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Eurofollie

Una conferma della natura criminale dell’Unione Europea è che ciò che non si poteva fare per salvare la sanità, i bambini, gli anziani, la formazione scolastica e universitaria, i trasporti, il lavoro (in Grecia e in tutta Europa) è ora legittimo, richiesto e voluto per continuare una guerra e incrementare il militarismo, per distruggere in tal modo le risorse e le vite dei cittadini europei.
Cittadini che sembrano per la più parte passivi, rinchiusi nella loro bolla televisiva, tanto che a volte ho il cattivo pensiero che non mi dispiacerebbe vedere andare a morire in Ucraina i figli degli italiani, dei tedeschi, dei francesi, dei danesi e degli altri che hanno affidato le loro esistenze a un ceto politico così sciocco e così folle come quello che pensa seriamente che la Russia voglia invadere l’Europa e che ha fiducia nel governo di Ursula von der Leyen, personaggio che sta al di là di ogni giudizio, di ogni razionalità, di ogni decenza.
Il fatto è che i decisori politici liberali che governano l’Europa e la UE sono ormai affetti da una dissonanza cognitiva, da un distacco così inaudito dal reale, che se non verranno fermati condurranno il Continente all’autodistruzione.
Questi decisori politici pensano e agiscono secondo l’antico principio colonialista, con la convinzione di essere gli unici detentori della Civiltà, del Bene e della Verità. Una convinzione che ha condotto l’Europa al suo trionfo ma che ora la instrada verso la dissoluzione. Contro tale colonialismo va ribadito che gli altri popoli e le altre culture non hanno nessun dovere di conformarsi ai principi liberali e capitalistici, gli altri hanno le loro culture e i loro sistemi.
E invece siamo ormai alla psicopolitica. L’Europa tramonta nella follia. Una patologia che in Italia è stata di recente testimoniata da quanti hanno scoperto il patriottismo per continuare a danneggiare i cittadini, per ridurli alla miseria e alla morte. E che sono scesi in piazza per chiedere più armi, il che vuol dire meno servizi, meno sanità, meno scuola e formazione, meno trasporti. Si tratta di un evidente caso di masochismo collettivo. Un masochismo ben stimolato e guidato dai giornalisti in generale e in particolare da quelli del gruppo GEDI, come la Repubblica che è proprietà degli Elkann-Agnelli produttori di armi che intendono convertire le loro fabbriche di automobili in fabbriche appunto di armi.
A 110 anni dalle piazze che nel 1915 reclamarono e ottennero la sciagurata partecipazione dell’Italia alla Prima guerra mondiale tornano le piazze interventiste guidate da bolsi e ormai grotteschi personaggi del giornalismo, del cinema, della canzone (tutti con redditi consistenti). Piazze incoraggiate dal Partito Democratico e dai suoi satelliti politici e sindacali. Questo è il progressismo del PD, delle piazze asservite ai padroni «europeisti», dei buoni.
Dell’Unione Europea si può dire ciò che afferma Francesco Berni nel suo rifacimento dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo (canto LIII, ottava 60): «Così colui, del colpo non accorto, / andava combattendo, ed era morto».
La condizione affinché l’Europa continui a vivere è che l’Unione Europea e la NATO si dissolvano.

«Chi si fa verme»

