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Venerazioni

Based On a True Story
(Titolo italiano: Quello che non so di lei)
di Roman Polanski
Francia, Belgio, Polonia, 2017
Con: Emmanuelle Seigner (Delphine Dayrieux), Eva Green (Lei), Vincent Perez (Francois), Dominique Pinon (Raymond)
Trailer del film

Come tutti i sentimenti umani, anche l’ammirazione, la devozione, la venerazione possono condurre a esiti distruttivi se in essi non vige la misura. Vale per la devozione d’amore (errore assai grave essere in amore senza misura ma che amore è se si pone dei limiti, se ha delle misure?) E vale per l’ammirazione intellettuale. Di solito gli esiti si limitano alla dipendenza da un pensiero, un libro, un autore; alla ripetizione di ciò che altri fanno, scrivono, a ciò che sono; all’imitazione passiva insomma (che è assai lontana da ogni ricezione feconda).
Nella società dello spettacolo a costituire oggetto di ammirazione, devozione, venerazione sono soprattutto i morti viventi che appaiono in televisione (nella miriade di programmi spazzatura che intessono i palinsesti e che non nomino poiché non lo meritano) e gli atleti; da noi soprattutto i calciatori, gli allenatori e le loro squadre, che infatti appena cominciano ad andar male, a non essere all’altezza delle attese dei tifosi, diventano oggetto di rifiuto, disprezzo e violenza (per chi conosce il calcio, nascono allora formule come «Allegriout», «Pioliout» et similia). A volte diventano oggetto di venerazione anche degli scrittori, soprattutto narratori. E la prima reliquia da ottenere è l’autografo sui libri oggetto di stima, magari letti e riletti tante volte.
Così comincia Based On a True Story, titolo ovviamente assai più pregnante della scialba versione italiana. Comincia con una lunga sequela di persone che si rivolgono alla cinepresa con le richieste più appassionate e veneranti. Dall’altra parte della cinepresa c’è Delphine Dayrieux, autrice di un romanzo di grande successo che racconta la vita di sua madre. Tra i lettori in cerca di autografi appare anche Elle, Lei, una giovane donna educata e affascinante. Elle e Delphine si incontrano di nuovo in modi apparentemente casuali. In crisi di ispirazione e in difficoltà esistenziali, Delphine si affida sempre più alla giovane amica, che di mestiere dice di fare anche la ghostwriter, il negro, per altri scrittori e soprattutto per celebrità appunto televisive e cinematografiche. C’è qualcosa di inquietante in questa persona, qualcosa che emerge inesorabile dai racconti della sua vita, dalle sue azioni, dai suoi sguardi. L’esito sarà naturalmente una lotta mortale tra le due donne.
I thriller di Polanski sono questo. Essi accadono nel corpomente prima che nei contesti, quasi sempre del tutto ordinari; nei personaggi, anch’essi comuni; nelle trame, riferite a fenomeni ed espressioni della vita quotidiana. Perché è lì, nei corpimente, che abitano le tensioni, i desideri, la forza e l’orrore.
«Man vergilt einem Lehrer schlecht, wenn man immer nur der Schüler bleibt. Und warum wollt ihr nicht an meinem Kranze rupfen? Ihr verehrt mich; aber wie, wenn eure Verehrung eines Tages umfällt? Hütet euch, dass euch nicht eine Bildsäule erschlage!
Male si ricompensa un Maestro se si rimane sempre soltanto un allievo. E perché non volete strappare la mia corona? Voi mi venerate: ma che cosa accadrebbe se un giorno la vostra venerazione crollasse? State attenti che non sia una statua a schiacciarvi!»
(Nietzsche, Also sprach Zarathustra, parte prima, «Von der schenkenden Tugend», 3; «Della virtù che dona», 3)

La seduzione

Ovidio: seduzione e felicità
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
3 ottobre 2023
pagine 1-5

Nell’Ars amatoria Ovidio ha tra i suoi obiettivi descrivere un’esperienza razionalizzata dell’amore, nella quale il sentimento è presente, certo, ma in funzione decisamente subordinata al gioco, al piacere, al desiderio e alla finzione. L’«erotodidassi» è un progetto esistenziale, politico e teoretico di controllo del sé che però non significhi affatto rinuncia ma condizione per una soddisfazione ancora più grande, per un piacere più consapevole, per una forma che eviti sempre dismisura e volgarità e si esplichi nel tessuto quotidiano delle relazioni come eleganza e rispetto reciproco.
Raffreddando con la razionalità la passione amorosa nel momento stesso in cui ne celebra i piaceri e la forza, Ovidio mostra in che misura siano fecondi l’atteggiamento e il lavoro filosofici nel cercare di rendere gli umani quanto più possibile saggi e liberi.

