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Tristesse

Ma nuit
di Antoinette Boulat
Francia, Belgio, 2021
Con: Lou Lampros (Marion), Tom Mercier (Alex)
Trailer del film

La notte di Marion, diciottenne che si è allontanata dalla madre dopo la morte della sorella e l’abbandono del padre. La notte. Prima trascorsa con alcune amiche che nello sballo, nell’erba e nei giochi ritrovano soltanto sonno e pianto. Poi con Alex, un solitario come lei ma di lei più saggio, che le insegna un poco di misura e di calma, che le ricorda che «la libertà è il sentimento di non aver paura». E le regala persino una traccia di sorriso quando il giorno ricompare nel suo fulgore e Marion può dire: «Ce l’ho fatta. Ho superato la notte». Camminando tra le strade nella luce del giorno, Marion indirizza lo sguardo e le braccia verso il cielo, per toccarlo.
C’è qualcosa di giusto nella tristezza che afferra e che intesse questi ragazzi al transito tra adolescenza e adultità. Il vuoto che si è merita il vuoto che si fa. Sapere (lo sanno ormai tutti sin dalle scuole medie) che alcuni comportamenti sono autodistruttivi e nonostante questo praticarli, merita la distruzione. Il mancato rispetto e persino odio nei confronti del tempo merita che il tempo punisca sbriciolando in angoscia il proprio passare e in lacrime le ore.
Marion ha il dono di uno sguardo intenso dentro un viso da capra, Alex ha l’energia e la dolcezza di un umano diventato un poco più adulto, Parigi ha il normale dolore di una città umana, la regista alterna i primissimi piani con i paesaggi urbani e antropici di una contemporaneità scandita dall’assenza.

Paure e razionalità

Pubblico qui due documenti.
Il primo è una Lettera inviata agli attuali Presidente del Consiglio e Ministro dell’Università da parte di più di un migliaio di docenti e membri del personale tecnico-amministrativo degli Atenei italiani (il cui numero va crescendo in questi giorni). Il testo si compone di 8 pagine; le ultime due sono costituite da una parte della bibliografia scientifica utilizzata per la stesura del documento. Riporto qui alcuni brani, consigliando naturalmente la lettura integrale della Lettera, la quale può essere scaricata e sottoscritta al seguente indirizzo:

Universitari e Ricercatori contro il GreenPass. Lettera aperta al Presidente del Consiglio

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Rileviamo anzitutto che non vi sono basi scientifiche per questo ennesimo inasprimento delle politiche di contenimento della pandemia e non possiamo non esprimerci relativamente alle fortissime implicazioni psicologiche, etiche, giuridiche ed economiche che questo approccio alla pandemia sta avendo sul nostro tessuto sociale e civile. Osserviamo inoltre con estrema preoccupazione l’escalation di violenza verbale e attacchi pretestuosi verso la minoranza di coloro che per vari motivi, tra cui considerazioni di tipo sanitario, hanno scelto di non vaccinarsi.

Considerati questi dati epidemiologici essenziali, l’obbligo vaccinale per gli over 50, o per particolari categorie di lavoratori, appare una misura di cui si fatica a comprendere la reale necessità.

Va altresì considerato che i vaccini attualmente somministrati sono farmaci la cui autorizzazione all’immissione in commercio è avvenuta in via “condizionata” e temporanea, sulla base del Regolamento della Commissione Europea n. 507/2006 del 29 marzo 2006, che si applica espressamente ai «medicinali» per i quali «non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficaci (art. 2 e art. 4, n. 1, del regolamento), e che le evidenze scientifiche circa l’efficacia e la sicurezza della somministrazione di dosi booster a distanza ravvicinata sono scarse, ma già preoccupanti.

Un altro aspetto critico della campagna vaccinale è quello relativo alla comunicazione, che è stata estremamente variabile e incoerente: dalla promessa dell’immunità di gregge si è passati all’evidenza che il vaccino non protegge dal contagio; da un solo ciclo vaccinale si è passati alla necessità di una terza dose e forse una quarta, con tutti i pericoli che la somministrazione ripetuta del vaccino rappresenta per l’incolumità fisica dei soggetti trattati.

