Skip to content


La banda Baader Meinhof

di Uli Edel (Der Baader Meinhof Komplex) Germania, 2008 Con: Martina Gedeck (Ulriche Meinhof), Moritz Bleibtreu (Andreas Baader), Alexandra Maria Johanna Wokalek (Gudrun Ensslin), Bruno Ganz (Horst Herold) Trailer del film baadermeinhof

Germania, decennio 1967-1976. Dalle feste in spiaggia alla morte nel carcere di Stammheim si consuma la parabola della giornalista Ulriche Meinhof, che dopo aver aiutato Andreas Baader a fuggire dal carcere entra insieme a lui e ad altri compagni in clandestinità, trascorre un periodo di addestramento in Giordania e compie una serie di rapine e attentati prima di essere definitivamente arrestata. Fu lei l’autrice della più parte dei testi teorici e dei manifesti della Rote Armee Fraktion ed è soprattutto sulla sua vicenda che il film incentra la propria attenzione.

leggi di più

PASSARE IL SEGNO. La forma della contestazione 1968-1977

Milano – Biblioteca di via Senato
Sino al 3 maggio 2009

L’immaginazione (grafica) al potere! Questa interessantissima mostra documenta, infatti, l’evoluzione della forma libro e della miriade di pubblicazioni che costellarono il Sessantotto e gli anni immediatamente successivi.
Il fondo utilizzato è quello della Biblioteca di via Senato a Milano: circa 2.500 materiali tra libri, giornali, riviste, documenti, manifesti, volantini, ciclostilati…Tra i pochi oggetti non librari si possono ammirare dei veri e propri reperti: un megafono, un ciclostile, una macchina da scrivere marca “Contessa” di colore arancione.

Dalla grafica essenziale ed elegante dei primi testi si passa col tempo a una maggiore varietà e ricchezza cromatica, si passa alla riproduzione sulle copertine dei ritratti dei santi protettori -Marx, Lenin, Mao, Che Guevara-, a soluzioni formali spesso di grande livello e originalità.
I periodici, poi, creano un vero e proprio linguaggio dall’impatto molto forte nel quale slogan e immagini si fondono a profetizzare la rivoluzione inevitabile e imminente. Ma insieme ai classici del marxismo-leninismo-maoismo e alle pubblicazioni dei vari gruppi rivoluzionari (indimenticabile Servire il popolo, organo di stampa dell’«Unione dei marxisti-leninisti italiani», il cui leader indiscusso era Aldo Brandirali, poi finito a far l’assessore nelle giunte berlusconiane del comune di Milano) si possono vedere anche alcuni testi di Julius Evola, i primi libri di Comunione e Liberazione, persino un numero della Voce della fogna, periodico semiclandestino che con umorismo rivendicava l’identità di Destra anche attraverso l’uso del fumetto.

Ed è l’ironia anarchica che rimane ancora viva. Il situazionista Vaneigem nel suo Brindisi alla salute dei lavoratori rivoluzionari scriveva -con evidente parodia del Manifesto– «Abbiamo da guadagnare un mondo di piacere. Non abbiamo pertanto altro da perdere che la nostra noia» e Gianfranco Sanguinetti consigliava al capitalismo, per salvarsi, di aderire al PCI. È finita col PCI che ovviamente ha aderito al capitalismo. E non solo il PCI…
La mostra fa un effetto particolare, una mescolanza di nostalgia, sconfitta delle idee, vittoria delle forme narcisistiche delle quali il Sessantotto fu intessuto.