E dunque la seconda presidenza Trump sta cancellando le finzioni con le quali la colonia Europa ha giustificato a se stessa la propria servitù agli Stati Uniti d’America.
Ora il dominio del padrone americano appare per come realmente è: brutale, colonialistico, violento. Merito di questo miliardario è aver sollevato il velo – «sfrondato gli allori», direbbe Ugo Foscolo – e posto davanti agli occhi degli europei la verità del dominio e della servitù.
I ciechi non vedono, sennò non sarebbero ciechi, e tuttavia è talmente palese il disprezzo degli USA verso i colonizzati europei da gettare nello sconcerto i ceti dirigenti delle nazioni prone e il corrotto governo  dell’Unione Europea guidato da Ursula von der Leyen. Non si aspettavano proprio di essere ricambiati con il soldo dell’umiliazione, dopo aver fatto in tutto e per tutto gli interessi degli USA, distruggendo l’Europa in una guerra per procura contro la Federazione Russa e persino accettando il sabotaggio del gasdotto NordStream2 che riforniva di gas russo Germania ed Europa a costi molto vantaggiosi.
La psicologia collettiva e la filosofia della storia ci insegnano da sempre che un padrone può ben avvalersi dell’opera dei servi ma naturalmente non li rispetterà mai, proprio perché sono servi.
Tra i Paesi europei l’Italia è particolarmente disprezzata. Nel maggio del 2022 ponevo infatti «una semplice domanda: che cosa ha fatto la Federazione Russa all’Italia? In quali circostanze, modi, azioni ha aggredito il territorio italiano o le sue rappresentanze, ha tradito gli accordi commerciali o politici, ha leso i diritti dei cittadini italiani?»
La risposta è: niente, la Russia non ha fatto niente all’Italia nella sua storia recente. E tuttavia, pur senza aver subìto dalla Russia il minimo affronto o pericolo, l’Italia ha contribuito e sta contribuendo in modo massiccio – militarmente, finanziariamente, politicamente – alla guerra degli USA e della NATO contro la Russia. E questo anche a costo di sottrarre risorse finanziarie (soldi) alla sanità, alla scuola, all’università, ai trasporti. Lo fa il governo Meloni e lo fanno con altrettanto zelo le cosiddette ‘opposizioni’ guidate da quella entità penosa che è il Partito Democratico.
Perché accade? Perché, come spesso nella sua storia, l’Italia e i suoi governi sia di ‘destra’ sia di ‘sinistra’ sono senza onore, il che vuol dire che non fanno gli interessi degli italiani ma quelli dei padroni che guidano tali governi, ridotti a colonie.
«Wer sich aber zum Wurm macht, kann nachher nicht klagen, daß er mit Füßen getreten wird.
Ma chi si fa verme, non può poi lamentarsi d’essere calpestato»
(Immanuel Kant, Die Metaphysik der Sitten – La Metafisica dei costumi [1797], trad. e note di G. Vidari, Laterza, Bari 1973, parte II, I sezione, II capitolo, p. 297).
A proposito di metafore e similitudini etologiche, ha ragione Alberto Capece quando scrive che «la povera Europa strilla e corre senza meta come un gallina senza testa»…
Dolorosa e sostanziale testimonianza di tutto questo è infatti che la stessa struttura politica – l’Unione Europea e le sue articolazioni finanziarie – la quale con Draghi e con von der Leyen aveva per anni escluso categoricamente che si potesse deviare dal cosiddetto «patto di stabilità» per fornire ai cittadini europei i servizi sanitari, scolastico-universitari, pensionistici, dichiara ora che tale ‘patto’ può e deve essere sospeso per riempire l’Europa di armi. Ciò che non si poteva fare per salvare la sanità, i bambini, gli anziani, la formazione scolastica e universitaria, i trasporti, il lavoro (in Grecia e in tutta Europa) è ora richiesto e voluto per continuare una guerra e incrementare il militarismo, per dissipare in questo modo le risorse e le vite dei cittadini europei.
Qui si mostra la reale natura del liberismo e del capitalismo, una natura che è sempre guerrafondaia, sempre distruttiva, sempre antisociale.
E ancora una volta trova conferma la tesi che soltanto dalla dissoluzione dell’Unione Europea potrà forse rinascere la civiltà europea, ora in mano a un ceto dirigente globalista e delirante, un’Europa che mai era stata così politicamente umiliata.

39,4

Il dato politico clamoroso di queste elezioni regionali del febbraio 2023 è l’infima partecipazione dei cittadini al voto. In Lombardia si è recato a votare il 41,6 degli aventi diritto. Nel Lazio il 37,2. La media tra le due regioni è il 39,4. Mai accaduto nella storia repubblicana.
Le cause sono molte ma una delle ragioni è evidente: che senso ha andare a votare se le decisioni politiche che contano, quelle che influenzano ogni altro provvedimento e la vita dei cittadini italiani, non vengono più prese a Roma o a Milano ma a Bruxelles e a Washington?
Perché è esattamente questo che accade da molti anni e in modo sempre più implacabile.
Recarsi a votare non ha più senso poiché, qualunque sia l’esito delle elezioni, le politiche dei governi – regionali o nazionale che siano -continuano a essere le stesse stabilite dai poteri sovranazionali ai quali l’Italia delega sempre più il proprio presente e il futuro. E questo su tutto: leggi e decisioni economiche; privatizzazione totale dei servizi essenziali (sanità, formazione, trasporti); questione dei migranti; guerre delle NATO e degli USA in Europa e contro l’Europa.
Chiunque vinca le elezioni la sostanza della politica italiana non muta, ed è sempre quella che si condensa e invera nell’azione e nel potere della formazione politica che meglio rappresenta e difende gli interessi del globalismo finanziario e culturale: il Partito Democratico. Una formazione politica corrotta, filoatlantica, obbediente in tutto agli Stati Uniti d’America, guerrafondaia, serva della finanza internazionale.
La destra al governo ha le stesse caratteristiche ma con molto meno influenza sul corpo collettivo, sulla stampa, sulla televisione, sulle banche. Sui veri centri del potere.

