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Virus e dispotismo 

Il testo di questa brachilogia non è mio ma esprime compiutamente ciò che penso, ciò che ho pensato da subito e che lo svolgersi degli eventi va confermando. L’autore è Gianfranco Sanguinetti definito da Afshin Kaveh (nel suo recente Le ceneri di Guy Debord, Catartica 2020, p. 17) «l’amico e situazionista» che intrattenne un rapporto costante, per quanto come sempre travagliato, con Guy Debord sino allo scioglimento dell’Internazionale Situazionista e anche oltre.
È stato Kaveh a segnalarmi questo testo e gliene sono grato. Condivido infatti per intero quello che scrive Sanguinetti.
Il link (in nota n. 2) a un articolo di Jacques Attali del 2009 è impressionante: Attali descriveva e auspicava ciò che sta avvenendo oggi: «On devra, pour cela, mettre en place une police mondiale, un stockage mondial et donc une fiscalité mondiale. On en viendra alors, beaucoup plus vite que ne l’aurait permis la seule raison économique, à mettre en place les bases d’un véritable gouvernement mondial», così tradotto da Franco Senia: «Dovrà essere, pertanto, istituita una polizia mondiale, un sistema di scorte a livello mondiale e, di conseguenza, una fiscalità mondiale. In questo modo, arriveremo in breve, assai prima di quanto lo avrebbe consentito la sola ragione economica, a porre le basi di un vero e proprio governo mondiale». Tutto molto chiaro.
Le analisi di Elias Canetti vengono ogni giorno confermate: non c’è bisogno di alcun complotto -ma di interessi finanziari sì- poiché la paranoia del potere si alimenta da sola, fa di sé il proprio combustibile.

Aggiungo solo, a questo proposito, due brani dell’articolato documento di un’associazione di medici -AMPAS– i quali si chiedono:
«se le informazioni provenienti dalle figure che operano come consulenti del Ministero della Salute siano diffuse con la comunicazione dei conflitti di interesse che essi possano avere con aziende del settore. Non sarebbe etico né lecito avere consiglieri che collaborano con grandi aziende farmaceutiche. 
Sempre in tema di conflitto di interessi: è stato il Parlamento a stabilire i componenti della Task force costituita recentemente per affrontare la cosiddetta fase2? Sono presenti possibili conflitti di interesse? Tali soggetti pare abbiano chiesto l’immunità dalle conseguenze delle loro azioni. Ma non dovrebbero essere figure istituzionali a prendere “decisioni” sul futuro del nostro paese? Una cosa è la consulenza, altro è decidere “in nome e per conto”. Con quale autorità?
Il giornalismo dovrebbe essere confronto di idee, discussione, valutazione di punti di vista diversi. Ci chiediamo quanto sia garantita la libertà di espressione anche di professionisti che non la pensano come noi. Vediamo invece giornalisti che festeggiano la “cattura” di un povero runner sulla spiaggia da parte di un massiccio spiegamento di forze, e la sistematica cancellazione di ogni accenno a diversi sistemi di cura rispetto alla “narrazione ufficiale” del salvifico vaccino, si tratti di vitamina C o di eparina, in totale assenza di contraddittorio.
In questo quadro intossicato, le reti e i giornali maggiori mandano in onda continuamente uno spot, offensivo per l’intelligenza comune, in cui si ribadisce a chiare lettere che la loro è l’unica informazione seria e affidabile: il resto solo fake. Viene così creata l’atmosfera grazie alla quale si interviene su qualunque filmato, profilo social, sito internet che non si reputi in linea con la narrazione ufficiale. Nessuna dittatura può sopravvivere se non ha il supporto di una informazione asservita».

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Il Dispotismo Occidentale
di Gianfranco Sanguinetti
Versione originale francese: Mediapart – 15.4.2020
Traduzione italiana di Franco Senia, rivista dall’autore

La conversione, delle democrazie rappresentative occidentali, a seguito del virus, a un dispotismo del tutto nuovo ha assunto la forma giuridica della «forza maggiore» (in giurisprudenza, com’è noto, la forza maggiore è un caso di esonero dalla responsabilità). E dunque il nuovo virus è, allo stesso tempo, sia il catalizzatore dell’evento sia l’elemento di distrazione delle masse per mezzo della paura 1.
Per quante ipotesi io avessi formulato fin dal mio libro Del Terrorismo e dello Stato (1979) sul modo in cui sarebbe avvenuta una tale conversione, a mio parere ineluttabile, dalla democrazia formale al dispotismo reale, devo confessare che non avevo mai immaginato che sarebbe potuta avvenire col pretesto di un virus. Ma le vie del Signore sono davvero infinite. E lo sono anche quelle dell’astuzia della ragione hegeliana.
L’unico riferimento, se vogliamo, tanto profetico quanto inquietante, è quello che ho trovato in un articolo che Jacques Attali, ex presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERD), scriveva su L’Express ai tempi dell’epidemia del 2009:

