molte ceramiche e tanto legno. La reinvenzione degli strumenti dell’abitare (Absalon, Propositions d’habitation, 1990; Thomas Demand, Studio1997); registrazioni/documentazioni di eventi sciamanici (Tony Oursler e Taniki, uno sciamano yanomami 1978-1981); objets détournés, oggetti spogliati della loro funzionalità in un processo di metamorfosi materiche (Richard Artschwager); migliaia di Polaroid scattate in tre giorni, alcune delle quali compongono delle grandi immagini (Daido Moriyama, 1997); un film d’animazione in 3D, raffinato e assai bello, di Moebius: La Planète encore (2010); gli ambienti onirici dei film di David Lynch dentro i quali si entra accompagnati dalla voce di Patti Smith; ancora di Lynch alcuni potenti Nudes [qui sopra nell’immagine di apertura], il corpo femminile decostruito, inquietante, gorgòneo, che sempre scatena il desiderio. E poi case leggere, cornici seriali con dentro il nero, onde di grigi sulla superficie della tela, cieli stellati.
Soltanto i grandi spazi del Palazzo della Triennale possono consentire una simile mostra. La quale dà ragione a un’affermazione di Gianni Vattimo: «Gli artisti […] non producono più, o producono sempre meno, oggetti belli che si possa desiderare di comprare, possedere, collezionare […] Si orientano sempre di più verso la produzione di ‘eventi’ – momenti di esperienza collettiva che sappiano coagulare emozioni condivise» (Introduzione all’estetica, a cura di L. Amoroso, ETS 2010, p. 86).
In questo modo ciò che chiamiamo arte viene disseminato nell’intero, nell’evento-mondo. L’arte come performance, l’arte come spettacolo, l’arte come ‘qualsiasi cosa è arte’ si possono intendere a fondo se comprendiamo che il contemporaneo è fatto di impermanenza, di dissonanza, di radicale temporalità.
A questo esito si è giunti anche attraverso lo snodo fondamentale rappresentato dal formalismo. Al di là, infatti, delle letture sociologiche e psicologiche dell’opera d’arte, la pratica artistica contemporanea pensa -in modo più o meno radicale ma pervasivo- all’opera come pura forma che si fa poesia; nell’opera d’arte i significanti non rinviano a un qualche significato ma soltanto a se stessi. Ha poco senso chiedersi ‘che cosa significa’ un’opera perché l’opera -qualunque forma assuma- significa semplicemente se stessa. L’opera d’arte non significa quindi nulla al di là del proprio stesso significare.
Giovanni Gentile ha ben argomentato l’«assoluto formalismo» dell’arte (Filosofia dell’arte, in L’attualismo, Bompiani 2014, p. 1055). Si tratta di una posizione vicina a quella di Giuseppe Frazzetto, per il quale dal Neoclassicismo in avanti l’arte si è trasformata da poíesis, «l’agire che ha fuori di sé il proprio scopo», in una pràxis che ha «il proprio fine in se stessa» (Artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione, Fausto Lupetti Editore 2017, p. 43). L’arte diventa il luogo, l’esperienza, la dinamica che supera il dualismo di soggetto e oggetto, di pensiero e mondo, immergendo il pensiero nel mondo e facendo scaturire il mondo dal pensiero. L’arte tende a coincidere con la vita, con il gioco gratuito delle forme.
Senza comunque dimenticare, di fronte alle modalità e agli esiti a volte artificiosi delle opere esposte alla Triennale, la cruda confessione di Pablo Picasso, il quale nel 1951 a un giornalista italiano che lo intervistava così rispose: «Grandi pittori sono stati Giotto, Tiziano, Rembrandt e Goya: io sono soltanto un tipo che diverte il pubblico, che ha capito il proprio tempo e ha sfruttato come meglio ha potuto l’imbecillità, la vanità, la cupidigia dei suoi contemporanei» (in Carlo Sini, Idioma, la cura del discorso, Jaca Book 2021, pp. 117-118).

Semiotica della distanza

Jean-Michel Basquiat
Milano – Museo delle Culture
A cura di Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio
Sino al 26 febbraio 2017

Un’energia senza riposo, una creatività rabbiosa e senza requie. Archetipi, paure, sogni, diventano forme solo apparentemente semplici e immediate, immerse invece nella conoscenza della storia dell’arte e costruite con un sicuro dominio della tecnica. «Non so come descrivere la mia arte, non è mai la stessa cosa», disse una volta Basquiat. Ed è vero.
Il corpo, sempre e dappertutto. Con la sua fragilità, la sua decadenza, la sua bruttezza, la sua tenacia. La serie Anatomy disegna con bianca precisione parti dello scheletro umano su uno sfondo nerissimo.
Il potere con le sue corone. Il gioco, come nell’ironica casetta infantile -proprio identica a quella che tutti disegniamo all’asilo- sotto la quale è scritto A house built by Frank Lloyd Wright for his son. O come nella divertita serie di piatti in ceramica dipinti tra il 1983 e il 1984 con nomi di pittori, registi e altri artisti del passato e del presente.
La rabbia ma anche l’ascesi, come nel bellissimo Ciclista del 1984 che sembra assorbire e ricreare una delle possibili maniere di Picasso. In un’intervista Basquiat affermò che Guernica era da bambino il suo quadro preferito; come preferito avrebbe potuto essere Bacon.
I quadri di Basquiat sono impastati dei colori più accesi e dei più scuri: nero, giallo, rosso, bianco, verde, marrone. E su tutto domina il segno. In queste opere, infatti, i segni grafici sono scrittura e la scrittura diventa un segno grafico; «uso le parole come fossero pennellate».
L’opera di Basquiat è una semiotica della distanza, semiotica di una controllata e consapevole ribellione alla vita, assai più che alla società, ai cui riti e regole l’artista infine cedette insieme al campione della società dello spettacolo: Andy Warhol.
Nelle teste e nei ritratti appare chiaro che uno dei  segreti di quest’arte è la sua classicità.

