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Strade

Via Castellana Bandiera
di Emma Dante
Con: Elena Cotta (Samira), Emma Dante (Rosa), Alba Rohrwacher (Clara), Renato Malfatti (Saro Calafiore)
Italia, 2013
Trailer del film

Due automobili si fronteggiano nella stradina di un quartiere popolare di Palermo. Nella prima c’è alla guida una vecchia signora che ha accanto a sé il genero e altri parenti. Stanno per arrivare a casa. Nell’altra ci sono due donne che si trovano lì di passaggio. Una delle due automobili deve fare retromarcia per consentire all’altra di transitare. Ma né l’anziana Samira né Rosa sembrano avere intenzione di lasciare il passo. Rimarranno lì, ferme, tutto il giorno e tutta la notte, osservate, incitate, accusate, sostenute dalla gente del quartiere. Sarà un western, sarà un confronto della donna più giovane con l’immagine della madre detestata, sarà una scommessa sulla quale punta il quartiere, sarà una sfida all’ostinazione più irrazionale eppure sensatissima. Sino alla morte.
Emma Dante conferma la fisicità estrema del suo teatro e della sua opera. In questo suo primo film -dopo tanti capolavori teatrali- la cinepresa sta addosso ai corpi, al sudore, alle mani, ai capelli, agli sguardi, alle spalle. Ritornano l’ossessione della madre e la famiglia come luogo di morte. Un film denso, scabro, espressionista, che raggiunge il suo acme nella scena in cui le due donne urinano confondendo i loro liquidi e nella magnifica corsa finale di tutto il quartiere verso l’auto di Samira. La cinepresa rimane fissa mentre gli umani giungono, la superano, scompaiono, lasciando sulla strada- improvvisamente larga- soltanto il volo e i suoni di alcuni uccelli.

 

Mercedes palermitana

È stato il figlio
di Daniele Ciprì
Con: Toni Servillo (Nicola Ciraulo), Fabrizio Falco (Tancredi Ciraulo), Alfredo Castro (Busu), Giselda Volodi (Loredana Ciraulo), Aurora Quattrocchi (Nonna Rosa), Benedetto Ranelli (Nonno Fonzio), Piero Misuraca (Masino), Alessia Zammitti (Serenella Ciraulo)
Italia, 2012
Trailer del film

Seduto in un ufficio postale di Palermo, un uomo racconta strane storie. Come quella di un ragazzo che uccise il padre a causa di un graffio su un’automobile. Erano gli anni Settanta, Palermo era assolata e sporca. Nicola Ciraulo abitava in un quartiere orrendo e cercava di “campare” la famiglia raccogliendo ferro vecchio. Il figlio primogenito, ormai ventenne, non combina niente; Serenella, la secondogenita, è “la luce dei suoi occhi”. Una luce che viene spenta da una pallottola vagante. Disperato Nicola e disperata la famiglia, sino a quando qualcuno suggerisce che per le vittime di mafia si può ottenere un risarcimento. Dopo una lunga attesa i soldi arrivano. Sono tanti  e Nicola convince gli altri familiari a comprare con una parte del denaro una Mercedes fiammante e superaccessoriata. Da quel momento è l’automobile a diventare la luce dei suoi occhi. Non è semplicemente il “feticismo delle merci”, non è neppure il riscatto di una vita da poveracci mediante un oggetto di lusso, è la cristallizzazione della vita in una cosa, è illusione, autoinganno, disperazione.
Grottesco nei toni, inabissato dentro la bruttezza antropologica e urbanistica, interpretato da attori in stato di grazia -Fabrizio Falco (il figlio), Alfredo Castro (il narratore) e soprattutto un Toni Servillo colmo di volgarità, di energia e di candore-, questo film è simbolico dall’inizio alla fine. Simbologia evidente nella presenza di un uomo vestito di nero, che assiste silenzioso a molte delle scene, e in quella di una bambina diversa dalle altre. Sull’immagine di questa bambina il film si chiude: sola tra i palazzi, davanti a una pozza di sangue, accanto alla carcassa di un’auto bruciata, sotto un cielo livido come quello di alcuni dipinti del Greco.
Niente di straordinario, comunque, sino al quarto d’ora finale nel quale si scatena una tragedia antica e la tensione si placa soltanto nella plumbea solitudine del mondo.

