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Sire

King of the Belgians
(Titolo italiano: Un re allo sbando)
di Peter Brosens, Jessica Woodworth
Belgio, Paesi Bassi, Bulgaria 2016
Con: Peter Van den Begin (Re Nicolas III), Bruno Georis (Ludovic Moreau), Titus De Voogdt (Carlos), Lucie Debay (Louise Vancraeyenest), Pieter van der Houwen (Duncan Lloyd)
Trailer del film

In visita di Stato a Istanbul, re Nicolas III viene informato che il Belgio non esiste più, che la Vallonia «si è stufata» dell’arroganza fiamminga e ha dichiarato la propria indipendenza. Nicolas decide di tornare subito a Bruxelles ma una tempesta solare tiene a terra tutti gli aerei e rende impossibili le comunicazioni telefoniche. Duncan Lloyd, regista inglese che sta girando un film promozionale sul sovrano, propone di aggregarsi a una compagnia di ballerine bulgare e da Sofia attraversare i Balcani per tornare a casa. La piccola compagnia formata dal sovrano, dal suo valletto, dalla segretaria personale, dal capo del protocollo e dal regista si mette in viaggio con i mezzi più improbabili, incontra soggetti piuttosto bizzarri, viene persino imprigionata nelle carceri albanesi, sino a essere di nuovo riconosciuta nella sua regalità.
La trasformazione di un monarca ingessato e timido in un essere umano libero e coraggioso. È quanto accade a Nicolas III attraverso l’incontro con gli altri, la storia, la guerra, il canto, la natura. Mentre si sbriciola il suo potere da marionetta, emerge la sua Cura verso se stesso e quindi verso l’alterità.
Il film è tuttavia artificioso e irrisolto, come artificioso e irrisolto è il Belgio. Sembra fatto degli stessi luoghi comuni che esplicitamente denuncia ma nello stesso tempo ha un fondo di divertita amarezza che va oltre le situazioni da commedia che inanella. Applica a un re le formule con le quali Étienne de La Boétie invita alla libertà i sudditi e i «popoli che si fanno dominare, dato che col solo smettere di servire, sarebbero liberi»; «potete liberarvi senza neanche provare a farlo, ma solo provando a volerlo. Siate risoluti a non servire più ed eccovi liberi» (Discorso sulla servitù volontaria, Chiarelettere, 2011, pp. 10 e 14). Ma la riflessione sul potere, sull’Europa, sull’identità del Belgio, rimane in filigrana dietro la figura di questo sovrano titubante e allampanato. Neppure la trovata tecnica del film, che sembra girato dal regista Duncan Lloyd con un cellulare, risulta alla fine determinante per gli esiti di quest’opera. Siamo molto distanti dalla bellezza e dalla potenza metaforica del precedente film di Brosens e Woodworth, La quinta stagione. Ed è un peccato di lesa maestà.

Terra / Potenze

La quinta stagione
(La cinquième saison)
di Peter Brosens e Jessica Woodworth
Con: Aurélia Poirier (Alice), Django Schrevens (Thomas), Sam Louwych (Pol), Gill Vancompernolle (Octave)
Belgio, Paesi Bassi, Francia, 2012
Trailer del film

La terra non fruttifica più, i semi non maturano, gli alberi non mettono le foglie, le mucche non danno più latte, le api sono scomparse. È un “inverno epocale” che si stende su uomini e cose. In un villaggio delle Ardenne, che prima viveva i suoi tranquilli e sempre eguali ritmi esistenziali, si scatena ora la violenza che cerca un capro espiatorio da sacrificare alle potenze che più non vogliono fecondare il mondo. Un filosofo-apicultore, suo figlio paralizzato, una ragazza non conformista saranno le vittime del gruppo, che si maschera con l’effige dei tribunali dell’Inquisizione.
Parabola sontuosa nelle immagini e gelida nella struttura, La cinquième saison trasmette sino in fondo e sin dall’inizio la nullità delle vite umane di fronte all’enigma della materia e delle sue manifestazioni. Nella prima scena un gallo si rifiuta tenacemente di cantare davanti al suo padrone, nell’ultima alcuni struzzi compaiono a occupare un luogo prima abitato dagli umani. Nel mezzo la follia, i simboli, la ferocia, il sesso, la guerra, il canto, gli uccelli, le acque, i riti, le nuvole che trascorrono minacciose su un cielo sempre uguale, gli alberi che cadono nel pieno dell’estate, la terra liquefatta, sterile, testarda. I dipinti di Brueghel prendono vita. Nella neve e nella folla l’insensatezza diventa bellezza.
Dagli sciamani di Khadak al filosofo europeo di questo film, sembra che per Brosens e Woodworth soltanto i sapienti siano in grado di sentire la Terra e di amarla, questa vera grande madre dalla quale tutti germiniamo. La quinta stagione è quella che non muta più, che più non torna.

 

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