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Rissa in Galleria

Milano – Galleria Vittorio Emanuele
Coreografia e regia di Ariella Vidach
5 febbraio 2009

È una delle prime iniziative del denso calendario con il quale Milano celebrerà i cento anni dal Manifesto del Futurismo di Marinetti. Qui una compagnia di ballerini si è mescolata tra la gente che affolla la Galleria Vittorio Emanuele e ha cercato di riprodurre e mettere in scena il dipinto di Umberto Boccioni intitolato Rissa in Galleria.
Il risultato è stato un po’ divertente e un po’ kitsch, giustificato solo come invito a cominciare a ricordare questo centenario ma speriamo in meglio per i prossimi appuntamenti…
(Qui sotto il dipinto di Boccioni e uno dei momenti della performance milanese).

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Milk

di Gus Van Sant
USA, 2008
Con: Sean Penn (Harvey Milk), Emile Hirsch (Cleve Jones), Josh Brolin (Dan White) , Diego Luna (Jack Lira), James Franco (Scott Smith)

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San Francisco, anni Settanta del Novecento. Harvey Milk tenta più volte di diventare consigliere comunale (“Supervisor”, una funzione che negli USA conta assai più che in Italia) e alla fine ci riesce. È il primo omosessuale dichiarato ad assumere in quel Paese una carica pubblica. È aiutato e sostenuto dalla comunità gay, dalle altre minoranze e dal sindaco Moscone, un liberal che insieme a lui pagherà con la vita il proprio impegno. Prima, però, riescono a far respingere dall’elettorato la proposta di un senatore repubblicano e di una imbonitrice evangelica che vorrebbero escludere gli omosessuali dall’insegnamento e da altre professioni.

Il film vuole ricostruire la San Francisco e la California di quegli anni. Alcuni inserti d’epoca e una grande attenzione agli ambienti e ai costumi (di Danny Glicker) aiutano a cogliere quella tonalità di vita. Ma il risultato complessivo è piatto, la sceneggiatura è del tutto scontata e l’opera risulta una banale miscela tra documentario e fiction. Anche la narrazione della vita privata di Milk, dei suoi dolorosi amori, ha qualcosa di patetico. Magnifico, ancora una volta, Sean Penn, che regge su di sé tutto il film e riesce a rendere autentica l’omosessualità del suo personaggio, con uno sguardo e dei gesti sempre plausibili. Il confronto con gli altri interpreti -che proprio recitano il ruolo di “froci”- conferma che Penn è uno dei più grandi attori viventi. Per il resto, retorica a piene mani.

Georges Seurat, Paul Signac e i neoimpressionisti

Milano – Palazzo Reale

Divisionismo e pointillisme hanno rappresentato la grande svolta nel passaggio dall’arte ottocentesca a quella contemporanea. Definiti anche come neoimpressionisti, Seurat, Lucienne Pissarro, Luce, van Rysselberghe, Cross, Delavallée, Angrand, Signac partono sì dai maestri dell’Impressionismo ma arrivano a esiti del tutto originali. È quest’ultimo -Paul Signac- l’artista principale della mostra. Nelle sue opere diventa chiarissimo come i punti di colore sparsi sulla tela con grande rispetto per le leggi della pittura -contrasto, mescolanza, gradazione- lascino ai processi cerebrali di chi guarda la formazione dei volumi e degli sfondi.

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El Tano

Produzione: Terra delle O
Regia e interpretazione di Antonella Puddu
Musiche dal vivo di Riccardo Pittau
SpazioTeatro89 – Milano

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La storia di Martino Mastinu, sindacalista originario della Sardegna, incarcerato, torturato e ucciso in Argentina negli anni della dittatura di Videla. Il racconto essenziale di Antonella Puddu e la musica metallica ma insieme appassionata della tromba di Pittau disegnano con sobrietà una vicenda di violenza e di ferocia politica. Tra i Desaperecidos ci furono molti italiani -”El Tano” vuol dire, appunto, l’italiano- mentre l’Italia faceva da contorno (nel 1978) al trionfo dell’Argentina calcistica guidata da Maradona in campo e dai militari al governo. Una messa in scena dura, una testimonianza necessaria.

