Venerdì 23 giugno 2023 alle 18.00 alla Libreria Feltrinelli di Catania dialogherò con Lina Gandolfo, autrice del romanzo Con i miei occhi (euno edizioni, 2022). Un testo dalla tonalità verista nel pieno del XXI secolo. Un verismo autentico sino al dolore e intramato però della dimensione onirica e folle della grande letteratura del Novecento.
Per scrivere un romanzo come questo è stato necessario avere per decenni osservato, pensato e accolto la disperazione della vita. Della quale l’arsura delle terre della Piana di Catania – di Mineo, di Grammichele, di Scordia – è geografica sineddoche. E bisogna avere avuto il coraggio di confrontarsi senza infingimenti con l’iniquità.
[Foto-riproduzione della p. 30 de Il Museo Archeologico di Lentini, a cura di Maria Musumeci, Emanuele Romeo Editore, Siracusa 2004]
Così Polibio descrive Λεοντῖνοι, posta nella Piana di Catania ma già sulle propaggini e alture degli Iblei. Città dal destino oscillante tra prosperità e miseria, tra forza politica e sottomissione, tanto che – dopo le glorie elleniche – Cicerone «narra come ai tempi di Verre la città fosse ormai diventata un povero borgo e le sue terre venissero coltivate dai Centuripini» (Ivi, p. 28). E oggi infatti Lentini si frammenta tra la ricchezza del Parco Archeologico a ridosso della città – con le sue mura potenti, con i santuari pagani, le necropoli e le chiese cristiane – e un tessuto urbano in buona parte degradato; tra i palazzi religiosi e civili di Piazza Duomo e Piazza Umberto I (un unico spazio diviso da una strada) e viali, vicoli e stradone caratterizzate da un malinconico anonimato.
Su una delle alture della città si trova il Museo Archeologico, da poco restaurato e i cui tesori sono stati riallestiti ponendoli in un contesto che ne fa comprendere genesi e significato. Si trova un po’ di tutto in questo Museo, si trovano testimonianze che vanno dalla Preistoria al XVI secolo, con al centro alcuni magnifici vasi, diverse collezioni private, assai belle terrecotte architettoniche.
Il frammento di vaso che si vede in apertura descrive Atena che esce adulta dalla testa del padre, come la filosofia è nata adulta con le parole di Anassimandro. Parole che ho avuto modo di ricordare durante un intervento dedicato a Eracle, il cui mito è stato analizzato nella varietà dei suoi significati dal fecondo convegno che MitoMania ha organizzato a Lentini agli inizi di giugno 2022.
Dai suoi angoli, dalle viuzze strette e lunghe, impastate di argilla e pietra lavica, si vede in basso Scordia, e più in là il Biviere di Lentini, quello la cui descrizione così comincia: «Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte…». E si vede poi l’elevarsi trapezoidale del vulcano e dappertutto la Piana. Si sente il vento tra rientranze sulle quali si alzano balconi spesso orribili e invece altre volte sorridenti del Barocco. E più sopra ancora il cielo turchese della Sicilia dentro la tramontana.
Il Militum tellus, forse il luogo dei soldati romani di ritorno dall’assedio a Siracusa, fu reso dai Barresi prima e dai Branciforti dopo uno spazio intriso di potenza architettonica. Con la miriade come sempre di chiese e con al centro l’abbazia di San Benedetto, esemplata su quella magnifica di Catania. Seppur in scala assai minore, sono infatti identici i corridoi, le porte delle celle, le volte, il perimetro, il respiro e lo spazio.
Dovrebbe, questo luogo da poco restaurato e ufficialmente Municipio, diventare sede gli uffici comunali -per ora è limitato alle riunioni del Consiglio e ai matrimoni-, liberandoli da un orrendo edificio anni Settanta che si trova vicino alla fontana della Ninfa Zizza (immagine di apertura) e al poco che rimane del Castello.
Intanto, nell’estate del 2021, il Monastero ospita una mostra dedicata al cantastorie Franco Trincale, originario di Militello e che vidi più volte cantare per le strade e le piazze di Milano, sino a quando un’ordinanza del 2002 glielo proibì. Trincale infatti cantava storie non soltanto di cronaca e di paladini ma anche di stragi, di Andreotti e Berlusconi, della mala amministrazione di Milano e dell’Italia. L’autorità ha temuto anche un ultimo cantastorie, cancellando questa testimonianza antropologica così profondamente mediterranea. Nei corridoi del Municipio/Monastero della sua città, Trincale ha trovato invece celebrazione, documentazione, spazio. Devo la conoscenza di questa mostra alla Signora Marinella Ardizzone, impiegata del Comune, la quale con profondo senso dell’ospitalità e gentilezza ci ha fatto visitare l’abbazia e che mi fa piacere qui ringraziare.