Con specifico riferimento alla vita della comunità universitaria, dobbiamo inoltre rilevare che l’applicazione del Decreto Legge è destinata inevitabilmente ad alimentare conflitti e discriminazioni. La nuova normativa, infatti, impedirà di lavorare e di percepire lo stipendio a chi sceglierà di non vaccinarsi o di non completare il ciclo vaccinale, introducendo di fatto una sanzione che non trova precedenti nel nostro ordinamento. Questa sanzione produrrà gravi ripercussioni sociali e psicologiche, che incideranno sulla vita individuale e familiare dei lavoratori sospesi, incluse persone al termine della loro carriera lavorativa, oltre ad avere ricadute sulla formazione degli studenti, sulla ricerca e sull’attività culturale e amministrativa dei nostri atenei. Singolare dal punto di vista giuslavorista appare poi la possibilità che i lavoratori strutturati sospesi possano essere sostituiti da lavoratori precari, ai quali sarà richiesto, se di età non superiore ai 50 anni, il Green Pass semplice, acquisibile, come era finora anche per il personale strutturato, mediante il semplice tampone.

Riteniamo che la sospensione dal lavoro e la perdita del sostentamento economico, come conseguenza dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, rappresenti un’imposizione sproporzionata e ingiustificata dal punto di vista sanitario e che, in quanto tale, debba essere portata all’attenzione della Corte Penale Internazionale come atto persecutorio nei confronti di un gruppo sociale, in questo caso identificabile dal suo status vaccinale (art. 7 dello Statuto di Roma).

Riteniamo particolarmente grave, infine, obbligare gli studenti ad esibire il Green Pass per poter partecipare in presenza alla vita universitaria. Ai fini della salvaguardia della salute di tutti, la distribuzione gratuita di test rapidi antigenici, anche salivari, che sono in grado di rilevare con elevata sensibilità non tanto la positività quanto la contagiosità degli individui, pare assai più efficace come misura di tutela della salute delle comunità universitarie.

In questa prospettiva, auspichiamo che Lei, signor Presidente del Consiglio dei Ministri, voglia prendere urgentemente in considerazione la necessità di ritirare il suddetto Decreto, allo scopo di restituire agli atenei l’universalità e la pluralità di pensiero, che è alla base dello stesso concetto di universitas, e di salvaguardare i principi e i valori su cui si fonda la nostra società, in nome di quanti hanno contribuito alla loro affermazione e di quanti hanno il diritto inalienabile a costruirvi la propria felicità.

Versione pdf della Lettera
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Il secondo documento è un saggio del Prof. Guido Nicolosi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Unict.
Il testo si intitola Communication, Fear and Collective Trauma in first Wave Covid-19.“Double Epidemic” in Italy: traces and clues.
Uno degli argomenti è l’infodemia che ha colpito in particolare l’Italia. È stato pubblicato su Studia Humanitatis Journal, 2021, 1 (1), pp. 103-126.

Questo è l’abstract:
«The Coronavirus epidemic has demonstrated just how unprepared our societies were for an occurrence of this kind. On March 2020, the Italian government was in fact the first in Europe to implement a strategy of lockdown on the whole national territory, not just in the areas where outbreaks occurred. The coronavirus crisis was concentrated in a specific area: in particular, the region of Lombardy and some isolated provinces in the north of Italy. So, Italy has suffered a “double” epidemic, but the strategy adopted was uniform and radical. This contribution does not focus on the effectiveness of the Italian strategy per sè . The aim is rather to analyse the Italian Case from the point of view of media and institutional communications with the intention of bringing to light some critical issues. Particularly, here it is posited that emergency  ommunication produced during the “first wave” of pandemic has significantly contributed to fostering a climate of anxiety and collective fear with possible traumatogenic consequences. Within an emergency context, communication can be the thin boundary line between collective trauma and resilience and covid 19 pandemic was also a public communication crisis. This essay tries to analyse some traumatogenetic issues of institutional and media communication during the coronavirus crisis in Italy. Below a non-exhaustive list of these issues: A dramatic center-periphery coordination deficit; Wavering institutional communication; The “numerological” hegemony”; The absence of an “exit strategy”».

Il saggio, scritto in modo chiaro e vivace, merita di essere letto per intero. Anche in questo caso segnalo alcuni brani.
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As predicted by The Lancet, Italy had to face an infodemic crisis and a pandemic information overload. This has been widely confirmed by our routine research activity. In the absence of effective, professional institutional direction, the media did not hesitate to dramatize the narration of events for their own interest (audience), with massive coverage which was at times emphatic, others schizophrenic (alternating reassurances with alarmism). On occasions they might even be accused of foul play, with headlines for effect and news which was only partially true.