[Foto di Anne Nygård su Unsplash]

Ntorni p’intorni lei annammurari

I Cantori di Carpino
Per amare questa donna
(2004)

Non è la «Tarantella del Gargano», titolo con il quale in altre versioni è per lo più nota. Nella esecuzione e con la voce di Andrea Sacco (1911-2006) il canto Per amare questa donna diventa un sudario magico della passione; un inno sillabato in lingue molteplici, sconosciute e incomprensibili; un puro significante ritmico senza significato che non sia il ritmo stesso che sgorga dalle terre mediterranee, dal mare, da millenarie tradizioni nelle quali il canto è stato uno dei pochi strumenti per accedere al «piccolo rustico paradiso della musica, della danza e dei colori» (Ernesto De Martino, La Terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, a cura di Marcello Massenzio, Einaudi 2023, p. 175).
Nel desiderio rivolto a questa donna c’è qualcosa insieme di felice, di struggente e di ctonio.

Comma dei fari pì amà sta donni?
Di rose dee fare nu bellu ciardini
Nu bellu ciardini
Ntorni p’intorni lei annammurari
Di prete preziosi e ori fini
Mezzo ce la cava na brava funtani
Na brava funtani
E ja ja ca corri l’acqua surgentivi
L’acqua surgentivi
Ncoppa ce lu mette n’auciello a ccantari
N’auciello a ccantari
Cantava e repusava: bella diceva
Pì voi vò addivintare un aucello
Pe farimi nu sonno accanto a voi bella madonna
Me l’ha fatto annammurà
La cammenatura e lu pparlà
Si bella tu nun ci ivi
Annammurà nun me facivi.
Ah pi nciuè
Sta ncagnata che vuò da me?
Mammeta lu ssape e tu vò dice pure a tte.

[Come devo fare per amare questa donna? / Di rose devo fare un bel giardino. / Tutto intorno per innamorare lei / Di pietre preziose e oro fino / In mezzo ci metto una bella fontana / Dove scorre l’acqua sorgente / Sopra ci metto un uccello a cantare / Cantava e riposava: bella diceva / Per voi sono diventato un uccello / Per farmi un sogno accanto a voi bella madonna / Mi ha fatto innamorare / La sua andatura e il suo parlare / Se bella tu non ci andavi / Innamorare non mi facevi / Ah pi nciuè / Questa arrabbiata che vuole da me? / Tua madre lo sa e lo voglio dire pure a te]

Medea, la maga

Teatro Greco – Siracusa
Medea
di Euripide
Traduzione di Massimo Fusillo
Scene di Marco Rossi
Costumi di Giovanna Buzzi
Con: Laura Marinoni (Medea), Alessandro Averone (Giasone), Debora Zuin (nutrice), Francesca Giochetti (prima corifea), Roberto Latini (Creonte), Luigi Tabita (Egeo)
Regia di Federico Tiezzi
Sino al 24 giugno 2023

È un male per gli umani l’amore. Questa verità antica e discussa viene enunciata da Medea, che non parla di sé soltanto ma degli effetti universali e spesso nefasti che un sentimento di possesso così esclusivo comporta e produce. Medea è una maga dei veleni e del linguaggio. Sa porsi a un livello dialettico assai alto nel confronto retorico con Giasone durante il quale i due sposi cercano di sovrastare l’uno le ragioni dell’altro con le proprie. E sono ragioni tutte razionali, ragioni tutte etiche. Anche questo fa la grandezza del filosofo/drammaturgo Euripide: aver reso inestricabile nei suoi testi la mescolanza tra il più raffinato ragionare e la più estrema violenza fisica, in una guerra dialettica e materica che soltanto nei Greci ha potuto giungere a unità.
Mentre i moderni hanno separato del tutto la razionalità diventata cartesiana e il sentimento diventato romantico, in Euripide si tratta di due aspetti della stessa struttura, di due modi d’essere che transitano senza posa l’uno nell’altro e che non costituiscono dunque – come vorrebbe Nietzsche – la fine della tragedia ma forse, al contrario, il suo più splendente e oggettivo inveramento.
«Selvaggia, totale, cieca e illuminata, feroce, sapiente delle passioni. […] Questo è Medea. Intrisa di un sentimento potente, la vendetta. Medea è tale passione fatta carne, intelligenza, azione. Fatta gioia» (Chronos. Scritti di storia della filosofia, p. 51).
Una gioia tanto sicura quanto inquieta, tanto incerta quanto alla fine solare mentre sul carro celeste che la porta verso Atene Medea rivolge all’annichilito Giasone, al quale ha ucciso i due figli con lui generati, parole di saggezza e di disprezzo:
«Alle tue parole potrei certo opporre lunghe repliche, se il padre Zeus non sapesse sia quello che avesti da me, sia quello che m’hai fatto tu. Non potevo permettere che tu, spregiato il letto mio, te la godessi allegramente, facendoti beffe di me, né che la tua sposa regale e Creonte, che a te la diede in moglie, mi cacciassero via da questa terra impunemente. Dopo questo dì pure, se vuoi, che sono una leonessa o la Scilla che sta lungo il Tirreno: in ogni caso t’ho colpito al cuore (τῆς σῆς γὰρ ὡς χρῆν καρδίας ἀνθηψάμην)» (v. 1360, trad. di Filippo Maria Pontani).
E al cuore da millenni vengono colpiti anche gli spettatori e i lettori di questa vicenda estrema, alla quale la traduzione di Massimo Fusillo offre un linguaggio immerso nella contemporaneità e ricco di riferimenti anche impliciti; Conrad ad esempio, che in Hearth of Darkness così descrive un’altra estrema forza umana e materica: «His stare […] was wide enough to embrace the whole universe, piercing enough to penetrate all the hearts that beat in the darkness. He had summed up -he had judged. “The horror!”»  (Dover Publications, New York 1990, p. 65) .
Non è casuale o frutto soltanto di scarsa educazione teatrale se in occasione di questa rappresentazione siracusana da un certo momento in poi gli spettatori, per lo più folle di studenti medi e liceali, abbiano cominciato ad applaudire quasi a ogni discorso dei personaggi. Era anche un tentativo (inconsapevole, ovviamente) di neutralizzare con la banalità e la familiarità dell’applauso l’orrore al quale stavano assistendo.

