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Umano, troppo umano

Metto a disposizione la registrazione audio dell’intervento che ho svolto il 5.11.2019 nel Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania in occasione della presentazione (organizzata dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict) del libro di Selenia Anastasi Verificare di essere umani. Per una teoresi del Transumanesimo.

Dopo una breve premessa personale, e dunque «umana, troppo umana», ho cercato di analizzare due degli elementi più fecondi della ricerca di Anastasi: l’attenzione rivolta alle radici e alle componenti religiose delle tesi transumaniste; la cura verso le indicazioni operative, volte non soltanto a comprendere il mondo contemporaneo ma a immergersi in modo attivo e critico nelle sue tecnologie.
Mi sono poi espresso contro le prospettive transumane e iperumane che ritengono si debba e si possa superare la mortalità e quindi il limite stesso che costituisce ogni vivente, umano compreso. Il rifiuto della finitudine è espressione delle tendenze antropocentriche che impediscono di comprendere la continuità dell’umano con l’intero. Ho rivendicato, al contrario, l’oltreumanesimo come esigenza oggettiva di superare l’umano, di oltrepassarlo, nel senso di finirlo, di constatare che Homo sapiens sta arrivando al capolinea, che non domina più le protesi che si è costruito e dalle quali sarà sostituito. Il superamento di ciò che alcuni biologi chiamano Antropocene è ormai una condizione per la salvaguardia dell’οἶκος che ospita i viventi, del pianeta Terra. Si è dunque trattato di un confronto con il libro di Anastasi che ha fatto emergere elementi di continuità tra le nostre posizioni ma anche elementi di distanza.
Ho concluso con la lettura/commento di un brano di Also sprach Zarathustra (IV parte, capitolo Vom höheren Menschen -Dell’uomo superiore-, § 3) del quale riporto qui alcune righe: «I più perplessi oggi domandano: ‘Come potrà conservarsi l’uomo?’ Ma Zarathustra primo e unico è colui che domanda: ‘Come può l’uomo venir superato?’ (“wie wird der Mensch überwunden?). L’Oltreuomo mi sta a cuore, questo è il mio primo e unico bene, e non l’uomo: non il prossimo, non il povero, non il più sofferente, non il migliore (nicht der Nächste, nicht der Ärmste, nicht der Leidendste, nicht der Beste) perché i cosiddetti migliori sono ancora troppo umani. Fratelli miei, ciò che posso amare nell’uomo, è che egli è un passaggio e un tramonto (ein Übergang ist und ein Untergang)»

La registrazione dura 34 minuti (l’invito che compare nell’immagine non è da prendere proprio alla lettera 😎 )

Scherza coi santi e lascia stare Nietzsche

«Nietzsche ha dileggiato l’umiltà e l’obbedienza come virtù servili, mediante le quali gli uomini sarebbero stati repressi. Ha messo al loro posto la fierezza e la libertà assoluta dell’uomo. Orbene, esistono caricature di un’umiltà sbagliata e di una sottomissione sbagliata, che non vogliamo imitare. Ma esiste anche la superbia distruttiva e la presunzione, che disgrègano ogni comunità e finiscono nella violenza». Così Benedetto XVI nella omelia tenuta il 9 aprile scorso.
Nietzsche avrebbe sorriso di un simile giudizio, avrebbe trovato in esso la conferma della disonestà del prete. Ma qui non si tratta di menzogna bensì, più modestamente, di ignoranza. L’omelia dalla quale è tratto il brano -e che invito a leggere per intero- non solo è davvero noiosissima e banale ma dimostra anche che il suo autore ha una conoscenza parziale del significato che Nietzsche dà allo Übermensch, all’oltreuomo. Lungi, infatti, dal sostenere una filosofia iperumanistica e antropocentrica, Nietzsche ritiene che «“l’uomo è qualcosa che deve essere superato” -qui è importante il tempo: i greci degni di ammirazione: senza fretta. I miei predecessori: Eraclito, Empedocle, Spinoza, Goethe» (Frammenti postumi 1884,  25[454]), pensa che ci sia «qualcosa di fondamentalmente erroneo nell’uomo -egli deve essere superato. Tenta!» (Frammenti postumi 1882-1884 parte II, 11[8]». Nietzsche arriva a dire che l’oltreuomo è un «Cesare romano con l’anima di Cristo» (Frammenti postumi 1884, 27 [60]).
L’antropologia nietzscheana si caratterizza non per la presunzione dogmatica e la violenza apostolica delle quali i papisti sono stati nella storia maestri ma per le qualità del pensare, dell’inventar forme, della misura, della complessità, della severità, della riservatezza, dell’appagamento di sé e del distacco. Si tratta di categorie etiche ed esistenziali che il teologo Ratzinger non è in grado di cogliere e tanto meno apprezzare. Non era dunque affatto necessario citare il nome di Nietzsche. Il Papa parli di ciò che vuole ma lasci stare i filosofi. Unicuique suum, come recita la testata dell’Osservatore Romano.

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