MILANO SGUARDI DI QUARTIERE. Identità e rigenerazione

Urban Center Milano
Sino all’11 marzo 2009

milano_sguardi_di_quartiere

«L’essenza del costruire è il “far abitare”. Il tratto essenziale del costruire è l’edificare luoghi mediante il disporre i loro spazi. Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire». Il corsivo è di Heidegger e il brano si trova a pag. 107 di “Costruire abitare pensare”, uno dei testi raccolti in Saggi e discorsi (a cura di G.Vattimo, Mursia 1976). Il costruire non è dunque in primo luogo una tecnologia ma un essere. Di fronte al grande afflusso di nuovi abitanti provenienti dal Sud dell’Italia, la Milano degli anni Cinquanta e Sessanta affidò se stessa a ingegneri e urbanisti privi della cultura dell’abitare e dediti soltanto al costruire. Il risultato fu la distruzione di luoghi che da secoli circondavano la città di acque, di coltivazioni e di comunità ben armonizzate con l’ambiente. Al loro posto sorsero i quartieri Molise-Calvairate a est e San Siro a ovest, dove fu ed è ancora possibile un abitare che si integra a fondo col tessuto urbano. Invece quartieri come Gratosoglio a sud e Ponte Lambro a est vennero fisicamente tagliati fuori dalla città diventando -come scrive Bianca Bottero- «luoghi “intimamente predisposti” alla criminalità».

Degradati anche nelle strutture -oltre che nelle persone- in questi quartieri è ora in corso un’opera di riqualificazione urbanistica e sociale della quale la mostra testimonia con documenti e fotografie le modalità e le intenzioni. Quarant’anni fa un gruppo di abitanti di Gratosoglio pose una lapide «alla fermata del tram che non arrivava mai». Sarà dura che questo tram arrivi ora, in un momento di rimescolamento sociale tra vecchi residenti e nuovi immigrati, di crisi economica e antropologica, ma fare di tutto perché la città sia luogo di vita in ogni sua parte è un dovere assoluto di chi la amministra e di chi la abita.

COSTANTI del classico nell'arte del XX e XXI secolo

Catania – Palazzo Valle
Sino al 29 giugno 2009

melotti_scultura_n_21

Splendida è la sede da poco inaugurata della Fondazione Puglisi Cosentino. Uno spazio sobrio e antico che con le sue grandi finestre, le luci, l’ampiezza dà rilievo alle opere che ospita, le quali sembrano respirare e intrattenere fra di loro una calma conversazione. La mostra di apertura, curata da Bruno Corà e allestita secondo i più avanzati criteri museografici, è impressionante per il numero e la qualità degli artisti del Novecento (e oltre) che è riuscita a far convergere in un solo luogo. Alcuni dei tanti nomi presenti: Beuys, Burri, de Chirico, Degas, Duchamp, Fontana, Giacometti, Kandinskij, Klein, Kounellis, Malevič, Manzoni, Mapplethorpe, Martini, Matisse, Melotti, Merz (Mario e Marisa), Messina, Mondrian, Moore, Morandi, Opalka, Parmiggiani, Picasso, Pistoletto, Arnaldo Pomodoro, Ray, Rosso, Rothko, Savinio, Sironi…

Un’antologia dell’arte contemporanea che non consiste, però, nella semplice somma di opere e di nomi ma sostanzia un percorso nel quale le “costanti” del titolo sono riferite non tanto e non solo al “classico” (qualunque cosa si intenda con questo termine) ma anche alla logica che sottende l’intera arte contemporanea e dunque il post-impressionismo. La rottura dell’armonia -simbolizzata perfettamente nelle sfere implose/esplose di Pomodoro e nei tagli di Fontana- produce in realtà nuove e perenni geometrie, equilibri continuamente reinventati, corpi plurimi, codici che riscrivono i segni dello spazio e del tempo, forme che acquistano la propria norma non da regole esterne ma dal senso stesso delle opere, cicli e vortici che si confrontano con la storia e col mito e però sono rivolti a nuove tensioni a rinnovati orientamenti. Emblematico il Microcosmo di Mattiacci, con un disco di ferro concavo nel quale convivono una miriade di piccole sfere mobili e una grande sfera al centro. Ma l’intera mostra sta sotto il segno del cerchio/sfera immobile e insieme cangiante, costante e in ogni istante rinnovato.