In other words, in order to convince the population to live under a regime of quarantine for an indefinite period, the government used a “strong” (alarmistic) communicative register.

The main traumas registered today by psychologists are the following:

▪ Isolation, with repercussions on somatic levels and reduced resilience;

▪ Symptoms of depression (loss of motivation, self-esteem, physical and cognitive fatigue);

▪Violence and aggression (an increase in domestic violence and conflicts between individuals was registered);

▪ Paranoid suspicion (search for the plague spreader);

▪ Sense of incoherence;

▪ Individual and social control;

▪ Technological overdose;

▪ Compromised development and growth in minors.

Nevertheless, the rite can have a dangerous, consolatory function (Gugg, 2014), because it can give a community the illusion of being immune to a successive disaster and generate a false sense of security. Or, rites can serve to remove the community’s sense of guilt by attributing the causes of the disaster to scapegoats. Or to re-establish the pre-existent social order (resilience) without reflexively reasoning on the political and social responsibilities and on the possible and necessary changes.
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I pdf contengono le mie sottolineature ed evidenziazioni. I due testi confermano che è possibile, solo che lo si voglia, osservare in modo razionale quanto sta accadendo da due anni; riflettere con attenzione sulle cause e sulle conseguenze della gestione politica dell’epidemia; evitare comportamenti irrazionali, fanatici, fideistici. Si può insomma, se lo si vuole, rimanere persone sensate, critiche, libere.

Post scriptum
Un collega che riceve gli aggiornamenti su ciò che pubblico sul sito mi ha scritto questo:
«grazie, confermando il mio dissenso…»
Gli ho chiesto: «Hai letto i due testi?»
La risposta è stata questa:
«conosco le ragioni, che non riesco a condividere. Sono prevenuto e quindi non li leggo neppure».
Ecco un esempio di «comportamento irrazionale, fanatico, fideistico» e certamente non consono a un professore, a un intellettuale, a uno studioso.

Pandemia, un luogo

Un lessico dell’epidemia
Recensione a: Barbara Stiegler, La democrazia in Pandemia. Salute, ricerca, educazione
(De la démocratie en Pandémie. Santé, recherche, éducation, Gallimard 2021)
Trad. di Anna Bonalume
Carbonio Editore, 2021
Pagine 80

in Aldous,  14 ottobre 2021

Al centro dell’accadere non c’è soltanto un virus più o meno pericoloso ma c’è il linguaggio, ci sono le parole che «possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico» (p. 49), come afferma il filologo Victor Klemperer riferendosi alla lingua del Terzo Reich. Neologismi, risemantizzazioni, parole d’ordine ossessivamente ripetute sono pericolosi virus che hanno infettato il corpo collettivo: lockdown, coprifuoco, mascherine, fragili, webinar, dad, green pass, distanziamento sociale…Queste parole vanno sostituite con altre, più antiche, più dense, più corrispondenti a quanto sta accadendo.

«Ginnastica d’obbedienza»

Chi non si accorge della quotidiana «ginnastica d’obbedienza» (De André) che con la gestione politica dell’epidemia SARS-CoV-2 è in atto nelle società ‘democratiche’ (le altre sono abituate da secoli), vuol dire che è pronto alla servitù a tempo indeterminato.
La sua libertà sarà sempre una concessione delle autorità, sarà la libertà dei fascismi, e non sarà mai l’essenza stessa del respiro umano, lo splendore dello sguardo, il pensiero che comprende. Sarà la libertà della brava formica, la cui essenza è l’omologazione, il marciare compatti verso la meta, l’identità senza differenze, lo stare sempre dalla parte della maggioranza ‘buona e giusta’. Sarà il conformismo eretto a valore. Sarà la libertà che si genera dalla paura e non dal gesto che rompe le catene. Sarà, in effetti, la libertà che merita.
Raccontando la manifestazione di Roma del 9 ottobre contro il Green Pass, l’informazione asservita attribuisce a Forza Nuova centinaia di migliaia di aderenti, pur di calunniare i cittadini italiani. Come ha scritto ieri anche Vladimiro Giacché (un marxista e comunista doc): «Sento profumo di sineddoche indebita». E Marco Rizzo (segretario del Partito Comunista) ha correttamente affermato che «la lotta contro il Green Pass è giusta. Per questo vengono scomodati i fascisti che provocano e assaltano la sede della Cgil. Fenomeni da battere in quanto sono parte dello stesso problema. Non siamo nati ieri, la “strategia della tensione” la conosciamo bene. Molto bene».
Sono stato in manifestazione: cittadini di tutti i generi, famiglie, anziani, distinti signori, contro il Green Pass, per la libertà.
Credere alle veline delle questure, credere ai ministri dei temporali e della paura, significa essere pronti al fascismo, davvero. Un segnale ai miei occhi gravissimo è la trasformazione dei cittadini italiani in una massa di kapò incaricati di controllare altri cittadini. E si vorrebbe che persino i docenti universitari si piegassero a tale funzione.
La questione è politica sin dall’inizio. Anche per questo sono stato sin dall’inizio contrario alla narrazione dei governi e dei loro organi di informazione. E ogni giorno che passa sono sempre più convinto di tale scelta.
Per quanto riguarda i vaccini, se fossero efficaci e innocui, logica imporrebbe di lasciare liberi i cittadini di accedervi o meno. I vaccinati sarebbero sicuri, i non vaccinati sarebbero a rischio per loro scelta, per la loro incoscienza.
Ma, evidentemente, così non è.
Perché l’obiettivo non è la salute, l’obiettivo è il lasciapassare sanitario, l’obiettivo è il controllo totale del corpo collettivo. Per ora tramite l’epidemia ma, poi, molto oltre l’epidemia.