 

Immagini/Realtà

Immagini inquietanti / Disquieting images
Milano – Palazzo della Triennale
A cura di Germano Celant e Melissa Harris
Sino al 9 gennaio 2011

Fotografie. Saranno qualche centinaio. Gli autori sono sparsi per l’intero pianeta. Si cammina tra queste immagini con un crescente senso di orrore. Esse documentano la quotidiana infelicità di tanti umani; le loro passioni estreme; le guerre e le trasformazioni che esse producono nei corpi di chi rimane vivo, oltre all’enorme numero di cadaveri che generano; la vita nei luoghi dominati dal crimine -dal Messico a Palermo-; la sofferenza inflitta dalle donne su altre donne nelle culture che recidono il clitoride alle bambine, come in Indonesia; la violenza dentro la famiglia; l’immensa solitudine di ciascuno.
Nan Goldin ritrae ironicamente uno skinhead vestito comme il faut con accanto la propria figlia tutta linda e ben educata. Elena Dorfman intitola Still Lovers il rapporto tra degli esseri umani e delle bambole erotiche, fotografati mentre si fanno semplicemente compagnia. Donna Ferrato mostra che cosa significhi Living with the Ennemy, con un marito che dà in escandescenze mentre la moglie cerca di nascondergli la cocaina. Robert Mapplethorpe mostra il lato più estremo della propria arte di raffigurare i corpi, giungendo a un risultato pornografico sino all’inguardabile.
Ma nulla è più inguardabile dei morti sfigurati che costellano le tre tappe -dal titolo The Silence– nelle quali Gilles Peress ha scandito i massacri avvenuti nel 1994: The Sin (Rwanda), Purgatory (Tanzania), The Judgment (Zaire); sono foto senza filtro, senza censura, atroci. Zaimaï disvela l’orrore dell’Afghanistan, luogo nel quale le apocalittiche “missioni di pace” hanno portato in ogni angolo le armi più all’avanguardia, hanno raso al suolo il tessuto antropologico e sociale di quelle comunità, hanno indotto persone di tutti i ceti e gruppi a usare dosi massicce di oppio per sopportare ferite e sofferenze. Nina Berman mostra senza infingimenti e retorica le conseguenze delle guerre statunitensi sui soldati americani, tranciati, deturpati, ridotti a fantasmi di se stessi, orribili e segnati per sempre. Letizia Battaglia descrive i cadaveri disseminati dalla mafia a Palermo e la disperazione dei loro familiari. Philip Jones Griffiths documenta i Collateral Damages della guerra in Vietnam, con immagini che non si possono descrivere a parole. Michael Nichols denuncia il Brutal Kingdom, le violenze inutili e terribili che gli umani infliggono ai primati e ad altri animali.
Inquietanti è naturalmente un eufemismo. Mi vergogno di appartenere a una specie che è capace di compiere le azioni e gli eventi che le immagini di questa mostra dicono accadere ogni giorno, qui ora.

I papisti e il potere

L’amico Augusto Cavadi ha pubblicato su Centonove e sul proprio blog un articolo che riferisce della censura immotivata e anticostituzionale esercitata dagli organi di polizia in occasione della visita di Benedetto XVI a Palermo, censura che lo ha toccato anche personalmente. Ho dato ad Augusto questa risposta:

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Io penso e spero che la chiusa del tuo articolo sia ironica.
 Sai meglio di me come da sempre -diciamo almeno da Costantino e Teodosio ma anche prima- l’essenza della chiesa papista sia il potere. Il potere sempre e comunque, il potere esercitato direttamente o attraverso dei prestanome (imperatori, re, deputati dei parlamenti oligarchici e di quelli democratici), il potere todo modo. Il potere anche dei buoni sentimenti che convincono tanti che in fondo preti e suore del bene lo fanno, andando per esempio ad aiutare i bimbi africani. E ignorando invece che l’Africa era un continente tribale dagli equilibri stabili fino a che non ebbe la disgrazia di ricevere la visita della triade mercante-soldato-missionario cristiano.