«Se l’epidemia si aggraverà un po’, cosa possibile, dal momento che è trasmissibile dall’uomo, potrebbe avere delle vere e proprie conseguenze planetarie: economiche (i modelli suggeriscono che potrebbe causare una perdita di 3.000 miliardi di dollari, ossia un crollo del 5% del PIL mondiale) e politiche (dovute ai rischi di contagio…) Dovrà essere, pertanto, istituita una polizia mondiale, un sistema di scorte a livello mondiale e, di conseguenza, una fiscalità mondiale. In questo modo, arriveremo in breve, assai prima di quanto lo avrebbe consentito la sola ragione economica, a porre le basi di un vero e proprio governo mondiale» 2

Quindi, la pandemia era già stata prospettata: quante simulazioni saranno state fatte dalle maggiori compagnie di assicurazioni! E dai servizi di protezione degli Stati. Pochi giorni fa l’ex primo ministro britannico, Gordon Brown, è ritornato sulla necessità di un governo mondiale: «Gordon Brown ha esortato i leader mondiali a creare una forma temporanea di governo mondiale per affrontare le due crisi, quella sanitaria e quella economica, causate dalla pandemia di Covid-19» 3.
Si può aggiungere che il fatto che una simile occasione possa essere o colta oppure creata, non cambia molto il risultato. Una volta che l’intenzione c’è, e che la strategia è stata delineata, basta avere il pretesto, e poi agire di conseguenza. Tra i capi di Stato, nessuno è stato preso alla sprovvista, se non proprio all’inizio, lasciandosi andare a questa o a quella stupidaggine. Subito dopo, da Giuseppe Conte a Orban, da Johnson a Trump, ecc., tutti questi politici, per quanto rozzi siano, hanno rapidamente capito che il virus li avrebbe autorizzati a fare carta straccia delle vecchie Costituzioni, regole e leggi. Lo Stato di necessità giustifica ogni illegalità.

Una volta che il terrorismo – del quale si converrà che se ne era un po’ troppo abusato – aveva esaurito la maggior parte delle sue potenzialità, così bene sperimentate dappertutto nei primi quindici anni del nuovo secolo, è arrivato il momento di passare alla fase successiva, come avevo annunciato, già nel 2011, nel mio testo Dal Terrorismo al Dispotismo.
Del resto, l’approccio contro-insurrezionale, adottato immediatamente e ovunque in quella che viene impropriamente chiamata la ‘guerra contro il virus’, conferma l’intenzione che sta alla base delle operazioni ‘umanitarie’ di questa guerra, la quale non è contro il virus, ma piuttosto contro tutte le regole, i diritti, le garanzie, le istituzioni e le popolazioni del vecchio mondo. Sto parlando del mondo e delle istituzioni che si erano formate a partire dalla Rivoluzione francese, e che ora stanno rapidamente scomparendo sotto i nostri occhi nel giro di qualche mese, come è sparita, in modo altrettanto repentino, l’Unione Sovietica. L’epidemia finirà, ma non altrettanto le misure, le possibilità e le conseguenze che ha scatenato e che stiamo ora vivendo. Ci troviamo in mezzo al doloroso parto di un nuovo mondo.

Noi assistiamo alla decomposizione e alla fine di un mondo e di una civiltà: quella della democrazia borghese con i suoi Parlamenti, i suoi diritti, i suoi poteri e contropoteri ormai perfettamente inutili, perché le leggi e le misure coercitive vengono dettate dall’esecutivo, senza essere ratificate immediatamente dai Parlamenti, e il potere giudiziario, così come quello della libera opinione, perdono perfino l’apparenza di ogni indipendenza, quindi la loro funzione di contrappeso.
Si abituano così bruscamente e traumaticamente i popoli (come aveva stabilito Machiavelli, «Le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno»): il cittadino, essendo oramai già da tempo scomparso a beneficio del consumatore, ecco che quest’ultimo si vede ora ridotto al ruolo di  semplice paziente, sul quale si ha diritto di vita e di morte, a cui può essere somministrata qualsiasi cura, oppure decidere di sopprimerlo, a seconda della sua età (se è produttivo o improduttivo), oppure secondo qualsiasi altro criterio deciso arbitrariamente e senza appello, a discrezione del sanitario, o di altri. Una volta che è stato imprigionato ai domiciliari, o in ospedale, cosa può fare contro la coercizione, l’abuso, l’arbitrio?

