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Amore / Tempo

Una promessa
(Une promesse)
di Patrice Leconte
Francia-Belgio, 2014
Con: Rebecca Hall (Lotte Hoffmeister), Alan Rickman (Karl Hoffmeister), Richard Madden (Friedrich Zeitz), Shannon Tarbet (Anna)
Trailer del film

1912. Un ricco industriale tedesco assume il giovane impiegato Friedrich Zeitz, il quale è cresciuto in un orfanotrofio e si è dedicato allo studio come all’unica sua possibilità di riscatto. Herr Hoffmeister apprezza molto l’intelligenza, l’inventiva, la tenacia di Friedrich, che diventa presto suo segretario personale e uomo di fiducia. Friedrich si trasferisce dalla misera soffitta in cui abita alla ricca dimora del capo, ne conosce la giovane moglie -Lotte- e il figlio, entra nella famiglia e quasi inevitabilmente nel cuore di Lotte. Viene però trasferito in Messico, come responsabile degli investimenti della ditta in quella zona. Friedrich e Lotte si scambiano la promessa di amarsi al suo ritorno, previsto dopo due anni. Ma di anni ne passano assai di più. La Germania perde la guerra, la miseria dilaga, Hoffmeister muore, Lotte è sola e continua a scrivere lettere al suo amato lontano, nonostante le vengano ormai tutte restituite. Una telefonata la risveglia dal suo lutto. Friedrich è tornato. Potrà la promessa resistere al tempo?
Tratto da Reise in die Vergangenheit (Viaggio nel passato) di Stefan Zweig, l’opera appare come un classico film sentimentale -formalmente raffinato e ineccepibile- e tuttavia non è soltanto questo. Le due strutture teoriche sulle quali poggia sono infatti l’assenza e il tempo. Assenza dei genitori di Friedrich, assenza del primo fidanzato di Lotte. Assenza dei corpi. Assenza spaziale di Friedrich.
E soprattutto il tempo. Che stempera ogni passione, sfuma ogni promessa, affievolisce ciò che una volta si presentò come inevitabile e che ora è soltanto una delle molte possibilità. Così l’eleganza degli ambienti trascolora nella modestia della nostalgia e i colori smaglianti si offuscano nel lutto della mente. «Con queste e con certe altre anime chiare / triunfar vidi di colui che pria / veduto avea del mondo triunfare» (Petrarca, Triumphus Pudicitie, 145-147).

Città non umane

Fausta Squatriti
Ascolta il tuo cuore, città
Milano / Assab One
Sino al 2 dicembre 2011

Che cosa più della città è segno evidente della nostra specie? Spazi geometrici, costruzioni verticali, luoghi ben delimitati e differenti. Pietre, legno, cemento, ferro mescolati nell’aria e nella luce. Elementi naturali e artificiali intrecciati tra di loro. Una città è questo. E una città è anche gli umani che la abitano nel tempo. Fausta Squatriti ha ascoltato non il cuore, la volontà, i desideri, le passioni e la morte dei corpimente che le città costruiscono e ospitano ma la materia, la pura materia. Che essa sia organica o inorganica, plasmata dalla storia o accartocciata dai climi, ancora agente o immobilizzata nel guasto, è la materia che vince nelle opere di quest’artista. Materia che si esprime e canta in insiemi composti da fotografie, pastelli, cornici dentro le quali si è per sempre raggrumata una qualche struttura che una volta fu viva o attiva o funzionale e che adesso è soltanto la sua forma.

Si rimane in silenzio di fronte a simile coraggio. Al coraggio di cancellare dalle città gli umani e lasciare che esse diventino la vittoria del tempo. «Principio degli esseri è l’apeiron, la polvere della terra e del tempo, il suo flusso infinito…» afferma Anassimandro (DK, B1). Di questa polvere sono coperte le opere di Squatriti.
«Mais, quand d’un passé ancien rien ne subsiste, après la morte des êtres, après la destruction des choses, seules, plus frêles mais plus vivaces, plus immatérielles, plus persistantes, plus fidèles, l’odeur et la saveur restent encore longtemps…»  (À la recherche du temps perdu, Gallimard 1999, p. 46). Di tale odore a volte acre e altre neutro, di questo sapore di immobilità sono intessute le opere di Squatriti.
«Tutto vince e ritoglie il Tempo avaro / chiamasi Fama, et è morir secondo, / né più che contra ‘l primo è alcun riparo. / Così ’l Tempo triunfa i nomi e ‘l mondo» (Petrarca, Trionfo del tempo, vv. 142-145). Di tanto trionfo le opere di Squatriti sono fatte.

C’è un’opera, una scultura, che sembra distaccarsi da tutto questo. Disco rosso (1964) è una pura rossa semisfera al cui centro un vuoto genera lame, fulmini, coltelli. Strutture rivolte verso il cuore della sfera e verso lo spazio a essa esterno. Vibrano. Sono esse forse l’epifania del tempo, l’immagine più levigata e insieme più ferente dell’energia che il tempo è, il cui flusso produce le città una volta vive, ora vive ancora soltanto di se stesse. È il loro cuore, rosso come questa sfera, che l’artista ha saputo ascoltare.

 

 

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