Deserto

«Die Wüste wächst: weh Dem, der Wüsten birgt!»
‘Il deserto cresce: guai a chi nasconde in sé deserti!’
Nietzsche, Also sprach Zarathustra IV (Unter Töchtern der Wüste / Tra le figlie del deserto)
Il Covid19, ciò che scatena nel corpo collettivo, è una forma sempre più evidente di nichilismo, di nascondimento dei volti, di dissoluzione della socialità, di timore diffuso e contagioso, di ignoranza dei corpi, di tramonto del senso, di declino della razionalità, di ubbidienza fanatica, di rifiuto del limite, di negazione della insecuritas, di terrore.
È questa la follia del presente, è questo il cuore nero della desacralizzazione del mondo, lo sgomento per la  sua misura mortale e finita.
Uno spettacolo tragico e mirabile per chi conosce la pochezza della nostra specie.

 

Paure

Individui e società sono fatti anche di paure, senza le quali rischierebbero gli effetti e i danni di decisioni e atteggiamenti spericolati. Avere paura è anche una forma di salvaguardia dell’equilibrio in cui si vive e dell’equilibrio che si è. E tuttavia quando la paura verso qualcosa diventa una paura assoluta, quando è il mondo a essere visto come il pericolo, allora la vita ha intrapreso la strada della propria dissoluzione. La paura indotta dall’epidemia da Sars2 è questa forma di terrore.
Il conformismo pronto, immediato, pervasivo che si è imposto in relazione a tale paura ha in realtà radici sociali e culturali ormai pluridecennali.
Paura della propria identità sovrana, il cui contrario – come giustamente afferma Michel Onfray «è il vassallaggio, la sottomissione, la dipendenza, l’assoggettamento, la tutela» (in Diorama Letterario, n. 357, p. 7).
Paura della pluralità, dell’incertezza, della libertà, cancellati dalla «colonizzazione dei media del servizio pubblico e delle istituzioni educative statali da parte dei propalatori del Pensiero Unico» (M. Tarchi, p. 3).
Paura dell’identità e della differenza. L’identità di una lunga storia di emancipazione che si innesta sull’accoglimento delle differenze, tra le quali sono fondamentali le differenze etiche, politiche, ideologiche, estetiche, epistemiche; in generale le differenze nelle concezioni del mondo e dei valori, che invece il dogmatismo etico-politico del presente tende ad annullare in una concezione monocorde del Bene, che sempre più pervade un discorso pubblico profondamente autoritario, qual è quello che si esprime nel politicamente corretto.
Esso nasce dalla paura delle parole, del linguaggio, della sua molteplicità, della forza, novità, plasticità, innovazione, che il politically correct cerca di dissolvere «riparandosi dietro il proprio Muro delle Lamentazioni», sotto la cui protezione «ogni minoranza convoca la terra intera al capezzale della sua presunta sofferenza di cui si è arrogata il lucroso usufrutto, capitale lacrimale» (F. Bousquet, 25).
Paura dell’Europa, della sua storia, della sua identità, del suo pluralismo, della sua cultura, della sua filosofia, alla quale si preferisce «l’Unione europea, vera anti-Europa […] non più riformabile, giacché ha voluto fare dell’Europa un mercato mentre essa avrebbe dovuto diventare una potenza autonoma, e nel contempo un crogiolo di cultura e di civiltà» (A. de Benoist, 7).
«Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo» (Ridley Scott, Blade Runner, 1982).