La Carta Costituzionale viene sospesa, ad esempio in Italia, senza che venga sollevata la benché minima obiezione, neppure da parte di chi è ‘garante’ delle istituzioni, il presidente Mattarella. I sudditi, divenuti delle semplici monadi anonime e isolate, non hanno più da far valere alcuna ‘uguaglianza’, né diritti da rivendicare. È il diritto stesso che smette di essere normativo, e diventa già discrezionale, come la vita e la morte. Abbiamo visto che, con il pretesto del coronavirus, in Italia si possono uccidere immediatamente ed impunemente 13 o 14 detenuti disarmati, dei quali non ci si preoccupa neppure di elencare i nomi, né i loro eventuali crimini, né le circostanze in cui sono stati uccisi, e senza che di questo importi niente a nessuno. Si fa anche meglio di quanto fecero i tedeschi nella prigione di Stammheim. Almeno per i nostri crimini, dovrebbero ammirarci!
Non si discute più di niente, se non di soldi. E uno Stato come quello italiano si vede ridotto ad andare a mendicare dal sinistro ed illegittimo Eurogruppo i capitali necessari alla trasformazione della forma democratica nella forma dispotica. Quello stesso Eurogruppo che nel 2015 ha voluto espropriare tutto il patrimonio pubblico greco, ivi compreso il Partenone, e cederlo a un fondo con sede in Lussemburgo, sotto controllo tedesco: perfino Der Spiegel definì allora i diktat dell’Eurogruppo come ‘un catalogo di atrocità’ per mortificare la Grecia, e sul Telegraph  Ambrose Evans-Pritchard scrisse che se si fosse voluto datare la fine del progetto europeo, la data avrebbe dovuto essere quella. Ecco che ora la cosa è fatta. Rimane solo l’Euro, ma molto provvisoriamente.
Il neoliberismo non ha avuto a che fare con la vecchia lotta di classe, non ne ha neppure memoria, ritiene anzi di averla cancellata perfino dal dizionario. Si crede ancora onnipotente; questo non significa che non ne abbia paura: dal momento che sa bene ciò che si prepara ad infliggere ai popoli. È evidente che ben presto la gente avrà fame; è ovvio che i disoccupati aumenteranno senza limite; è chiaro che le persone che lavorano in nero (4 milioni in Italia) non avranno alcun aiuto. E chi ha un lavoro precario, e non ha niente da perdere, comincerà a lottare e a sabotare. Ciò spiega perché la strategia di risposta alla pandemia è innanzitutto una strategia di contro-insurrezione preventiva. In America ne vedremo delle belle. I campi di concentramento della FEMA si riempiranno presto.

Il nuovo dispotismo ha quindi almeno due ragioni forti per imporsi in Occidente: una è quella di far fronte alla sovversione interna che esso stesso provoca e si aspetta; l’altra è quella di prepararsi alla guerra esterna contro il nemico designato, che è anche il dispotismo più antico della storia, al quale non c’è niente da insegnare dai tempi de Il Libro del Signore di Shang (IV secolo a.C.) – libro che tutti gli strateghi occidentali dovrebbero affrettarsi a leggere con la massima attenzione. Se si decide di attaccare il dispotismo cinese, bisogna cominciare a dimostrargli di essere migliori di lui sul suo stesso terreno: vale a dire capaci di edificare un dispotismo più efficiente, meno costoso e più efficace. In breve, un dispotismo superiore. Ma questo resta da dimostrare.
Grazie al virus, si è rivelata alla luce del sole la fragilità del nostro mondo. Il gioco attualmente in corso è infinitamente più pericoloso del virus, e farà anche più morti. Eppure i contemporanei sembrano temere solo il virus…

Sembra che l’epoca attuale si sia assegnata il compito di contraddire ciò che diceva Hegel, a proposito della filosofia della storia: «La storia del mondo è il progresso della coscienza della libertà». Ma la libertà esiste solo in quanto essa stessa lotta contro quello che è il suo opposto, aggiungeva. Dove si trova oggi? Quando in Italia e in Francia la gente denuncia chi non obbedisce?
Se è bastato un semplice microbo a far precipitare il nostro mondo nell’obbedienza al più ripugnante dei dispotismi, ciò significa che il nostro mondo era già così pronto a questo dispotismo che un semplice microbo è stato sufficiente.
Gli storici chiameranno il tempo che sta incominciando ora l’epoca del Dispotismo Occidentale.

Note
1. Vedo che nell’intervista, apparsa il 10 aprile, Edward Snowden arriva alle medesime conclusioni:   on the rise of authoritarianism during the COVID-19 pandemic
2. J. Attali, Avancer par peurL’Express, 6.5.2009
3. Gordon Brown calls for global government to tackle coronavirus The Guardian, 26.3.2020

«Che cosa può il corpo»

Riprendo qui una mia riflessione che è stata pubblicata qualche giorno fa nella sezione corpi e libertà del sito che una comunità di studiosi ha creato allo scopo di elaborare e raccogliere materiali e analisi libere dal soffocante conformismo, dall’ignoranza, dalla strumentalizzazione dominanti.
Il titolo che ho scelto per questa segnalazione fa riferimento a un brano dell’Ethica di Spinoza: «Verum ego jam ostendi, ipsos nescire, quid Corpus possit, quidve ex sola ipsius naturæ contemplatione possit deduci»
(‘Ma io ho già mostrato che essi non sanno che cosa può il corpo, o che cosa si può dedurre dalla sola considerazione della sua natura’; Parte III, prop. 2, scolio, in Tutte le opere, trad. di G. Durante rivista da A. Sangiacomo, Bompiani 2011, p. 1322)

