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Merleau-Ponty

Gli interessi etnologici e neuroscientifici di Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) permettono alle sue opere di rimanere uno degli interlocutori privilegiati del dialogo tra le scienze del cervello e le teorie filosofiche sulla mente. Nonostante infatti il distacco –anche assai critico- avvenuto nell’ultima fase nei confronti della fenomenologia husserliana, il pensare di Merleau-Ponty è profondamente permeato dall’approccio fenomenologico.
Nella Phénoménologie de la perception scrisse che«rien n’est plus difficile que de savoir au juste ce que nous voyons»1, poiché il vedere non è una semplice associazione di impulsi nervosi o di dati cromatici ma consiste in una complessa e ogni volta coerente ricostruzione dell’insieme del campo percettivo, a partire dal rapporto dinamico tra la figura e lo sfondo in cui essa viene di volta in volta inserita.
La corporeità si mostra in tal modo come un insieme di strutture materiali e nello stesso tempo come una regione semantica; anche questo fa sì che «la chair dont nous parlons n’est pas la matière. Elle est l’enroulement du visible sur le corps voyant, du tangible sur le corps touchant, qui est attesté notamment quand le corps se voit, se touche en train de voir et de toucher les choses, de sorte que, simultanément, comme tangible il descend parmi elles, comme touchant il les domine toutes et tire de lui-même ce rapport, et même ce double rapport, par déhiscence ou fission de sa masse»2.
La dimensione temporale della corporeità radica il pensiero di Merleau-Ponty nell’ambito della fenomenologia, al quale lo legano inoltre una concezione della filosofia sempre aperta, lontana dallo spirito di sistema e intenzionata a cogliere «l’ambiguité et l’inachèvement» non come concetti accademici e specialistici ma in quanto tessuto stesso della vita degli umani, oggi. Alle loro esigenze non si può rispondere con una semplice «restauration de la raison, au sens où l’on parle de restauration à propos du régime de 1815»3 ma con l’immersione in quel Chaosmos che è il terreno delle Verità e che solo un pensiero nomade può attraversare.
Le opere edite in vita, i due libri postumi, le numerose note dei corsi tenuti al Collège de France, delineano un vero e proprio Éloge de la philosophie -come venne opportunamente intitolata la Lezione inaugurale tenuta da Merleau-Ponty al Collège nel gennaio del 1953- e una «possibilité de la philosophie» che fu il tema dell’ultimo dei corsi da lui svolti.
Il filosofo, disse Merleau-Ponty nella prima occasione, è colui che sa di non saper nulla e che fa di tale ignoranza la propria felicità. Se felicità vuol dire –secondo la formula di Stendhal- «avoir pour métier sa passion». La filosofia fu per Merleau-Ponty una passione mai compiuta, inquieta, felice.

Note

1. Phénoménologie de la perceptionGallimard 1976, p. 91.
2. Le Visible et l’Invisible, Gallimard 1969, p. 189.
3. Causeries, Éd. du Seuil 2002, p. 67.

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