I nemici dell’Europa

In politica, come nella vita tutta, la prima domanda alla quale rispondere per capire è «Cui prodest? A chi porta vantaggio?». Il sabotaggio del gas russo – e tutta la guerra in Ucraina – porta vantaggi agli Stati Uniti d’America e danni enormi all’Europa e alla Russia. È da qui che bisogna partire.
E proseguire poi con le conferme: chiusura di aziende europee grandi e piccole a causa dei costi energetici; conseguente dilagare della disoccupazione; trasferimento (delocalizzazione) delle maggiori aziende europee negli USA; impoverimento della società europea con problemi relativi persino al riscaldamento invernale; inflazione e crisi economica in Europa e contestuale enorme crescita dei profitti delle aziende USA e del governo di quel Paese.
E soprattutto il rischio di una guerra – convenzionale o nucleare – allargata a tutto il Continente, che segnerebbe davvero la nostra fine.
La conclusione è chiara: i decisori politici europei sono dei veri e propri traditori al servizio di una potenza straniera e nemica, che sta muovendo guerra all’Europa.
Per quanto riguarda in modo specifico l’Italia, la continuità tra il governo Draghi e il governo della draghina non è un problema per Meloni. La quale infatti si rivolge a Zelensky con queste parole, tra le altre: «Sii forte e mantieni salda la tua fede!».
Il sostegno a un regime con simpatie neonaziste può essere coerente per Fratelli d’Italia, ma è clamoroso che lo sia anche per il Partito Democratico e per la sedicente «sinistra», la quale coinvolgendo l’Italia in una guerra insensata e assai rischiosa contro la Russia che nulla ci ha fatto; regalando milioni di euro degli italiani all’Ucraina; contribuendo alla guerra della NATO/USA contro l’Europa dimostra ancora una volta di essere uno zombie insipiente.

Elezioni politiche 2022

Per chi rifletta sulle imminenti elezioni politiche italiane senza ripetere quanto televisioni e giornali dicono e cercando invece di ragionare con un minimo di oggettività su quanto è accaduto nella Legislatura che si chiude, la prima decisione consiste nel non votare – non poter votare – le forze politiche che hanno sostenuto il Governo Draghi: Partito Democratico, Lega, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e altre formazioni minori. Né è possibile votare per l’unica forza parlamentare che apparentemente non ha sostenuto tale governo, vale a dire Fratelli d’Italia, la cui opposizione è stata inconsistente e il cui programma si propone di rafforzare l’elemento centrale che ha guidato l’azione dell’ultimo Governo: la subordinazione in ogni campo alle decisioni degli Stati Uniti d’America, il rafforzamento della NATO, la continuazione della guerra contro la Russia.
Infatti la sottomissione totale agli USA e la continuazione del conflitto tra NATO e Russia in territorio ucraino costituiscono il culmine di un’azione volta a danneggiare l’Europa per eliminare un competitore economico ancora forte in un momento nel quale la potenza statunitense mostra consistenti segni di cedimento rispetto alla Cina, all’India e alla sempre più chiara insofferenza del continente latino-americano nei confronti del suo tradizionale padrone.
Anche quanto accaduto con la vicenda Sars-Cov2 si inscrive in una dinamica di progressivo asservimento del corpo collettivo; di sottrazione di autonomia rispetto alle fonti di informazione governative; di attacco alle libertà della persona; di tramonto dello spirito critico rispetto all’accadere; di trasformazione dell’atteggiamento scientifico nell’atteggiamento opposto, con la ripetizione omiletica di dogmi, prescrizioni, terrori.
Uno degli effetti di questo attacco alle libertà e alla critica è stato l’accoglimento quasi unanime di una guerra le cui motivazioni «democratiche» e di principio sono chiaramente risibili e sono invece strumentali all’impoverimento dell’Europa e dell’Italia. Un Paese in ginocchio a causa del Covid ma al quale si sottraggono risorse finanziarie, si impone l’aumento dei costi dell’energia, si infliggono chiusure di aziende, si impoveriscono scuole e università, si prospetta un inverno di fame e di freddo pur di finanziare il Governo dell’Ucraina con miliardi di euro provenienti dall’Italia sotto forma di armi, donazioni, cooperazione, prestiti a fondo perduto. Viene così inflitto alla società italiana un danno enorme, qualcosa di veramente inaudito.
In poche parole: il Governo Draghi è stato ed è un nemico dell’Italia; ogni sua continuazione sotto altri nomi e sigle – come quelli del Partito Democratico o di Fratelli d’Italia e i loro rispettivi alleati – sarebbe una sciagura che gli italiani pagheranno con l’impoverimento economico e culturale più consistente dalla Seconda guerra mondiale in avanti, mediante l’aggravarsi – ad esempio – del dissesto idrogeologico (con le relative catastrofi ‘naturali’); con la mancata manutenzione e ricostruzione delle aree compromesse e distrutte; con gli stipendi e le pensioni al limite della sopravvivenza; con la gravissima situazione sanitaria, con ospedali chiusi o ridimensionati e dove in un Pronto soccorso si può attendere per decine di ore prima di essere visitati.
Per chi intende votare, è dunque necessario rivolgersi a liste e a proposte politiche che non sono state complici del recente disastro. La più convincente tra queste formazioni a me sembra Italia sovrana e popolare. Me lo fanno pensare la partecipazione ad alcune sue manifestazioni a Milano, la modalità di comunicazione – che non attacca altre forze alternative ma si volge contro i partiti dell’attuale Governo – e soprattutto un’attenta lettura dei suoi programmi.