Segnalo anche due tra gli ormai numerosi articoli del sito corpi e politica:
-i rigorosi, documentati e vivaci Appunti sulla teledidattica di Monica Centanni, nei quali la questione dell’apprendimento è giustamente legata alla centralità del tempo; da qui «il primo nostro impegno in questo periodo è prendere in mano il filo del tempo. Infatti un agente ansiogeno che rende ancor più difficile la condizione che stiamo vivendo è la sensazione di essere in balia di cabale numerologiche che stanno scarnificando le nostre vite, usurando le nostre giornate»;
-l’intervento di Peppe Nanni a proposito di una ambigua, pericolosa e significativa circolare del Ministro degli Interni: Il diavolo sta nel dettaglio. “Focolai di estremismo”: la lingua biforcuta del Ministero degli Interni.
Questo il mio testo:
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Il virus passerà. Non passerà la paranoia del potere
In corpi e politica (11.4.2020)

Sappiamo tutti e molto bene che la questione non è soltanto di tipo sanitario ma anche di natura sociale, politica, culturale. Quello che sta accadendo è molto pericoloso perché si sta ridisegnando lo statuto dei corpi, di che cosa – spinozianamente – sia un corpo, che cosa può fare, che cosa non può fare, che cosa deve fare.

La notizia che ho letto ieri sera su Televideo è tanto consequenziale quanto pericolosa: «Google e Apple collaborano per un progetto di tracciamento del contagio del Coronavirus che può aiutare i governi. Lo annunciano insieme i due colossi. A maggio renderanno disponibili strumenti per gli sviluppatori che stanno progettando le App per le istituzioni mondiali e che consentiranno il dialogo e “l’interoperabilità tra i dispositivi Android e iOS”. E “nei prossimi mesi” sarà disponibile una piattaforma di “contact tracing” basata sul Bluetooth dando “massima importanza a privacy, trasparenza e consenso” degli utenti».

Non sarà temporaneo, non sarà mirato. È uno dei più pericolosi cavalli di troia che il virus offre al controllo generale. Aveva ragione La Boétie: gli umani sono pronti alla «servitù volontaria». Molti che conosco lo stanno confermando. È su questo soprattutto che vorrei riflettere insieme a voi. ‘Molti’ non significa i disinformati, gli indifferenti, i conformisti. ‘Molti’ significa persone, amici, familiari, colleghi che sino a questa circostanza ritenevo critici verso l’esistente e che invece mi accorgo con relativo stupore che sono immersi dentro un paradigma di obbedienza e acriticità che mi sembra nascere fondamentalmente da due ragioni:
– il panico per i rischi alla propria salute;
– il fatto che guardano la televisione.

Forse è una vecchia, ma ogni volta confermata, convinzione. Da vent’anni circa non possiedo un televisore, quando ho occasione di vederne acceso uno mi annoio anche per pochi minuti e rimango sbalordito dal livello di volgarità e di menzogna del mezzo televisivo, livello del quale credo possa accorgersi soltanto chi non guarda per mesi la televisione (evitando così il processo di mitridatizzazione). Sappiamo tutti, invece, che questo è lo strumento principe e spesso esclusivo dell’informazione per milioni di persone, per quelle persone che girano video dai loro balconi, chiamano vigili e polizia, urlano a chi cammina per le strade.

La visionarietà di Guy Debord viene ai miei occhi sempre confermata. Ciò che appare in televisione non solo esiste più di ciò che non appare ma è anche il bene per definizione, ciò che viene detto in televisione non solo è più verosimile ma diventa vero. Il monopolio dell’apparire è il monopolio dell’essere e del valore: «Le spectacle est le mauvaise rêve de la société moderne enchaîné, qui n’exprime finalement que son désir de dormir» [Lo spettacolo è il brutto sogno della moderna società di schiavi, che esprime solo il suo desiderio di dormire]  (La Société du Spectacle, Gallimard 1992, § 21, pp. 24-25). I clienti dello spettacolo televisivo desiderano assopirsi da questo incubo sino a che la stessa televisione non li risvegli; oppure ne vengono esaltati nel loro desiderio di (auto)controllo sino a che la televisione continua ad aizzarli.

Un mio allievo mi ha riferito quanto accade in un paesino della provincia di Catania:
«Tre episodi mi hanno particolarmente disgustato:
1) i miei concittadini si sono organizzati in gruppi Facebook e chat Whatsapp in cui si segnalavano nominativi e foto di presunti contagiati, così da poterli evitare e denunciare in caso di eventuali infrazioni (il tutto con un avvocato che diceva loro ‘tranquilli non è reato di diffamazione, si può fare perché si è giustificati dal pericolo imminente per gli altri e per la salute pubblica!’);
2) il Comune che blocca o elimina qualunque commento critico al proprio operato e coordina polizia municipale e carabinieri in ronde e posti di blocco continui in giro per il paese, anziché approvvigionare beni necessari e organizzare raccolte/distribuzioni dei beni stessi o sollecitare la Regione a potenziare il presidio ospedaliero locale (abbiamo una struttura disponibile a essere facilmente trasformata in un piccola terapia intensiva – ci sono pure gli allacci per l’ossigeno in tutte le stanze! – ma che viene utilizzata solo come Pronto Soccorso ormai da dieci anni);
3) mia madre e mio nonno fermati, sgridati come fossero avanzi di galera e minacciati dai carabinieri di multe e pesanti provvedimenti (inutile spiegare alle guardie che le norme previste dai decreti ‘Io resto a casa’ garantiscono il diritto a poter prendersi cura dei genitori anziani non-autosufficienti, quindi a uno e uno solo dei figli di andare giornalmente presso il loro domicilio per poter prestare assistenza)».