Montaigne, Rousseau, Foucault

Il numero 356 (luglio/agosto 2020) della rivista Diorama Letterario ha pubblicato alcune riflessioni di Alain de Benoist dal titolo Note sull’inizio dell’era covidiana (pagine 9-12).
Questi i titoli dei brevi paragrafi nei quali il testo è suddiviso:
-Inedito
-Covid contro Golia
-Prevedere
-Globalizzazione
-L’Europa
-Antropologia
-La morte
-L’economia o la vita?
-La ‘guerra’
-Lo stato di eccezione
-Sorveglianza e biopotere
-Prima, dopo
-Rientro delle classi (sociali)
-Geopolitica dell’epidemia
-Decontaminazione

Invito a leggere il pdf completo del testo.
Intanto segnalo qui un brano dal paragrafo Sorveglianza e biopotere:
«Ogni pandemia è prima di tutto una epidemia della paura. La paura fa accettare le restrizioni più mostruose alle libertà individuali. È anche un meraviglioso pretesto per rafforzare la sorveglianza e il controllo. La classe dirigente non potrà resistere alla tentazione di manipolare la paura. È la strategia del caos: prima si crea il caos, poi si strumentalizza la paura del caos. La stessa cosa vale con il terrorismo, con la delinquenza, con la morte. Il confinamento ha costituito da questo punto di vista un formidabile test di docilità. Testare la docilità delle masse è un principio elementare dellʼingegneria sociale.
Evocando il ‘modello disciplinare della peste’ (per opposizione al modello della lebbra, fondato sul confinamento dei lebbrosi), Michel Foucault chiamava questo ‘biopotere’ – il vecchio sogno di trasformare i cittadini in pazienti permanenti (nei due sensi del termine). Il biopotere è un potere che mira allʼamministrazione e alla gestione dei corpi tramite procedimenti al contempo medici e burocratici: non si tratta più solo di governare gli individui, ma di controllare la collettività attraverso lʼigiene, lʼalimentazione, la sessualità. Al di là della salute propriamente detta, lo scopo è assoggettare tutti i rapporti sociali alle stesse regole di “trasparenza”.
Il cordone sanitario allora non è più solamente lʼarma utilizzata contro i malpensanti; diventa un principio sociale. Lo Stato materno e impartitore di sermoni sogna di seguire le tracce di tutti i cittadini, considerati alla stregua di bambini. Potere di Stato e razionalità medica convivono ottimamente nella sfera del soluzionismo tecnologico, il tutto su uno sfondo di dittatura sanitaria, di maternalismo profilattico e di liberalismo autoritario. Droni, tracciamento telematico, braccialetti elettronici, geolocalizzazione, riconoscimento facciale, analisi retinale, telecamere termiche, controlli biometrici, screening degli algoritmi, chip sottocutanei, spionaggio dei telefoni portatili: si accetterà tutto, dato che è per il nostro bene.
‘Il respiro dellʼuomo è mortale per i suoi simili’, diceva Jean-Jacques Rousseau. Lʼepidemia ha accelerato lʼinstaurazione del regime della libertà sorvegliata».

E questo è il testo del paragrafo dedicato al morire:
«‘Chi insegnasse agli uomini a morire insegnerebbe loro a vivere’, diceva Montaigne. Nellʼepoca del transumanismo, lʼepidemia ci richiama alla finitezza umana. La morte non è certamente mai stata una prospettiva gradevole, ma in passato la si sapeva indissociabile dalla vita. E soprattutto si riteneva che ci fossero cose peggiori della morte – che valevano, in certi casi, il sacrificio della propria vita per esse. La morte era familiare, adesso è diventata estranea. La si guarda come qualcosa di scandaloso, quasi come una violazione dei diritti dellʼuomo, tanto più che si reputa che non ci sia niente di peggio della morte (né niente dopo, ovviamente). Cʼè solo ormai una ‘fine vita’ nel ronzio delle macchine.
In questa società in via di trasformazione in una grande residenza sanitaria assistita, in cui lʼeconomia produttivista ha fatto dei vecchi degli ‘oggetti di scarto’ (Jacques Julliard), le persone non muoiono più: ‘partono’, ‘ci lasciano’. La negazione della finitezza degli esseri è una delle chiavi del pensiero progressista, che sogna una vita eterna e un futuro infinito. Il Covid-19 ha cambiato anche questo. Il lugubre becchino che ogni giorno contabilizza i decessi in televisione, le inchieste quotidiane sui mortori, ci richiamano alla nostra condizione. Ieri si nascondeva la morte, oggi se ne fa ogni sera il conteggio quotidiano. E il sogno di vincere la morte appare per quello che è: i non-morti sono degli zombi».
Come si vede, pagine da leggere. Per cercare di capire sine ira et studio quello che ci sta accadendo.