Pubblico dunque qui sotto il pdf del programma di questo partito, con le mie evidenziazioni e anche qualche perplessità.

Italia Sovrana e Popolare / Programma politico

Provo comunque a riassumere le proposte più convincenti, indicando in quale dei 10 punti del documento si trovano:

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  • Chiediamo il ripristino del principio di autodeterminazione al trattamento sanitario da parte del paziente e della libertà terapeutica in scienza e coscienza da parte del medico.
  • Chiediamo il ritorno in ogni settore lavorativo e in ambito scolastico a condizioni normali di operatività, con l’abbandono di tutte le misure straordinarie introdotte all’insegna dell’emergenzialismo sanitario (punto 2).

Il sistema sperimentato col green pass deve restare un ammonimento a futura memoria su ciò che non deve mai più accadere.

  • Chiediamo di imporre il divieto assoluto per le banche e i gestori di portafogli elettronici di chiudere i conti dei clienti o rendere indisponibili i loro fondi, se non in seguito a un’ordinanza della magistratura.
  • Chiediamo un’attenta valutazione, e un freno, a tutti i processi di estensione della sorveglianza sulla popolazione attraverso l’accesso ai dati su internet e in generale nella rete delle telecomunicazioni (punto 5).
  • Chiediamo la riconversione degli allevamenti intensivi perché forieri di farmacoresistenza, grave inquinamento, carni di bassa o nulla qualità, maltrattamento animale (punto 8).

La scuola non dev’essere un’azienda e non deve formare né consumatori né ingranaggi sociali, ma cittadini.

    • Chiediamo l’abbandono del modello di scuola-azienda, la fine della cosiddetta “autonomia scolastica” che ha supportato tale modello aziendale, e l’abolizione della figura del dirigente scolastico-manager.
    • Chiediamo l’abbandono della “didattica per competenze” e dell’alternanza scuola-lavoro, che sottrae sterilmente (quando non pericolosamente) centinaia di ore alla didattica e allo studio.
    • Chiediamo la sburocratizzazione del lavoro degli insegnanti, scolastici e universitari, chiamati sempre di più a compiti organizzativi ed amministrativi e con sempre meno risorse da dedicare a studio e didattica. Abolizione dell’Invalsi.
    • Rivendichiamo fermamente la libertà d’insegnamento, come da dettato costituzionale, libera dai condizionamenti delle pressioni economiche e dai dettami del politicamente corretto (punto 9).
    • Promuoviamo una cultura ancorata alla natura e alla storia, che respinga agende di ispirazione transumanista, relativistica e nichilista, che prenda le distanze da progetti di ingegneria genetica quanto di ingegneria sociale (punto 10).