Quella che ci può sembrare una metamorfosi del corpo collettivo è probabilmente soltanto una conferma. Perché è una metamorfosi non limitata a un periodo di emergenza ma destinata a permanere poiché in società complesse come le nostre tutti i provvedimenti di controllo una volta decretati rimangono. Un esempio che abbiamo tutti presente: quanti anni sono passati dall’11.9.2001? 19 anni. Ma il provvedimento di controllo occhiuto, grottesco e inutile (per tante ragioni) al metal detector degli aeroporti non è stato abolito. C’era anche prima, certo, ma assai più blando. Un provvedimento di emergenza per combattere il «terrorismo» è rimasto a diffondere un sottile ma costante sentimento di terrore.

Il virus passerà ma non passeranno le pratiche, le abitudini, le leggi, i controlli universali – tramite cellulari e droni – che il virus sta favorendo. E non passerà l’orgia di autorità che il potente di turno, piccolo (sindaco) o grande (ministro) che sia sfoggia nel decretare ogni giorno qualche divieto. La paranoia del potente, così ben descritta da Elias Canetti, si dispiega in modo mirabile davanti ai nostri occhi.

E questo senza complotti, segreti, volontà occulte ed elitarie. Questa è da sempre la pratica del potere, che società tecnologiche favoriscono però in modo esponenziale. È il momento e l’occasione alla quale da sempre aspiravano. Porsi sopra la legge, diventare essi stessi la legge. Sentirsi nelle mani la vita e la morte di milioni di sudditi. Decretare ogni giorno nuovi divieti, pene, sanzioni, delazioni, cellulari spia, droni, a partire da Conte e i suoi ministri giù giù fino a scatenati incatenatori come i De Luca messinese e campano, come l’impresario di pompe funebri Fontana, come il musumecinonabbassiamolaguardia di Palermo. Tutti a imporre mascherine che non ci sono o, se ci sono, senza sapere se risultino davvero utili o invece dannose. Per i governatori analfabeti -e i loro sostenitori nell’informazione- esiste solo LA mascherina. Ma sono essi, questi paranoici canettiani, una maschera penosa della vita, la caricatura dell’autorità, il dominio dell’ignoranza. Carne televisiva. Lo racconteranno ai loro nipoti: «ci fu un tempo in cui la mia parola era legge per milioni di persone».
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Aggiungo infine la breve cronaca di una mia passeggiata di ieri:
Nella solitudine della luce ho attraversato Catania mai così splendida, così silenziosa, così oltre la storia che pure è stata. Lasciate le mura del Teatro Romano e dell’Odeon sono arrivato attraverso vicoli al Castello Ursino, alla sua imponente armonia, al suo grigio ferito e guarito dai raggi di un Sole ancora amico. Altri vicoli hanno aperto i miei passi verso la pescheria –ho pensato: ‘almeno i pesci vengono lasciati un poco in pace in questi giorni’–, dalla quale sono arrivato dietro piazza Università, proseguendo verso le strade perpendicolari a via Crociferi. Da lì a piazza Dante, dove ho visto tre studentesse senza ‘mascherina’ passeggiare infrangendo ogni prescritta distanza. Una forma di vita umana nel grande camposanto al quale abbiamo ridotto non la città ma i nostri corpi. Il giardino di via Biblioteca sembrava chiuso ma è stato sufficiente spingere i cancelli per ritrovarmi in una strada che da molti anni percorro tranquillamente tutti i giorni e che ho gustato respirando terra e luce. Ho percorso questa città, e i suoi luoghi di antico amore, in compagnia della musica che ho selezionato negli anni come un botanico crea i fiori più lucenti del suo prato. Io non resto a casa, no.

Dolcezza

Dopo quattro ore di lezione telematica -ringrazio gli studenti del Dipartimento di Scienze Umanistiche per la maturità, la malinconia e la forza con le quali stanno vivendo questo momento– e dopo un pomeriggio di scrittura, ho fatto una passeggiata lungo le strade di Catania.
Traffico assai scarso, almeno in relazione alle abitudini della città. Negozi chiusi, tranne i pochi autorizzati. Persone che, non potendo sedersi al bar, si incontrano davanti ai panifici e alle tabaccherie. Molti con la mascherina. Auto della polizia qua e là.
Le luci di una splendida giornata di primavera riverberano nel silenzio delle strade. I palazzi sembrano respirare al posto degli umani. Ho osservato le facciate, i monumenti, gli angoli, affrancati dalla presenza costante dei loro abitatori. Ho visto quanto bella sia Catania. Ho avuto per qualche minuto l’impressione di vivere ciò che racconta il protagonista di Dissipatio H.G, l’impressione di una solitudine profonda e dolce, il mondo liberato dagli umani.

