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Il magistero di Mario Dal Pra

È da poco uscito un ampio volume dal titolo Mario Dal Pra nella ‘Scuola’ di Milano: la filosofia nella storia della filosofia e della scienza. La filosofia come riflessione critica sulle varie tradizioni concettuali (a cura di Fabio Minazzi, Mimesis 2018).
Dario Generali, che di Dal Pra è stato allievo, vi ha contribuito con un saggio su Mario Dal Pra: un maestro di rigore scientifico e civile nella Statale degli anni Settanta (pp. 507-515).

È un testo molto bello, che -autorizzato dall’Autore, che ringrazio- metto qui a disposizione di chiunque voglia capire le condizioni e le contraddizioni dell’università italiana, a disposizione in particolare dei miei studenti.
Generali descrive infatti con la consueta lucidità la propria vicenda accademica, il legame con il suo maestro, la figura di Dal Pra come filosofo e cittadino, gli eventi e i contesti nei quali essa ha operato.
È un testo anche drammatico ed emozionante. Drammatico per le pratiche spesso inique che vi emergono, emozionante per il modo sempre intriso di tenacia ed equilibrio esistenziale con il quale Generali ha affrontato gli eventi che narra. Si tratta dunque di una testimonianza culturale, scientifica e civile di grande importanza, nella quale viene descritto con chiarezza il clima che si respirava alla Statale di Milano dopo la scomparsa dei grandi maestri degli anni Settanta.
A riprova di tutto questo segnalo alcuni brani particolarmente significativi.
Il primo si riferisce alla metodologia di ricerca sviluppata da Generali a partire dal lavoro di Dal Pra: «Un modello di storia della scienza attento non più solo alla idee filosofiche della scienza, ma anche ai suoi aspetti operativi, che non venivano più considerati dettagli tecnici ininfluenti, ma aspetti rilevanti per il suo sviluppo al pari di quelli teorici, con la conseguente definizione di un autonomo statuto epistemologico della disciplina, ormai chiaramente distinto rispetto a quello della storia della filosofia, dalla quale pure era partita la rinascita della storiografia della scienza del decennio precedente» (p. 509).
Il secondo è una verità che, dopo molti anni di insegnamento, risulta anche per me evidente: «Ogni docente, dalla scuola primaria all’università, insegna in primo luogo e fondamentalmente se stesso» (p. 513).
Il terzo è espressione della forza con la quale Generali coniuga lavoro filosofico e testimonianza civile: «A questo modo di procedere mi indirizzava però con forza il modello dalpraiano, che avevo sposato senza riserve, di una società governata dalle strutture della razionalità e non dalle forme irrazionali e premoderne di un potere fondato sulle relazioni personali» (p. 514).
Infine, mi ha colpito il riferimento che Generali fa a uno dei più significativi libri di Mario Dal Pra, la «splendida monografia sullo scetticismo greco» (p. 512). E mi ha colpito perché da studente iscritto al primo anno di Filosofia alla Sapienza di Roma seguii un corso di Storia della filosofia antica dedicato proprio allo scetticismo e fu allora che lessi anch’io l’eccellente libro di Dal Pra, che conservo con cura nella mia biblioteca nell’edizione in due volumi della Universale Laterza. Il libro è di 580 pagine ed era uno dei tanti che chi affrontava quell’esame doveva studiare, insieme naturalmente alle fonti dirette del pensiero scettico. È così che si fa filosofia, è così che la si insegna.

L’attrito del negativo

Easy. Un viaggio facile facile
di Andrea Magnani
Italia-Ucraina, 2016
Con: Nicola Nocella (Isidoro), Libero de Rienzo (Filo), Ostap Stupka (Bogdan)
Trailer del film