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È, questa, soltanto una selezione di argomenti, quelli più vicini alla mia sensibilità e ai miei interessi. Invito a leggere il programma per intero, un testo peraltro breve e assai chiaro.
Il 25 settembre mi troverò in Sicilia e le attuali leggi non mi permettono di votare fuori dalla città di residenza. Invito dunque i miei amici e i lettori che condividono almeno in parte quanto qui ho scritto a votare anche per me. Grazie.

Il volto, la morte, i giovani

[Questo testo è stato pubblicato su corpi e politica e girodivite.it]

«Il volto si sottrae al possesso, al mio potere. Nella sua epifania, nell’espressione, il sensibile, che è ancora afferrabile, si muta in resistenza totale alla presa. Questo mutamento è possibile solo grazie all’apertura di una nuova dimensione. […] L’espressione che il volto introduce nel mondo non sfida la debolezza del mio potere, ma il mio potere di potere. Il volto, ancora cosa tra le cose, apre un varco nella forma che per altro lo delimita. Il che significa concretamente: il volto mi parla così e così mi incita a una relazione che non ha misura comune con un potere che si esercita, fosse’anche godimento o conoscenza. E però questa nuova dimensione si apre nell’apparenza sensibile del volto».
(Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito [Totalité et infini, 1971], trad. di A. Dell’Asta, Jaca Book, Milano 1980, p. 203).

Così Lévinas, così la filosofia consapevole che l’interazione umana accade in un corpomente la cui espressione più immediata e più potente è il volto. Che non è una faccia come semplice somma di mento, labbra, naso, zigomi, occhi, fronte, ma è appunto volto come unità olistica permeata di apertura, curiosità, attenzione.
Che cosa rimane del volto umano quando – secondo quanto dichiarato da un ministro della Repubblica italiana – la maschera/museruola «deve diventare un’abitudine, come il casco»? Che cosa hanno da dire i lévinasiani, che cosa hanno da dire i filosofi su questo totale impoverimento del volto umano e dunque dell’umana vita?

«La morte è un supplizio nella misura in cui non è semplicemente privazione del diritto di vivere, ma occasione e termine di una calcolata graduazione di sofferenze».
(Michel Foucault, Sorvegliare e punire [Surveiller et punir: Naissance de la prison, 1975] trad. di A. Tarchetti, Einaudi, Torino 1976, p. 37).

E quale sofferenza più ferocemente inflitta a degli innocenti del lasciarli morire da soli, nella disperazione della fine, nella distanza dai propri affetti e figli, nel gelo di istituzioni geriatriche sbarrate a chiunque non sia tra i controllori della vita che muore mentre muore piangendo e soffocando senza che nessuno stringa la mano del morente?  E tutto questo, con feroce ironia, per «difendere i nostri anziani».
Secondo Platone la filosofia è anche un prepararsi a morire; per Heidegger l’esistenza è Sein-zum-Tode, un essere per la morte; una delle branche della filosofia si chiama tanatologia. Anche per questo è un indegno e barbarico orrore impedire ai familiari di assistere i propri anziani che stanno morendo. Nessuna civiltà era arrivata a tanto, neppure il Terzo Reich. Ci è arrivata l’Italia del Partito Democratico, del Movimento 5 Stelle, di un Ministro della Salute espresso da ‘Liberi e Uguali’, del devoto di Padre Pio Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E dei loro consiglieri tecnico-scientifici, il principale dei quali non è neppure un virologo ma uno zanzarologo.
Che cosa hanno da dire su tutto questo i foucaultiani, i filosofi, gli intellettuali critici, i sessantottini, i progressisti? Tutti riconvertiti al terrore e al servaggio? Tutti transitati da Lévinas e Foucault all’anima nera del romanzo di Manzoni? Così infatti risponde Don Abbondio al Cardinale Federigo: «Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire» (I Promessi Sposi [1840], a cura di G. Getto, Sansoni, Firenze 1985, cap. XXV, p. 606).