Tutto questo è però frutto dell’obbedienza del corpo collettivo all’enormità di ordini che prospettano gli arresti domiciliari di massa; che autorizzano i membri dell’esercito a «fermare i cittadini per controllare se rispettano le disposizioni previste dai decreti per l’emergenza coronavirus» (circolare del 12.3.2020 del Ministero degli Interni); che concedono a ogni vigile urbano, poliziotto e affini il potere di privare i cittadini della libertà di movimento, che soltanto la Magistratura sarebbe autorizzata a decretare.
Come quasi sempre, Manzoni ha colto a fondo queste dinamiche. In particolare là dove osserva che gruppi e movimenti sociali i quali non tollerano il minimo sacrificio della propria libertà -manifestando a gran voce–, a un certo punto rinunciano invece a tutta la loro libertà. Un corpo sociale spesso così attento ai propri diritti di varia natura, molti dei quali secondari, sta rinunciando con rassegnazione o persino con compiacimento alla sospensione delle fondamentali libertà costituzionali, compresa quella di movimento, che è tra le essenziali. Leggo di cittadini che invocano apertamente i carri armati nelle strade.
Il mio lavoro mi ha abituato da sempre a trascorrere intere giornate a casa, studiando e scrivendo. Ma quanto durerà la situazione descritta dal mio allievo Enrico Palma? «Sono curioso di constatare fino a che punto reggerà questa perfetta calma di dèi solitari prima di vedere scattiare qualcuno, o tutti quanti». In siciliano ‘scattiari’ vuol dire ‘andare fuori di testa’.
Di più: molti lavoratori continuano a percepire uno stipendio anche ad attività rallentate o annullate. Ma tanti altri, e sono milioni, che vivono di commercio, di attività a prestazione, di esercizi aperti al pubblico, in che modo continueranno a percepire le somme necessarie per vivere?
Se non si pone un freno alla psicosi di massa, si può prevedere che tra non molto i sentimenti di comprensione e solidarietà verso positivi al virus e malati (non sono la stessa cosa, è bene ricordarlo) si trasformeranno in altri atteggiamenti, assai più ostili. La Storia della colonna infame è un libro terribile e chiarissimo nel descrivere tali dinamiche. La peste porta sempre con sé, è inevitabile, gli untori. È un dispositivo socialmente e psicologicamente ben noto: per adesso sono coloro che non accettano gli arresti domiciliari di massa ma quando ci si pone sul piano inclinato del panico l’inevitabile risultato è la violenza verso colui/coloro che si ritiene portino in sé e con sé il pericolo per tutti gli altri. Significativo quanto ha dichiarato il responsabile della Protezione Civile, Borrelli: «Mantenere le distanze, anche in famiglia». Eccoci arrivati al controllo dei corpi tra le mura di casa. 1 metro, 2 metri, 3 metri? Ciascuno mangia in una stanza da solo? Pura biopolitica. Foucault ci guarderebbe con interesse.
Bisogna dire infatti con chiarezza che il coronavirus non è soltanto biologia. È anche politica, economia, spesa pubblica. L’emergenza –per un virus molto contagioso ma poco letale– sta nell’assenza di posti letto, di macchinari, di personale medico. E questo non l’ha voluto il virus ma l’hanno deciso il fanatismo liberista del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Centrale, dell’Unione Europea. L’hanno voluto i mercati, anonime strutture finanziarie che uccidono le vite, le società, le libertà. Ora si vede che lo fanno alla lettera.
Non si tratta di ‘minimizzare’, si tratta di capire la complessità di ciò che accade e di affrontarlo con coraggio e lucidità, sine ira et studio, con equilibrio esistenziale e scientifico. Il contrario di ciò che informazione e politica praticano sul coronavirus come su tutto il resto.

Quanto e come si tornerà indietro rispetto alla dittatura sanitaria, alla gravissima limitazione delle libertà costituzionali, alla militarizzazione del territorio e delle relazioni, al deserto relazionale, sociale, culturale dato dallo spegnimento di ogni luogo di aggregazione: teatri, cinema, convegni, attività sportive e tanto, tanto altro?
È solo la paura a indurre alla passività. Un sentimento che il potere ha sempre utilizzato, con sistematica efficacia. La paura di base, la paura di fondo, la paura totale, la paura di morire. Una paura che paralizza il pensiero, la critica, la lucidità. Che spinge a giudicare criminale, superficiale, pazzo chi diffida di questo unanimismo del panico. Che invoca la censura verso coloro che muovono anche la minima critica al dispositivo di controllo sociale totale che sta dilagando senza alcuna opposizione. Come ha scritto l’amico Giuseppe Nanni: «Non state fermi adesso perché poi sarà più difficile muovere il cervello (siamo al terzo giro di vite in quattro giorni, l’appetito del Leviatano vien mangiando)». E come affermano i compagni di A Rivista anarchica: «Stiamo vivendo tempi allucinanti, caratterizzati da un’eclissi della ragione, tra prove tecniche di controllo sociale e dissennate reazioni di ampi settori della popolazione».