Nello stesso torno di tempo, la primavera scorsa, un sociologo italiano, Andrea Miconi, ha formulato delle tesi simili a quelle di De Benoist. Il suo libro –Epidemie e controllo sociale (Manifestolibri, 2020)– è stato segnalato qualche giorno fa dal collettivo Wu Ming con questo titolo:
Epidemie e controllo sociale di Andrea Miconi è un libro importante, togliamolo dal cono d’ombra e dall’oblio. Riporto qui alcune affermazioni tratte da questa lucida e breve recensione (che consiglio di leggere per intero):

«Abbiamo scoperto che è uscito a giugno, il che non toglie assolutamente nulla alla sua attualità, anzi: dimostra senza equivoco che i nodi di fondo sono rimasti gli stessi. Tutti.
Leggendo, abbiamo ritrovato in sequenza tutte le storture ideologiche e comunicative, le strategie di deresponsabilizzazione adottate dalla classe dirigente di fronte alla pandemia, le disastrose confusioni – un bell’esempio di Made in Italy, per fortuna imitato in pochi altri paesi – tra ‘lockdown’ e arresti domiciliari di massa, i capri espiatori, le sanzioni assurde, gli orrori giuridici, amministrativi e mediatici, le deprimenti capitolazioni della “sinistra”, e i meccanismi che hanno cooptato i virologi nella politica-spettacolo trasformandoli in guitti che litigano tra loro nei talk-show. […]
Sei giorni dopo la mancata chiusura in val Seriana il governo, in preda al panico, chiuse le nostre vite. I verbali desecretati dimostrano che la decisione non si basò su alcuna evidenza scientifica. Spallucce pure su questo. […]
In realtà non c’è alcuna prova scientifica che nella tarda primavera la curva dei contagi si sia abbassata grazie a questo fantomatico ‘modello’. Le curve dei paesi europei hanno andamenti molto simili, che si sia adottato un pacchetto di provvedimenti o un altro, che si sia fatto il ‘lockdown hard’ o ‘light’, che le persone siano state blindate in casa (sorvegliate da vicini, polizia e droni) o che abbiano potuto uscire (senza alcuna autocertificazione), che sulla lavagna si sia dalla parte dei ‘bravi’ (dove ci siamo autocollocati noi, a dispetto del record di morti in Europa) o degli ‘inetti’ (il Regno Unito di Boris Johnson). […]
E intanto, pur attendendo la nuova ondata, non si faceva nulla per potenziare davvero la sanità, per potenziare i trasporti ecc. No, si parlava della ‘movida’, a volte inventandola anche dove non c’era, per fare lo scoop. Era evidente che, in caso di guai, si sarebbe di nuovo data la colpa a cittadine e cittadini, sparando nel mucchio, per disperdere la responsabilità orizzontalmente. […]
Le pagine più dure sono quelle sull’orrore mediatico quotidiano, che però viene analizzato come elemento di una ‘tempesta perfetta’:
‘Dall’alto il desiderio delle istituzioni di nascondere le responsabilità per la gestione fallimentare dell’epidemia; dal basso, la deriva verso la delazione di una maggioranza di persone impaurite; nel mezzo, la passione dei giornalisti per lo stereotipo, e il loro compiacimento per gli indici di ascolto che salgono, di qua, e per le battute paternaliste dei potenti di turno, di là’».

La tragedia che stiamo vivendo è dunque una messa in opera radicale e pervasiva di quella biopolitica nella quale Michel Foucault ha visto la cifra e il senso del potere contemporaneo. Un potere che dice di parlare in nome della salute e che invece contribuisce in modo determinante agli effetti mortali di un virus.

 

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