Uscendo dal Municipio, la via centrale del paese è contornata delle maggiori chiese, in particolare la matrice dedicata a San Nicolò e al Salvatore e il Santuario di Santa Maria della Stella. Le chiese sono state costruite o restaurare dopo il terremoto del 1693 che ha del tutto trasformato le città orientali di Sicilia. Suggestiva la piccola chiesa di Sant’Antonio da Padova mentre ho potuto ammirare soltanto dall’alto il plesso archeologico di Santa Maria della Stella la Vetere, chiuso nelle ore della mia visita.
Sperduti tra le alture, nascosti negli anfratti del tempo e dello spazio, relegati ai margini apparenti della Storia, i luoghi di Sicilia sono un sogno del mito sempre vivo, della luce segreta degli eventi, della morte.
Sono abitate sin dal Paleolitico alcune delle colline che si ergono nella Piana di Catania. Una di queste alture si innalza ben delimitata rispetto alla pianura, con pareti ripide e anche a strapiombo e soprattutto con grotte naturali, una delle quali è molto ampia e fu abitazione di una popolazione di cacciatori e raccoglitori. Ha un nome greco questo spazio, Paliké, dal quale anche il toponimo di Palagonia. Il sito archeologico (gestito dalla Regione) è chiuso per Covid, anche se lo si può gustare lo stesso a distanza nella sua magnificenza. Uno spazio apertissimo, nell’aria e nella luce, ma il virus ha tra i suoi effetti alcune malattie che si chiamano irresponsabilità, pigrizia, cinismo. E che portano all’impoverimento dei territori.
In questo caso del territorio di Mineo, un antico borgo su una altura della Piana. Grandi chiese in arenaria, con facciate concave e barocche: Collegiata di San Pietro. Erette sopra un antico tempio politeista dedicato al Sole: Collegiata di Santa Maria Maggiore. Illustrate da trionfi di stucchi e affreschi settecenteschi: Collegiata di Santa Agrippina, che di Mineo è la patrona e alla quale sono dedicati appunto gli affreschi sul soffitto, una statua in legno policromo del Cinquecento, un ricco fercolo d’argento.
A Mineo sono nati gli scrittori Giuseppe Bonaviri e Luigi Capuana, esponente quest’ultimo non soltanto del Verismo ma anche della classe di proprietari terrieri ai quali la città deve la presenza di imponenti palazzi, alcuni dei quali però in rovina. La casa di Capuana dicono essere magnifica. Dicono perché il sabato (giorno nel quale ho visitato Mineo) e la domenica è chiusa. Imperdonabile sciatteria, che spero venga sanata. Così come il cancello sprangato con lucchetto del Castello Ducezio. Non si possono tenere aperti i luoghi che fanno l’identità di una città dal lunedì al venerdì (a volte al mattino, altre di pomeriggio) come se si trattasse di uffici dell’anagrafe.
Dall’esterno si osserva in ogni caso l’imponenza del Palazzo di Capuana, così come di Palazzo Tamburino e Palazzo Ballarò. L’ex Collegio dei Gesuiti è invece sede del Municipio e ha un cortile sul quale sporge un loggiato seicentesco, al cui centro domina un antico albero.
La struttura medioevale del borgo è una casba simile a numerose altre di Sicilia, dalla cui saggia ombra si aprono lame di luce sulla pianura, sul cielo, sulle colline.
Nel viaggiare per i borghi di Sicilia mi accade a volte di incontrare degli studenti di Unict che frequentarono uno o più dei miei corsi, che fecero esami e che mi riconoscono. A Mineo è accaduto con il Dott. Antonio Gambuzza, che si è prodigato a illustrare a me e a chi mi accompagnava le ricchezze del luogo, con una passione per la propria città e una generosità delle quali lo ringrazio pubblicamente con gioia. La gioia di chi condivide la ricchezza antropica, ambientale e urbanistica dell’Isola, della sua luce.