(Singolare è che il dépliant illustrativo della mostra non riporti l’indirizzo di Palazzo Valle -via Vittorio Emanuele 120- ma spero sia solo una distrazione…di gioventù).

mattiacci_microcosmo_3

 

Valzer con Bashir

di Ari Folman
(Waltz with Bashir)
Germania, Francia, Israele, 2008
Disegni e animazioni: Yoni Goodman

valzerbashir

Ari Folman racconta la guerra nel Libano del 1982, vissuta da soldato diciannovenne dell’esercito israeliano. Racconta soprattutto il proprio non ricordare il massacro attuato dai falangisti cristiani con la complicità israeliana nei campi palestinesi di Sabra e Shatila, dove vennero sterminati donne, bambini, vecchi, col motivo di vendicare l’assassinio del leader falangista Bashir Gemayel. Folman ricostruisce i fatti con l’aiuto dei commilitoni e di un giornalista inviato di guerra. Dopo venticinque anni la ferita è ancora aperta in alcuni di loro. C’è chi sogna i 26 cani che ha ucciso perché non rivelassero la presenza dei soldati, chi giustifica tutto in nome del principio gerarchico (la stessa autodifesa di numerosi militari a Norimberga), chi afferma che la guerra è sempre stata questo…

La bellezza del film sta nelle sua tecnica, nei colori cupi e sgargianti coi quali restituisce l’orrore, nell’animazione a volte un po’ meccanica ma più spesso capace di rendere la mescolanza tra la dimensione reale e quella onirica degli eventi, nella profondità dei disegni. Un po’ banale l’insistenza sulla lettura psicoanalitica, necessario appare invece il passaggio conclusivo dall’animazione alla documentazione video di uno degli episodi più orribili del Novecento. È una buona cosa che con questo film, come con Il giardino di limoni di Eran Riklis, una parte della società israeliana cominci a fare i conti con i propri crimini. Meglio ancora sarebbe se non ne perpetrasse altri.

Rissa in Galleria

Milano – Galleria Vittorio Emanuele
Coreografia e regia di Ariella Vidach
5 febbraio 2009

È una delle prime iniziative del denso calendario con il quale Milano celebrerà i cento anni dal Manifesto del Futurismo di Marinetti. Qui una compagnia di ballerini si è mescolata tra la gente che affolla la Galleria Vittorio Emanuele e ha cercato di riprodurre e mettere in scena il dipinto di Umberto Boccioni intitolato Rissa in Galleria.
Il risultato è stato un po’ divertente e un po’ kitsch, giustificato solo come invito a cominciare a ricordare questo centenario ma speriamo in meglio per i prossimi appuntamenti…
(Qui sotto il dipinto di Boccioni e uno dei momenti della performance milanese).

boccioni_rissa_in_galleria_

 

futurismo_2 

 

 

 

Milk

di Gus Van Sant
USA, 2008
Con: Sean Penn (Harvey Milk), Emile Hirsch (Cleve Jones), Josh Brolin (Dan White) , Diego Luna (Jack Lira), James Franco (Scott Smith)

milklocandina

San Francisco, anni Settanta del Novecento. Harvey Milk tenta più volte di diventare consigliere comunale (“Supervisor”, una funzione che negli USA conta assai più che in Italia) e alla fine ci riesce. È il primo omosessuale dichiarato ad assumere in quel Paese una carica pubblica. È aiutato e sostenuto dalla comunità gay, dalle altre minoranze e dal sindaco Moscone, un liberal che insieme a lui pagherà con la vita il proprio impegno. Prima, però, riescono a far respingere dall’elettorato la proposta di un senatore repubblicano e di una imbonitrice evangelica che vorrebbero escludere gli omosessuali dall’insegnamento e da altre professioni.

Il film vuole ricostruire la San Francisco e la California di quegli anni. Alcuni inserti d’epoca e una grande attenzione agli ambienti e ai costumi (di Danny Glicker) aiutano a cogliere quella tonalità di vita. Ma il risultato complessivo è piatto, la sceneggiatura è del tutto scontata e l’opera risulta una banale miscela tra documentario e fiction. Anche la narrazione della vita privata di Milk, dei suoi dolorosi amori, ha qualcosa di patetico. Magnifico, ancora una volta, Sean Penn, che regge su di sé tutto il film e riesce a rendere autentica l’omosessualità del suo personaggio, con uno sguardo e dei gesti sempre plausibili. Il confronto con gli altri interpreti -che proprio recitano il ruolo di “froci”- conferma che Penn è uno dei più grandi attori viventi. Per il resto, retorica a piene mani.

Vai alla barra degli strumenti