Senza il potere la chiesa papista crollerebbe in una decina d’anni. I suoi capi -pontefici, cardinali, vescovi- lo sanno benissimo e per questo non accetteranno mai una chiesa come tu e altri la immaginate e chiedete. E hanno ragione loro. Perché senza il potere si dissolverebbe la sua struttura politica ed essa sarebbe fagocitata da altre autorità, come si vede infatti nelle chiese protestanti.
 Oppure si potrebbe pensare -sogno mirabolante, surreale come tutti i sogni ma forse possibile- che a capo di questa chiesa fosse eletto un Marcinkus o uno peggiore, che stringesse legami ancora più forti con le massonerie (a parole condannate dai papisti, ma solo a parole), con le banche mondiali, con le mafie di ogni territorio. A quel punto, infatti, l’essenza malvagia della chiesa romana apparirebbe ancora più chiara. E chiara sarebbe la stoltezza dei suoi fedeli, soprattutto di quelli “progressisti” e quindi illusi complici del male.

Come vedi, quanto accaduto a Palermo non solo è comprensibile ma è anche paradigmatico e necessario poiché del tutto coerente con duemila anni di legame totale con i poteri di ogni risma, con le guerre, con l’oppressione, con l’ingiustizia. Il Regno dei Cieli apparirà anche quando i capi di questa congrega saranno condotti davanti a qualche tribunale per rispondere di crimini contro l’umanità. Quali crimini? Basta sfogliare un qualsiasi manuale di storia per trovare molte risposte.
 L’ultima, ma solo in ordine di tempo, è il sostegno esplicito, costante e convinto a un personaggio come s.b., il quale poi ricambia con la censura totalitaria di cui parla il tuo articolo (oltre che con tante altre regalie finanziarie e sociali).

Rassègnati, caro amico, contro la chiesa papista “non praevalebunt”. Perché dovrebbero essere “le porte degli inferi” a ribellarsi contro se stesse.

Palermo Shooting

di Wim Wenders
Con: Campino (Finn), Dennis Hopper (Frank), Giovanna Mezzogiorno (Flavia), Patti Smith (Se stessa) Milla Jovovich (Se stessa)
Germania-Italia 2008

Düsseldorf. Finn è un celebre fotografo che si divide tra gallerie d’arte, foto di moda, ascolto di musica e profonda solitudine. Da quando è morta sua madre, fa sogni nei quali il tempo diventa liquido, gli orologi si piegano, gli spazi si dilatano o contraggono. Abituato a fotografare ovunque -anche mentre guida- evita per poco uno scontro frontale. La foto scattata in quell’istante raffigura una persona che gli sembrerà di incontrare anche a Palermo, dove si reca per un servizio fotografico. Qui conosce Flavia, pittrice che sta restaurando il Trionfo della Morte di Palazzo Abatellis. Con lei cercherà di capire che cosa davvero gli stia accadendo, chi veramente stia sognando…

Wim Wenders continua il suo personale periplo del mondo. Dopo Tokyo, Lisbona, Berlino, il Texas, immerge questa vicenda tra la sua città natale e Palermo. Senza concedere nulla a promozioni turistiche ma cogliendo l’inquietudine dei luoghi. Palermo Shooting affronta in modo diretto il tema chiave, la morte, e lo fa con espliciti riferimenti a Bergman (Il posto delle fragole, Il settimo sigillo), a Escher e -più nascosti- a David Lynch. L’opera comincia con le mummie della cripta del Cappuccini e ruota intorno al carattere, al corpo, agli incubi del protagonista, presente in ogni scena. Nel ruolo più difficile, un Dennis Hopper misurato ma sempre inquietante. Il film è rischioso perché oscilla di continuo tra il sublime e il ridicolo ma il risultato è di una certa suggestione, soprattutto nell’analisi dell’affresco quattrocentesco e nel modo in cui viene legato all’intera trama

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