I vecchi vengono dunque abbandonati alla propria solitudine, circondati -non sempre– da ‘operatori sanitari’ ma lontani dai loro affetti e quindi dalla vita.
I giovani vengono criminalizzati mediante una delle tante parole/luoghi comuni che servono a parlare senza  pensare: movida. Vengono quindi prima invitati e poi costretti a non uscire di casa, a tornare a ore debite alla proprie dimore, a non stare insieme. E vengono indicati e sospettati come gli «egoisti untori» dell’epidemia.
Nel trattamento rivolto ai vecchi e ai giovani serpeggia dunque (per chi voglia vederla) una concezione sacrificale dell’esistenza, un memento mori non certo declinato come consapevolezza della nostra finitudine ma come sentimento di terrore e di colpa. Una concezione sacrificale che mostra – in un modo che per la storia della cultura è di grande interesse ma che nel tessuto quotidiano diventa solo angoscia – la permanenza delle più medioevali concezioni della fede cristiana: l’esistenza come peccato, la vita quotidiana come espiazione, le malattie come castigo, la rinuncia come soluzione. E tutto questo imposto non più da preti e teologi ma da politici e biologi.
A che cosa si è ridotta la vita, della quale tutti si ergono a difensori? L’elemento ascetico gorgoglia sempre nelle società umane ed è stato capace di riapparire con tutta la sua forza anche in una società apparentemente disincantata e produttivistica. Questo è il confine della biopolitica, oggi.

«Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo»

Piccolo Teatro Paolo Grassi – Milano
Con il vostro irridente silenzio
Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro

Ideazione, drammaturgia e interpretazione Fabrizio Gifuni
Sino al 17 ottobre 2020

Nei Commentaires sur la Société du Spectacle Guy Debord si occupa ripetutamente delle Brigate Rosse e del caso Moro. Lo sfondo della sua lettura è lo Spectaculaire Intégré, che allora e ancor più oggi s’impone ovunque, perfettamente coeso con ogni forma di discorso pubblico, struttura istituzionale, modo di produzione. Esso si caratterizza per l’effetto combinato di «cinq traits principaux, qui sont: le renouvellement technologique incessant; la fusion économique-étatique; le secret généralisé; le faux sans réplique; un présent perpétuel» (Gallimard, 1988, cap. V, p. 25). Una segretezza generalizzata e il falso senza risposta, un segreto pervasivo diffuso, incompiuto o manipolato, costituiscono quindi alcuni dei caratteri principali di una società all’apparenza trasparente, dove le informazioni arrivano incessanti, innumerevoli e sui più diversi argomenti. Ma sull’essenziale il segreto permane.
Perché Aldo Moro sia stato ucciso dalle Brigate Rosse quando la sua liberazione sarebbe stata una formidabile arma contro lo Stato italiano, è un segreto sul quale si è edificata la storia dell’Italia dal 1978 a oggi. Molte sono le ipotesi -la più lucida sino allo splendore è quella di Leonardo Sciascia– ma credo che basti semplicemente leggere le centinaia di pagine che Moro scrisse dal giorno del suo rapimento, 16 marzo 1978, a quello della sua morte, 9 maggio 1978, per comprendere molto, se non tutto.

Le Lettere di Moro e il suo Memoriale, vale a dire le risposte date ai brigatisti durante il processo che questi gli intentarono, diventano attraverso Fabrizio Gifuni il corpo di Moro, la sua carne, il suo dolore, la sua lucidità, la sua disperazione. La sua voce.
Una voce che parla ancora, che si è stesa sui suoi reali assassini come una coltre di maledizione negli anni. «Io ci sarò sempre» scrisse infatti ai dirigenti della Democrazia Cristiana mentre annunciava di voler uscire dal Partito. Ho scritto reali assassini perché gli uomini e le donne delle Brigate Rosse, qualunque cosa essi abbiano detto e dicano per conservare un senso alle loro vite e alle loro illusioni, furono strumento di ben altre potenze. Quanto accadde in via Fani a Roma quel 16 marzo 1978 non lo si deve certo a dei soggetti che mostrarono poi per intero la loro piccola sostanza. Immagini fotografiche e inchieste successive mostrano che in quella strada c’erano esponenti dei servizi segreti –vale a dire dello Stato italiano-, membri di organizzazioni mafiose, emissari di potenze straniere. E tutto questo per impedire che il più forte partito comunista dell’Occidente potesse governare il Paese insieme alla Democrazia Cristiana. La data, il 16 marzo 1978, fu emblematica perché quel giorno un governo di soli democristiani, guidato da Andreotti ma con il fondamentale sostegno esterno del Partito Comunista, si sarebbe dovuto presentare alle Camere per ottenerne la fiducia. Gli statunitensi, in testa Henry Kissinger (ancora vivo, oggi ha 97 anni), avevano esplicitamente avvertito/minacciato Moro, se si fosse arrivati a tanto. E in quel caso non minacciarono invano. Dal Quattrocento in poi l’Italia è terra di guerre e di conquiste.