Essere caduto in depressione, aver perso l’obiettivo della propria vita -le corse professionistiche in automobile- e ritrovarlo guidando un’auto delle pompe funebri dall’Italia all’Ucraina, alla ricerca di un tranquillo e sperduto villaggio tra i Carpazi. L’automobile viene rubata ma Isidoro, detto Easy, non si perde d’animo. Ritrova anzi la propria energia, determinazione, intraprendenza. E arriva a destinazione con i mezzi più diversi: un carrello, un trattore, un cavallo, con la bara sempre al seguito. Il feretro è restituito. Nel mezzo l’avventura dello spazio e degli incontri, che libera una vita rimasta sino ad allora chiusa nel cibo e nell’infanzia.
L’attrito necessario all’esistenza umana è simile a quello indispensabile alle auto -anche le più potenti- per non girare a vuoto nel mulino del tempo. Gli umani hanno sempre bisogno di questo attrito per crescere, per apprendere il travaglio del negativo, il potere plasmatore delle difficoltà.
I tabù, i divieti, i riti di iniziazione che caratterizzano in modo diverso tutte le culture, sono motivati da quest’esigenza primaria: preparare l’individuo alla durezza del vivere. L’educazione consiste prima di tutto in tale compito. Aver rinunciato a esso, nelle indulgenti e asservite società contemporanee, sta creando generazioni di deboli, di piangenti, di falliti, che si arrendono ai primi ostacoli dell’esistere.
Una delle strategie più efficaci del potere consiste infatti nel mantenere le persone in una condizione infantile. I nostri figli sono per lo più viziati, coccolati, trattati da infanti anche quando hanno superato i vent’anni. È facile profezia che mentre da bambini e da studenti accampano diritti e pretese, dopo qualche tempo accetteranno zitti zitti di essere sfruttati da qualcuno -call center o altro- per 300 euro al mese o anche meno. Forse se lo saranno meritati, come la tenacia di Easy merita invece l’accoglienza che un’antica comunità riserva alla morte e alla vita.
Siddhārtha Gautama può diventare il Risvegliato, l’Illuminato -il Buddha- soltanto dopo aver lasciato il luogo irreale nel quale non v’è sofferenza, soltanto dopo aver conosciuto quanto duro l’esistere possa diventare, soltanto dopo aver vissuto l’attrito del negativo. Questo significa crescere e in questo consiste l’educare.

Intelligenza

Filosofia, Intelligenza Artificiale e apprendimento 
in Punti Critici, 9 – marzo 2004
Pagine 57-83

L’editrice Petite Plaisance ha completato la riedizione integrale della rivista Punti Critici.
Nel numero 9 del marzo 2004 uscì un mio saggio dedicato alla questione dell’Intelligenza Artificiale da una prospettiva antropologica e pedagogica, oltre che mentalistica. In esso mi chiedevo: «Se il pensare è una caratteristica specifica della nostra specie, può il pensiero nascere e operare fuori da un legame strettissimo con il corpo? I ‘qualia -le sensazioni che si provano a essere un determinato ente e non un altro -, le esperienze fenomeniche, individuali, qualitative possono essere separate dal legame con l’organico, coi sensi, con il biologico?».
In questo testo, e poi in altri che sono seguiti, ho cercato di rispondere a partire anche da una embodied cognitive science, che «alla interpretazione puramente simbolico-sintattica della mente sostituisce la prospettiva per la quale mente, cervello e mondo sono parti di un’unica struttura».

I precedenti saggi pubblicati su Punti Critici si possono leggere qui:

Educazione e antropologia
in Punti Critici, 2 – settembre-dicembre 1999
Pagine 27-46

Sulla «Grande Riforma» della scuola italiana
in Punti Critici, 5/6 – dicembre 2001
Pagine 163-176

Per una filosofia dell’informazione
in Punti Critici, 8 – ottobre 2003
Pagine 141-146

A colpi di tablet

A colpi di smartphone, figli e genitori persi nel web
il manifesto
9 marzo 2018
pagina 11

Telefoni, tablet, computer sono parenti stretti delle armi. Con gli uni e con le altre si può minacciare, colpire ed essere colpiti, fare molto male. Per vivere e sopravvivere in questa giungla bella e rischiosa non è necessario possedere particolari competenze tecniche ma è indispensabile nutrire la consapevolezza che, insieme a enormi possibilità di conoscenza e di divertimento, la Rete nasconde pericoli assai gravi.