Tutto questo è frutto, nella sua dimensione biologica e non biopolitica, di un’entità invisibile, microscopica, inafferrabile, temibile: un virus. Noi, che ci crediamo i padroni del cosmo, siamo alla mercé di un’infima parte del reale. Ma non impareremo neppure stavolta. Troppo grande e radicata è la ὕβρις che intesse l’antropocentrismo biblico e la civiltà del capitale. Ma Γῆ, la Terra Madre, ucciderà l’Homo sapiens prima che lui uccida la Terra. Questo è sicuro.
E quando rimarrà soltanto ciò di cui oggi ho goduto al Monastero e tra le strade -l’azzurro del cielo, il cinguettio dei passeri, il movimento delle palme e degli ulivi– lo spazio sarà pieno di calma, il tempo sarà colmo di dolcezza. La dolcezza di Catania oggi al tramonto.

Contro l’etica

[La riflessione che segue è frutto dello scambio con i miei studenti Selenia Anastasi, Marcosebastiano Patanè (autore della foto qui sopra, che ritrae il tempio di Segesta) e Noemi Scarantino, che hanno partecipato al Festival della Filosofia di Castellammare del Golfo. Li ringrazio per aver discusso, ampliato e arricchito una prima versione del testo]

Paura. È un sentimento e comportamento filogeneticamente prezioso perché consente alle specie viventi di evitare situazioni e rischi che risulterebbero rovinosi, mortali. Ma è anche un sentimento e comportamento che può paralizzare la vita, perdere il momento propizio, impedire la gioia.
Ho percepito questa paura in alcuni momenti della discussione che si è svolta sulle due relazioni che ho tenuto al Festival di filosofia di Castellammare del Golfo. Non parlo, naturalmente, della condivisione esplicita e a volte entusiastica delle prospettive che ho cercato di sostenere ma di un filo rosso di neutralizzazione che mi è sembrato emergere in vari interventi, anche in alcuni di aperto apprezzamento. Neutralizzazione della potenza dionisiaca dei sentimenti umani; neutralizzazione della nostra evidente, pervasiva, profonda, costitutiva animalità.
È come se la forza animale delle nostre passioni si aprisse quale baratro davanti all’andare quieto e ordinato dei giorni. È come se il Grande Altro che impone e richiede il controllo delle nostre estasi amorose fosse stato davvero e fino in fondo introiettato dai corpimente sino a farlo coincidere con la propria persona. È come se l’antica paura degli animali che siamo fosse per noi una condizione di identità tramite la separazione del nostro βίος dalla ζωή che tutti i viventi accomuna. La passione amorosa è una passione animale che si esprime nelle forme biologiche e simboliche della specie umana. Noi filiamo i nostri amori come il ragno fila la propria tela, con la stessa tenacia, intensità, teleologia. L’obiettivo è in entrambi i casi nutrire il corpomente in vista della pienezza dello stare al mondo.
Quella amorosa è dunque una passione naturale e profonda, una passione necessaria ed ermeneutica, una passione specchio, una passione squilibrata nella relazione, solitaria e universale. Una passione linguistica e temporale, una passione semantica e iconica. Una passione innocente e infinita. Una passione che trasforma il tempo profano nel tempo sacro della festa dei corpi. ὕβϱις non è necessariamente e soltanto l’estremo abbandonarsi alla passione amorosa e il ritorno all’animalità ma è anche e specialmente il voler todo modo respingere e dominare questi due aspetti fondamentali di ciò che siamo, con l’obiettivo di attenersi a valori, a etiche, a impauriti pudori che snaturano la nostra intima essenza. La ὕβϱις per eccellenza è in realtà il rifiuto della dimensione dionisiaca poiché, come mostra la tragedia greca, alla fine Dioniso vince sempre.
Di fronte alla struttura animale e sacra della passione amorosa, alcune reazioni hanno utilizzato come strumento di sterilizzazione l’armamentario dell’etica e i concetti della psicologia. L’animalità amorosa è invece al di là del bene e al di là del male, è oltre la psiche perché affonda nei ritmi ancestrali della terra dalla quale gorgogliamo.
La paura si esprime anche come diffidenza, disillusione, arrendevolezza. La passione amorosa è invece simile a una disobbedienza civile, è espressione di una ribellione al Grande Altro, ribellione che intravede una forma di esistenza e relazione oltre l’ordine imposto dalle norme religiose, dal genere sessuale, dalla condizione sociale, dall’età e dalle circostanze.
Quelli vissuti a Castellammare con gli studenti e con i miei affezionati amici -che incontro sempre con gioia e che ringrazio per ciò che ogni volta mi donano- sono stati giorni assai belli di prati, di mare e di templi. Giorni intensi di pensiero e di confronto. Giorni piacevoli di camminate e di cibo. Giorni fecondi anche perché mi hanno ulteriormente illuminato sulle paure quasi pavloviane degli umani e sul fatto che la filosofia non ha nulla a che fare con l’etica e con la psicologia ma con il mondo, con l’essere. E dunque chi cerca di praticare la filosofia e porla al centro della propria esistenza dovrebbe liberarsi dall’etica e dalla psicologia e dire -se riesce- l’ontologia, il suo flusso, il divenire e la potenza.