Picasso / Segni

Picasso e le sue passioni
Castello Ursino – Catania
A cura di Stefano Cecchetto e Dolores Durán Úcar
Sino al 28 giugno 2015

Duecento opere di Picasso. Soprattutto incisioni. Varie ceramiche -vasi e piatti- e alcuni oli. Tutte opere che si dipanano in mezzo ai segni greco-romani e medioevali del magnifico Castello voluto a Catania da Federico II.
picasso_baccanale_1955Tra questi antichi spazi emergono le tauromachie, dove la crudele e inaccettabile morte del toro si trasforma anch’essa in segno. Nel semplice e bellissimo Baccanale del 1955 vi è il segno mediterraneo: il mare, il verde, le colonne, il canto, la luce. I Vingt poèmes de Gongora sono il segno poetico. I segni delle ceramiche dipinte trasformano questi oggetti in enti semantici e non soltanto d’uso. Il più suggestivo è una brocca con fondo nero sul quale si staglia un Picador. picasso_picador_1952Il segno geometrico vive nella serie dedicata alla Carmen, incisioni senza sangue, senza passioni, senza amore, senza dolore, pura forma. Il segno figurativo è in cinque incisioni a colori di impianto neoclassico, tra realismo magico e puntillismo. Il segno politico domina nella Figura di donna ispirata alla Guerra di Spagna, non presente in mostra ma visibile in una installazione che ne spiega la forte valenza antifranchista, con questa «dama dal culo cristiano che getta delle monete ai soldati mori difenpicasso_Figura de mujer inspirada en la guerrasori della vergine». La mostruosità della figura umanoanimale -simbolo della nobiltà spagnola di fede cattolica che esulta per la vittoria del dittatore- è il segno atroce del potere.
Il segno, infine, della scrittura nella quale Picasso disse che «no, la pittura non è stata inventata per decorare appartamenti. Essa è un’arma di offesa e di difesa dal nemico».

La pittura

Picasso. Capolavori dal Museo Nazionale Picasso di Parigi
Palazzo Reale – Milano
A cura di Anna Baldassari
Sino al 27 gennaio 2013

Quasi un intero secolo (1881-1973) attraversato e vissuto nell’inventare forme, stili, colori, drammi e sogni. Ventenne, Pablo Picasso (il cui nome completo è un fluviale Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz Picasso) visita Parigi e scopre l’arte del secolo appena cominciato. Scopre se stesso. A formarlo sono Impressionismo, Espressionismo, Gauguin ma anche El Greco e soprattutto l’arte tribale africana e oceanica. È così che inizia una concezione panica e panteistica dell’essere, dell’umano e dell’arte. Concezione che Picasso conservò sempre ed è già assai chiara in un Paesaggio con due figure (1908) nel quale gli umani sono del tutto immersi nella physis vegetale, in una serena e potente unione con le forze ctonie del mondo [cliccando sull’immagine si noteranno meglio le due figure].
Ma per Picasso tutto -natura, umanità, oggetti, storia- è pronto a farsi tratto, colore, segno. Una volta disse che «la natura non si può tradurre in pittura se non attraverso dei segni». L’arte contemporanea è caratterizzata anche dalla capacità di trasformare in segno qualunque cosa sia a portata di mano. Manubrio e sellino di una bici diventano, per esempio, una magnifica Testa di toro (1942).

La pittura di Picasso si fa spesso scultura, come in Michelangelo, e le sculture assumono la lievità di un dipinto. Dopo i colori vivacissimi degli anni Sessanta, uno degli ultimi dipinti è il grigionero di Le jeune peintre (1972). Questo giovane artista è in realtà uno spettro, è la morte/pittura che viene a prenderlo.
Dopo la leggendaria mostra del 1953, l’artista andaluso è tornato a Milano con circa 250 opere del Musée National Picasso di Parigi. Stavolta non c’è Guernica, che comunque viene proiettata e indagata nella stessa Sala delle Cariatidi che la ospitò sessant’anni fa. Il percorso della mostra è lineare e arioso; ogni sala è presentata in modo discreto, con i suggerimenti essenziali per comprendere le opere esposte.
Attraversando cubismo, classicismo, surrealismo e tutti gli altri momenti poco classificabili di questo artista senza dogmi, se dovessimo chiedere “Qual è lo stile di Picasso?” la risposta sarebbe “Nessuno”. Lo stile di Picasso è la pittura.

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