Riforme

L’editrice Petite Plaisance continua la pubblicazione dei numeri della rivista Punti Critici.
Nel numero 5/6 del dicembre 2001 vi apparve un mio saggio dal titolo Sulla «Grande Riforma» della scuola italiana. In esso proseguivo la riflessione iniziata sulla stessa rivista (numero 2 – settembre/dicembre 1999) con un contributo su Educazione e antropologia.
A distanza di diciotto anni da questi due saggi -e da quelli di analogo argomento pubblicati sulla rivista diretta da Dario Generali il Voltaire. Cultura Scuola Società– provo la tristezza di aver compreso che cosa fosse in gioco e di aver previsto con sufficiente esattezza  che cosa sarebbe accaduto alla Scuola e all’Università. Tra l’altro, in questo saggio (alle pp. 168-169) mi esprimevo criticamente sul concetto di flessibilità, che non a caso è stato ripreso ed enfatizzato positivamente dal Presidente della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) durante un recente dialogo che abbiamo avuto nel mio Dipartimento in occasione del IV Colloquio di ricerca.
Posso dire che questi testi rappresentano un’archeologia (nel senso foucaultiano) della catastrofe educativa italiana ed europea.

«Negli scorsi decenni ciò che chiamiamo cultura è stato visto da molti quasi soltanto come uno strumento di potere e di discriminazione. Nella impossibilità di elevare tutti al sapere, quanti hanno aderito a quella concezione hanno poi operato – consapevolmente o meno non ha importanza – allo scopo di distruggere la cultura come valore e di dequalificare scuole e università ponendole al servizio del ‘mondo del lavoro’, vale a dire del capitalismo globalizzatore dominato dagli Stati Uniti d’America. Questo è il vero significato delle riforme scolastiche in corso in Europa da alcuni anni, comprese quelle imposte in Italia dal ministro Berlinguer e dai suoi consiglieri-successori».

Pedagogia

L’editrice Petite Plaisance sta ripubblicando in versione digitale (pdf) Punti Critici, importante rivista uscita tra la fine degli anni Novanta e gli anni Zero del nostro secolo. Nel numero 2 (settembre-dicembre 1999) vi apparve un mio saggio di argomento pedagogico. Lo metto a disposizione anche qui per chi volesse leggerlo:
Educazione e antropologia   (pp. 27-46).
Il tempo trascorso da allora ha dato ragione a molte tesi di questo saggio, come quelle che seguono. Avrei certamente preferito avere avuto torto.

«Livellando le menti verso il basso, il facile, il ludico, la scuola di Berlinguer si illude forse di rinviare l’eccellenza ai dottorati e ai corsi post-universitari, creando in questo modo una casta di scribi, di nuovi mandarini capaci di decidere, progettare, sapere mentre sotto di loro una massa di incolti – ma tutti rigorosamente forniti di diploma o perfino di laurea – si diverte con i videogiochi, qualunque sia il loro travestimento. Si tratta di un’illusione poiché l’eccellenza non nasce mai dal nulla ma da una media tenuta quanto più alta possibile. Il modello scolastico statunitense, classista ed elitario, mostra da tempo il suo fallimento ma i pedagogisti “democratici” e i loro ministri sembrano ignorarlo» (pp. 34.35)
«Il privare le nuove generazioni degli strumenti critici propri della razionalità greca e trasmessi a noi dalle più diverse culture che si sono incontrate nel Mediterraneo e in Europa -la problematicità del dialogo socratico-platonico, la logica di Aristotele, il metodo euclideo, la fIlologia alessandrina – è una scelta funzionale all’imbonimento commerciale e ideologico che è il vero obiettivo dei mezzi di comunicazione di massa. Da tempo negli USA, e sempre più in Italia, se gli studenti non riescono a soddisfare i requisiti di una buona preparazione, si preferisce la facile scorciatoia dell’abbassare il livello delle richieste e degli obiettivi piuttosto che incrementare davvero il rendimento con una serie di strategie inevitabilmente selettive e quindi politicamente poco corrette» (p. 45).