Magritte. Il mistero della natura

Milano – Palazzo Reale
Sino al 29 marzo 2009

Il Surrealismo è diventato attraverso Magritte parte del nostro modo di vedere il mondo. La semplicità del fatto che quella dipinta «n’est pas une pipe» -certo!- perché non può essere caricata e fumata ma è soltanto la rappresentazione di una pipa, sembra ancora turbare. Al di là di questa anche troppo celebre icona, l’arte di Magritte è complessa e del tutto consapevole. La discrasia tra percezione e realtà è uno dei temi filosofici per eccellenza, dall’invito di Eraclito e Parmenide -pur così diversi- a diffidare dell’«occhio che non vede e dell’udito che rimbomba di suoni illusori», fino agli insegnamenti della Gestalt passando per la rassegnata rinuncia kantiana a conoscere la realtà come essa è in sé. Magritte germina da qui e per questo è costante il suo invito a cogliere l’enigmaticità assoluta dell’ovvio: «le mie opere sono tutte impregnate della certezza che noi apparteniamo, di fatto, a un universo enigmatico».

L’enigma è il quotidiano, l’arte cerca solo di dirlo. In questa mostra l’attenzione si concentra sui segreti del mondo naturale, dentro il quale Magritte opera la contaminazione fra i tre regni. Appaiono quindi le piante-uccelli, le aquile che si trasformano in montagne, uova/sculture, donne il cui corpo diventa cielo, intrecci impossibili di luci e di ombre come nell’intenso L’empire des lumières, la cui potenza è data dalla contemporaneità di una abitazione-giardino immersa nella notte e del cielo pienamente diurno che la sovrasta. In ogni caso, è ancora Magritte a parlare, «non si deve temere la luce del sole con la scusa che è servita quasi sempre a illuminare un mondo miserabile». La Luce è pura, come il mondo. A poter essere spento e quindi miserabile è -semmai- l’occhio umano che guarda. Il Surrealismo è un modo per aprire gli occhi sull’invisibile: «essere surrealista significa bandire dalla mente il già visto, ricercare il non visto». Il Surrealismo è una filosofia.

Pasolini

Pier Paolo Pasolini – Giuseppe Bertolucci

La rabbia di Pasolini
Italia, 2008

Nel 1963 Pasolini ricevette l’incarico di trarre un film dalle migliaia di edizioni di Mondo libero, un cinegiornale dell’epoca che spesso lo attaccava per la sua “immoralità”. Il produttore Gastone Ferranti gli volle poi affiancare un’analoga operazione affidata a Giovannino Guareschi. Pasolini non gradì ma portò a termine il proprio compito. Ben presto dimenticato, questo film torna ora in circolazione per merito della Cineteca di Bologna e del suo presidente Bertolucci.
Il risultato è straordinario e tragico.
Dagli anni Cinquanta e Sessanta il mondo è infatti cambiato e di molto, non foss’altro per la scomparsa dell’Unione Sovietica, ma sembrano identiche le paure, le guerre imperialiste, la piccola politica italiana. Pasolini afferra i materiali di questi cinegiornali –da lui definiti “moralisti e qualunquisti”- e li trasforma dal di dentro tramite un diverso montaggio e un commento affidato alla lettura di Giorgio Bassani nelle sue parti in versi e di Renato Guttuso in quelle in prosa. Tutta la capacità di aruspice (come lo ha definito Giuseppe Bertolucci presentando il film a Milano) di Pasolini emerge nella intuizione di quello che stavano diventando il mondo e l’Italia, sottoposti a un potere mediatico invasivo e alla televisione “che ti ruba l’anima” (e siamo nel 1963!).
Assai dolce l’omaggio a Marylin Monroe, “sorellina dalla bellezza d’oro”, e lucidissima l’intervista finale allo stesso Pasolini, nella quale il poeta parla della mancanza di vera rabbia tra gli intellettuali e nella società civile del nostro Paese, “perché ci vuole una vera borghesia per una grande rabbia e l’Italia è terra di piccoli borghesi dove non possono nascere che piccole rabbie”. Rabbia intesa, chiarisce Pasolini, nel senso del Socrate che non lascia mai in pace Atene. Un film “da far vedere nelle scuole”, come si diceva una volta. Sempre che ancora scuole e università rimangano luoghi di comprensione critica dell’esistente e non soltanto di pasoliniana «omologazione».

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