[La riflessione che segue è frutto dello scambio con i miei studenti Selenia Anastasi, Marcosebastiano Patanè (autore della foto qui sopra, che ritrae il tempio di Segesta) e Noemi Scarantino, che hanno partecipato al Festival della Filosofia di Castellammare del Golfo. Li ringrazio per aver discusso, ampliato e arricchito una prima versione del testo]
Paura. È un sentimento e comportamento filogeneticamente prezioso perché consente alle specie viventi di evitare situazioni e rischi che risulterebbero rovinosi, mortali. Ma è anche un sentimento e comportamento che può paralizzare la vita, perdere il momento propizio, impedire la gioia.
Ho percepito questa paura in alcuni momenti della discussione che si è svolta sulle due relazioni che ho tenuto al Festival di filosofia di Castellammare del Golfo. Non parlo, naturalmente, della condivisione esplicita e a volte entusiastica delle prospettive che ho cercato di sostenere ma di un filo rosso di neutralizzazione che mi è sembrato emergere in vari interventi, anche in alcuni di aperto apprezzamento. Neutralizzazione della potenza dionisiaca dei sentimenti umani; neutralizzazione della nostra evidente, pervasiva, profonda, costitutiva animalità.
È come se la forza animale delle nostre passioni si aprisse quale baratro davanti all’andare quieto e ordinato dei giorni. È come se il Grande Altro che impone e richiede il controllo delle nostre estasi amorose fosse stato davvero e fino in fondo introiettato dai corpimente sino a farlo coincidere con la propria persona. È come se l’antica paura degli animali che siamo fosse per noi una condizione di identità tramite la separazione del nostro βίος dalla ζωή che tutti i viventi accomuna. La passione amorosa è una passione animale che si esprime nelle forme biologiche e simboliche della specie umana. Noi filiamo i nostri amori come il ragno fila la propria tela, con la stessa tenacia, intensità, teleologia. L’obiettivo è in entrambi i casi nutrire il corpomente in vista della pienezza dello stare al mondo.
Quella amorosa è dunque una passione naturale e profonda, una passione necessaria ed ermeneutica, una passione specchio, una passione squilibrata nella relazione, solitaria e universale. Una passione linguistica e temporale, una passione semantica e iconica. Una passione innocente e infinita. Una passione che trasforma il tempo profano nel tempo sacro della festa dei corpi. ὕβϱις non è necessariamente e soltanto l’estremo abbandonarsi alla passione amorosa e il ritorno all’animalità ma è anche e specialmente il voler todo modo respingere e dominare questi due aspetti fondamentali di ciò che siamo, con l’obiettivo di attenersi a valori, a etiche, a impauriti pudori che snaturano la nostra intima essenza. La ὕβϱις per eccellenza è in realtà il rifiuto della dimensione dionisiaca poiché, come mostra la tragedia greca, alla fine Dioniso vince sempre.
Di fronte alla struttura animale e sacra della passione amorosa, alcune reazioni hanno utilizzato come strumento di sterilizzazione l’armamentario dell’etica e i concetti della psicologia. L’animalità amorosa è invece al di là del bene e al di là del male, è oltre la psiche perché affonda nei ritmi ancestrali della terra dalla quale gorgogliamo.
La paura si esprime anche come diffidenza, disillusione, arrendevolezza. La passione amorosa è invece simile a una disobbedienza civile, è espressione di una ribellione al Grande Altro, ribellione che intravede una forma di esistenza e relazione oltre l’ordine imposto dalle norme religiose, dal genere sessuale, dalla condizione sociale, dall’età e dalle circostanze.
Quelli vissuti a Castellammare con gli studenti e con i miei affezionati amici -che incontro sempre con gioia e che ringrazio per ciò che ogni volta mi donano- sono stati giorni assai belli di prati, di mare e di templi. Giorni intensi di pensiero e di confronto. Giorni piacevoli di camminate e di cibo. Giorni fecondi anche perché mi hanno ulteriormente illuminato sulle paure quasi pavloviane degli umani e sul fatto che la filosofia non ha nulla a che fare con l’etica e con la psicologia ma con il mondo, con l’essere. E dunque chi cerca di praticare la filosofia e porla al centro della propria esistenza dovrebbe liberarsi dall’etica e dalla psicologia e dire -se riesce- l’ontologia, il suo flusso, il divenire e la potenza.