La voce di Moro/Gifuni riverbera sul palco del Piccolo Teatro soprattutto in due direzioni.
Per dire la struggente disperazione di un uomo che ha ormai compreso che non rivedrà più i propri familiari.
Per ricapitolare la storia dell’Italia repubblicana e indicare con chiarezza alcuni dei suoi caratteri principali:
-i Partiti che furono finanziati in modo nascosto e illegale dagli Stati Uniti d’America;
-le istituzioni dello Stato che organizzarono la strage di Piazza Fontana con la manovalanza di gruppi neonazisti;
-gli industriali che riempivano anch’essi di soldi i deputati di maggioranza e opposizione affinché si facessero portatori dei loro interessi, come continuano a fare oggi, basta guardare i due casi del Treno ad Alta Velocità Torino-Lione e della vicenda Autostrade/Benetton;
la questione palestinese e l’insofferenza degli USA/Israele verso le scelte italiane in questo campo;
-il peso del banchiere mafioso Michele Sindona nei rapporti con gli USA e nelle scelte dei governi italiani;
-la distorsione della democrazia causata dalla concentrazione in poche mani dei giornali e dell’informazione. 

Moro non si tira fuori da tutto questo e ammette di avere le proprie colpe ma si rifiuta di essere l’unico a pagare per tutta la Democrazia Cristiana e per lo Stato italiano. Così scrisse a Zaccagnini, Segretario del partito, alla fine di aprile:
«Con il vostro irridente silenzio avete offeso la mia persona, e la mia famiglia, con l’assoluta mancanza di decisioni legali degli organi di Partito avete menomato la democrazia che è la nostra legge, irreggimentando in modo osceno la D.C., per farla incapace di dissenso, avete rotto con la tradizione più alta della quale potessimo andar fieri. In una parola, l’ordine brutale partito chissà da chi, ma eseguito con stupefacente uniformità dai Gruppi della D.C., ha rotto la solidarietà tra noi. In questa cosa grossa, ricca di implicazioni io non posso assolutamente riconoscermi, rifiuto questo costume, questa disciplina, ne pavento le conseguenze e concludo, semplicemente, che non sono più democratico cristiano» [Fonte: Archivi del Novecento – A Benigno Zaccagnini].
Queste sono tesi, materiali e affermazioni che avrebbero potuto davvero colpire «il cuore dello Stato» come i dannunziani delle Brigate Rosse amavano dire. E invece tale ben di dio venne dai brigatisti tenuto nascosto -tranne poche pagine– e il Memoriale venne ritrovato ‘per caso’ solo nel 1990, quando il sistema costruito a Jalta da Churchill, Roosevelt e Stalin era ormai crollato.

Tra gli elementi descritti da Moro il più grave è forse la condizione dell’informazione in Italia. Non può infatti esistere una effettiva democrazia senza una stampa libera, ma stampa e televisione in Italia non sono mai state libere e continuano a non esserlo, come conferma anche l’unanimismo pressoché totale sulla questione dell’epidemia.
Di tale distorsione Moro capì subito gli effetti quando tutta la stampa nazionale attribuì i documenti che inviava dalla prigione a «un Moro che non è più lui; un Moro vittima della sindrome di Stoccolma; un Moro drogato; un Moro persino pazzo». Il timore non era che Moro uscisse morto dalle mani delle Brigate Rosse ma che ne uscisse vivo. E infatti ne uscì morto.
Le Lettere e il Memoriale si incentrano su alcuni nomi di capi democristiani: Taviani, Zaccagnini, Cossiga, Andreotti. Di quest’ultimo Moro delinea uno straordinario e realistico ritratto quando scrive: 