Una catastrofe didattica

Qualche giorno fa ho svolto gli esami di una delle materie che insegno. Riepilogo qui i risultati.
Studenti esaminati: 21
Non approvato (è il modo burocratico di definire una bocciatura): 10
Voto 18: 5
Voto 20: 1
Voto 22: 2
Voto 23: 1
Voto 24: 1
Voto 26: 1
Come si vede, una catastrofe didattica. Non è la prima volta, anche se devo aggiungere che in altre mie discipline i risultati sono migliori. E tuttavia l’esito avrebbe potuto essere anche peggiore se non fossi stato un po’ accondiscendente e mi fossi attenuto con rigore al livello scientifico che un esame universitario sempre richiede.
Le spiegazioni di una simile situazione possono essere numerose: il docente è una carogna (tendo per ovvie ragioni a escludere tale risposta); gli studenti tentano la fortuna (lo si fa più spesso di quanto si pensi e con esito anche positivo); i contenuti sono troppo difficili (ma siamo all’Università, vale a dire al livello più alto della formazione); le conoscenze di base sono scarse (credo che questa sia una delle spiegazioni più sensate, visto il livello medio di preparazione con il quale gli studenti escono dalle scuole, nonostante l’impegno totale e la serietà professionale di moltissimi insegnanti, impegno e serietà che ben conosco per la mia lunga esperienza nei licei); le persone hanno dei limiti naturali, come ha osservato in maniera assai franca Arthur Schopenhauer: «Il nostro valore intellettuale, come quello morale, non ci giunge quindi dall’esterno, ma sgorga dalla profondità del nostro proprio essere e nessuna arte educativa pestalozziana può fare di un babbeo nato un uomo pensante» (Parerga e Paralipomena, tomo I, trad. di G. Colli, Adelphi 1981, p. 647) (una tesi che rappresenta l’opposto dell’onnipotenza educativa sostenuta dai comportamentisti e più di quella mi sembra corrispondere alla realtà); viviamo in un contesto sociale che tende a illudere le persone, producendo così molti danni individuali e collettivi (grave è che su tali temi si pensi spesso al ‘trauma’ che un soggetto può subire per il fallimento delle proprie aspirazioni personali, senza porre attenzione al trauma sociale prodotto da competenze attestate ma non possedute: vi affidereste a un medico che ha ottenuto la laurea ‘per ragioni umanitarie’?); nel profondo si è convinti che scuola e università non servano a nulla e che quindi una laurea non la si debba negare a nessuno, neppure a chi -come mi è accaduto di sentire in questa sessione di esami- a una domanda sul periodo nel quale venne inventata la stampa a caratteri mobili ha risposto: «Nel 1965»; le strutture universitarie si adattano al principio punitivo imposto dalla Legge Gelmini (mantenuta con convinzione dall’attuale governo), la quale riduce i finanziamenti agli Atenei in relazione al numero di studenti che non riescono a completare l’iter formativo nei tempi previsti (un principio giuridico-contabile tanto insensato quanto micidiale).
Scuola e Università non sono soltanto luoghi di scienza ma anche efficaci strumenti di ascesa sociale. A condizione però che diplomi e lauree non perdano di valore e di senso. Gramsci lo sapeva bene:

Il ragazzo che si arrabatta coi barbara, baralipton si affatica, certo, e bisogna cercare che egli debba fare la fatica indispensabile e non più, ma è anche certo che dovrà sempre faticare per imparare a costringere se stesso a privazioni e limitazioni di movimento fisico, cioè sottostare a un tirocinio psico-fisico. Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso. […] La partecipazione di più larghe masse alla scuola media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio, a domandare “facilitazioni”. Molti pensano addirittura che le difficoltà siano artificiose, perché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale.
(Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Einaudi 1949, pp. 116-117).

Le difficoltà sono reali, invece. Studiare, apprendere, capire il mondo è qualcosa di splendido e come tutto ciò che vale richiede tenacia e fatica. Illudere dei ventenni che la frequenza di Corsi Zero o analoghi strumenti didattici possa sostituirsi alla loro intelligenza e al loro impegno, illuderli con il rendere tutto facile o persino regalando materie e voti, significa mancare loro di rispetto, significa ingannarli.
La ragione forse ultima e più profonda di questa e di altre catastrofi didattiche sta nel fatto che governi, media, pedagogisti sono attivamente impegnati -ciascuno per la sua parte- a favorire la costruzione di un Corpo sociale incompetente, ignorante, passivo. E dunque più facilmente manipolabile. Non lo accetterò mai.

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