Paura

L’apparizione
(L’apparition)
di Xavier Giannoli
Francia, 2018
Con: Galatéa Bellugi (Anna), Vincent Lindon (Jacques Mayano), Patrick d’Assumçao (Padre Borrodine), Anatole Taubman (Anton Meyer)
Trailer del film

Una commissione istituita dal Vaticano indaga sulle presunte apparizioni della Madonna in un paesino del Sud della Francia, diventato naturalmente meta di pellegrinaggi, televisioni, gadget e mercanti. A coordinare i lavori della commissione canonica viene chiamato un laico, un giornalista appena tornato dalle guerre del Vicino Oriente e angosciato per la morte del fotografo con il quale ha lavorato per decenni. Jacques accetta e a poco a poco entra nel labirinto di passioni, segreti, illusioni, macchinazioni, sincerità e paure in cui consistono le apparizioni.
Paura è una parola che nel film ritorna con regolarità. «Non avere paura» è ciò che la Madonna dice ad Anna nella prima apparizione alla ragazza. Paura è ciò che sussulta a ogni istante. Paure diverse, opposte e convergenti. È questa l’intuizione più profonda di un film per tre quarti abbastanza coinvolgente ma che naufraga nel finale, dove non sa in che modo concludere e sceglie l’opzione più confusa, inverosimile e sentimentale.
La paura invece è reale. È la fonte di molto sentimento religioso. È il capitale sul quale chiese e sette di ogni genere basano la propria ricchezza. La paura del morire, anzitutto. Di questa cosa che proprio non accettiamo, credendoci degni di una durata illimitata. Una pretesa non confinata certo alle chiese tradizionali e che muove ad esempio movimenti come i transumanisti e gli estropiani, i quali sostengono tesi siffatte:
«Gli estropici (extropians) perseguono il continuo miglioramento personale, nonché della cultura e dell’ambiente in cui vivono. Vogliamo migliorarci sul piano fisico, intellettuale e psicologico. Per noi è importante che la ricerca di nuova conoscenza sia un processo continuo. Gli estropici rifiutano l’idea che la natura umana debba essere lasciata sostanzialmente invariata per evitare di contraddire il ‘volere divino’ o per evitare di andare ‘contro natura’. Come gli umanisti, che sono nostri cugini dal punto di vista filosofico, sosteniamo il progresso su tutti i fronti. Ci spingiamo poi ben oltre le proposte umaniste per quanto riguarda le alterazioni della natura umana da noi volute per raggiungere tale progresso. Mettiamo in discussione i limiti imposti al nostro progresso ed alle nostre potenzialità da tradizione, biologia, genetica e cultura […]  L’estropianesimo è una filosofia transumanista. I Principi Estropici descrivono una specifica versione del pensiero transumanista. Come gli umanisti, i transumanisti sono per la ragione, il progresso ed i valori centrati sul proprio benessere, piuttosto che su di una autorità religiosa esterna. I transumanisti spingono l’umanesimo verso la sfida alle limitazioni della specie umana con l’uso di scienza, tecnologia, creatività e pensiero critico. Noi sfidiamo l’inevitabilità dell’invecchiamento e della morte».
Il brano è citato da Selenia Anastasi nel primo capitolo della tesi che sta preparando, dal titolo Per un’etica del Transumanesimo, nella quale giustamente osserva che «l’idea della morte, l’idea di trascendere una condizione di limitatezza temporale e spaziale, le promesse di eternità spirituale delle religioni, esercitano su noi umani un fascino innegabile». Quelle degli estropiani sono infatti affermazioni veramente emblematiche della dismisura umanista e antropocentrica che caratterizza movimenti antichi e contemporanei i quali pongono al centro della φύσις l’umano, la sua natura, il suo destino, come se esso avesse un valore e una funzione ontologica intrinsecamente diversi rispetto a ogni ente destinato a finire.
Questa paura fondamentale si esprime e diventa -nel film e nelle esistenze individuali e collettive- paura del corpo, paura dell’autorità, paura della solitudine, paura dell’ignoto dentro cui dobbiamo pur abitare. Tutto ciò che a tale paura dia un poco di sollievo viene dagli umani bramato e accolto. Da qui il profluvio di libri sacri (la Bibbia ebraico-cristiana è uno dei più famosi e discutibili), di etiche, di organizzazioni, di ricatti, di apparizioni della Grande Madre (capace di dare la vita e di dare la morte), di un contatto purchessia con una qualche certezza sul destino unico, grande, felice dell’umanità e di ogni suo sparuto rappresentante.
Paure naturali ma che ci perdono, che dissolvono la vita nel pulviscolo delle angosce presenti e future. La filosofia è anche il modo più libero ed equilibrato di affrontare tali paure e, se possibile, vincerle.

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