«Andreotti è restato indifferente, livido, assente, chiuso nel suo cupo sogno di gloria. Se quella era la legge, anche se l’umanità poteva giocare a mio favore, anche se qualche vecchio detenuto provato dal carcere sarebbe potuto andare all’estero, rendendosi inoffensivo, doveva mandare avanti il suo disegno reazionario, non deludere i comunisti, non deludere i tedeschi e chi sa quant’altro ancora. Che significava in presenza di tutto questo il dolore insanabile di una vecchia sposa, lo sfascio di una famiglia, la reazione, una volta passate le elezioni, irresistibile della D.C.? Che significava tutto questo per Andreotti, una volta conquistato il potere per fare il male come sempre ha fatto il male nella sua vita?  [il grassetto è mio] Tutto questo non significava niente. Bastava che Berlinguer stesse al gioco con incredibile leggerezza. Andreotti sarebbe stato il padrone della D.C., anzi padrone della vita e della morte di democristiani e no, con la pallida ombra di Zaccagnini, dolente senza dolore, preoccupato senza preoccupazione, appassionato senza passione, il peggiore segretario che abbia avuto la D.C.
Non parlo delle figure di contorno che non meritano l’onore della citazione. On. Piccoli, com’è insondabile il suo amore che si risolve sempre in odio. Lei sbaglia da sempre e sbaglierà sempre, perché è costituzionalmente chiamato all’errore. […]
Eravate tutti lì, ex amici democristiani, al momento della trattativa per il governo, quando la mia parola era decisiva. Ho un immenso piacere di avervi perduti e mi auguro che tutti vi perdano con la stessa gioia con la quale io vi ho perduti. […]
Tornando poi a Lei, On. Andreotti, per nostra disgrazia e per disgrazia del Partito con o senza di voi, la D.C. non farà molta strada. […] Si può essere grigi, ma onesti; grigi, ma buoni; grigi, ma pieni di fervore. Ebbene, On. Andreotti, è proprio questo che Le manca. Lei ha potuto disinvoltamente navigare tra Zaccagnini e Fanfani, imitando un De Gasperi inimitabile che è a milioni di anni luce lontano da Lei. Ma Le manca proprio il fervore umano. Le manca quell’insieme di bontà, saggezza, flessibilità, limpidità che fanno, senza riserve, i pochi democratici cristiani che ci sono al mondo. Lei non è di questi. Durerà un po’ più, un po’ meno, ma passerà senza lasciare traccia. Non Le basterà la cortesia diplomatica del Presidente Carter, che Le dà (si vede che se ne intende poco) tutti i successi del trentennio democristiano, per passare alla storia. Passerà alla triste cronaca, soprattutto ora, che Le si addice.
Che cosa ricordare di Lei? La fondazione della corrente Primavera, per condizionare De Gasperi contro i partiti laici? L’abbraccio-riconciliazione con il Maresciallo Graziani? Il Governo con i liberali, sì da deviare, per sempre, le forze popolari nell’accesso alla vita dello Stato? Il flirt con i comunisti, quando si discuteva di regolamento della Camera? Il Governo coi comunisti e la doppia verità al Presidente Carter? Ricordare la Sua, del resto confessata, amicizia con Sindona e Barone? Il Suo viaggio americano con il banchetto offerto da Sindona malgrado il contrario parere dell’Ambasciatore d’Italia? La nomina di Barone al Banco di Napoli? La trattativa di Caltagirone per la successione di Arcaini? Perché Ella, On. Andreotti, ha un uomo non di secondo, ma di primo piano con Lei; non loquace, ma un uomo che capisce e sa fare. Forse se lo avesse ascoltato, avrebbe evitato di fare tanti errori nella Sua vita. Ecco tutto. Non ho niente di cui debba ringraziarLa e per quello che Ella è non ho neppure risentimento. Le auguro buon lavoro, On. Andreotti, con il Suo inimitabile gruppo dirigente e che Iddio Le risparmi l’esperienza che ho conosciuto, anche se tutto serve a scoprire del bene negli uomini, purché non si tratti di Presidenti del Consiglio in carica».
[Fonte: Archivio del Novecento – Memoriale Moro]

La piena lucidità e la feroce ironia di tali parole testimoniano sino in fondo che cosa Aldo Moro fu e, con lui, la Democrazia Cristiana, che -metamorfizzata ma sempre potente– oggi vive in Forza Italia e nel Partito Democratico, nei suoi dirigenti cattolici, nella grande stampa che accarezza sempre questo Partito, qualunque politica esso decida di attuare.
Il corpo di Aldo Moro sulla scena del teatro milanese vibra nel suo ultimo gesto attraverso le parole inviate alla moglie quattro giorni prima di morire: «Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».
[Fonte: Archivio del Novecento – A Eleonora Moro]
Intanto qui è la tenebra, che tuttavia le parole riescono a squarciare. Le parole di un grande attore e della storia.

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