Invidia

Quella strana invidia del sempre per l’effimero
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
14 marzo 2023
pagine 1-2

L’invidia non riguarda l’altro – che ne costituisce una semplice occasione – ma concerne il sé, più esattamente riguarda l’autorappresentazione che la persona si fa della propria identità, natura, capacità e limiti.
Il φθόνος, l’invidia che le divinità nutrono verso gli effimeri rispetto al sempre che invece esse sono, è determinata non dalla forza o dalla felicità, che i divini naturalmente possiedono in modo incomparabile rispetto a noi, ma dalla δύναμις, dalla potentia, dalla possibilità di migliorarsi, evolvere dallo stato attuale, diventare altro.

Un amore

Hannah e Martin, tra le lettere il segreto di un amore
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
23 marzo 2023
pagine 1-5

Heidegger sapeva che «nonostante tutto, a prescindere dalla durata della mia vita personale, ho molto tempo» (lettera n. 68 di M.H., 15.9.1950). Una donna meravigliosamente intelligente, politicamente scorretta, una donna innamorata di Martin Heidegger sino alla fine dei suoi giorni, dà al filosofo conferma della unicità e grandezza del cammino di pensiero da lui intrapreso, percorso, costruito: «sai già da solo che non ci sono tuoi pari» (lettera n. 133 di H.A., 28.7.1971).

Sono contento di aver avuto l’occasione di scrivere sull’Epistolario tra Hannah Arendt e Martin Heidegger. Un documento tradotto in italiano da Einaudi e che consiglio a coloro che sanno (e a quanti desiderano saperlo) che la filosofia costituisce anche la pienezza della vita, delle passioni, dei corpi, della solitudine, delle relazioni, della gioia.

Furia e misericordia

Decision to Leave
(Haeojil Gyeolsim)
di Park Chan-wook
Corea del Sud, 2022
Con Hae-il Park (Jang Hae-joon), Wei Tang (Song Seo-rae)
Trailer del film

Un giovane ispettore della polizia di Seoul – «il più giovane ispettore della Corea» – non è convinto che un uomo precipitato da una montagna si sia ucciso, sospetta della giovane moglie, la interroga, la pedina, la desidera. Song Seo-rae ha infatti un’innocenza conturbante e una bellezza discreta e implacabile, assai diversa dalla gelida lucentezza della moglie dell’ispettore, ipersalutista e iperigienista. Nonostante i sospetti, Hae-joon deve ammettere che Seo-rae è innocente; il caso viene archiviato e può cominciare a frequentarla non più da poliziotto. Ma le vie del fato sono molteplici e il passato della donna è enigmatico. La vicenda si concluderà su una spiaggia bellissima – come tutto ciò che in Corea non è costruito dagli umani -, con protagonista l’alta marea dell’oceano e con la sua potenza di tutto ricoprire.
Park Chan-wook trasforma la propria poetica barocca ed estrema, virando verso una classica storia d’amore, che conserva però la forza, la complessità e la violenza del suo cinema.
La ferocia di Sympathy for Mr. Vengeance, Oldboy, Sympathy for Lady Vengeance; l’efferatezza manieristica e interiore di Stoker; la narrazione fine a se stessa di Mademoiselle  mutano qui in una vicenda romantica di amore e di morte, nella quale lo stile è sempre il fondamento dello sguardo e degli eventi.
Quando, ad esempio, il protagonista pensa si trova immerso con tutto se stesso nei luoghi che pensa, che ricorda, che osserva da lontano, come se la mente avesse la potenza di incarnarsi dentro gli spazi che immagina.
Il sangue scorre sempre abbondante ma è come se stillasse tutto dallo sguardo inquieto della donna, dalla sua storia di furia e di misericordia, dal suo amore totale e sensibilissimo per quel giovane uomo.
Dal film si esce con la sensazione che i sentimenti umani siano davvero un distillato di verità e di inemendabile menzogna.

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