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Sul terrorismo sionista

Sul numero dello scorso luglio del bimestrale Dialoghi Mediterranei era uscito un mio tentativo di analisi del genocidio subito dai palestinesi.
Qualche giorno fa la rivista La Città futura ha pubblicato un editoriale di Leila Cienfuegos che conferma – a partire dagli eventi più recenti – la natura del tutto ingannevole della ‘democrazia israeliana’ e la struttura invece criminale dello Stato e del governo di Israele, i quali – sostenuti in modo incondizionato dagli Stati Uniti d’America e dalla loro industria bellica – costituiscono ormai un grave pericolo per i popoli del Vicino Oriente e non soltanto per loro.

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L’eloquenza del terrorismo sionista
A Gaza, in Libano, in Siria, ovunque Israele mostra la sua volontà di colpire in particolar modo i civili, stretti tra assedi medievali e attacchi hacker. Quando non esiste un limite allo schifo
Leila Cienfuegos, La Città Futura, 20.9.2024
Fonte: https://www.lacittafutura.it/editoriali/l’eloquenza-del-terrorismo-sionista

È probabile che il tentativo di commentare quella che tutti i media osannano come “una delle operazioni di intelligence del Mossad più riuscite della Storia” ossia l’attentato terroristico israeliano che ha ucciso e accecato un numero indecifrato di persone attraverso l’esplosione simultanea dei cercapersone e walkie talkie, sia effettivamente un tentativo vano perché l’incommentabile, per definizione, non si commenta. O meglio si potrebbe partire dal rovesciamento della narrazione: non c’è, a tutti gli effetti, nella Storia un precedente paragonabile alla tortura su ampia scala a cui la popolazione civile in Medio Oriente è sottoposta da parte dello Stato terroristico di Israele che, in attuazione di piani ampiamente dichiarati di colonialismo e di sterminio, sta attaccando la popolazione civile di quel che resta della Palestina ma anche del Libano, della Siria e di tutte le comunità non sioniste dell’area, non esclusa la popolazione israeliana contraria al massacro che si sta consumando dal 7 ottobre 2023 – rectius: da 60 anni quasi, in realtà, ma abbiamo ahimè imparato a capire sulla nostra pelle che noi sottoposti dobbiamo avere la memoria corta per campare, e così cercano di farci credere che la fase in cui viviamo non abbia nulla a che vedere con la dominazione israeliana in Palestina e la sua occupazione illegale che si consuma dalla metà del secolo scorso, allo stesso modo in cui la guerra in Ucraina l’avrebbe incominciata esclusivamente Putin nel febbraio del 2022 elidendo completamente con un colpo di spugna  le vicende occorse nel decennio antecedente, e via dicendo.

Il connubio tra, da una parte, uso criminale di intelligence e tecnologia sofisticata e, dall’altra, antichi metodi di assedio medievale e accanimento sulle persone (la privazione del cibo, dell’acqua, del sonno, della vita e della quotidianità, della terra e al momento non saprei arricchire ulteriormente un elenco tanto sadico), crea in effetti un terrificante unicum nella Storia le cui possibili sfumature e applicazioni ci vengono offerte zelantemente e giorno dopo giorno dall’“unica democrazia del medioriente”. L’unica e vera democrazia del medioriente – che sta combattendo una guerra col proprio esercito contro il perfetto nulla, dal momento in cui non si capisce quale altro esercito debba o possa efficacemente fronteggiarlo – assedia tutto il giorno e tutta la notta la popolazione civile palestinese puntandole contro le navi da guerra dal mare e, dal cielo, enormi e rumorissimi droni sospesi a mezz’aria pronti a schiantarsi al suolo contro “obiettivi sensibili”, e poi bombe, bombe, bombe; crolli, niente luce, acqua potabile né da bere né per lavarsi, come bestie costretti ad usare l’acqua di mare filtrata, niente medicine, niente riposo a causa del rumore assordante e della paura, niente lavoro, niente giochi e niente scuola, niente cibo e la morte, forse, se sopraggiunge un camion con gli aiuti umanitari, niente dignità. L’unica e vera democrazia del medioriente deporta la popolazione da un lotto all’altro in continuazione per bombardare intere aree e se qualcuno è rimasto indietro finisce comunque sotto le bombe, costringe la popolazione ad abbandonare ogni cosa e non solo la propria casa. L’unica e vera democrazia del medioriente controlla capillarmente le persone anche attraverso il telefono essendo l’IDF in grado di agganciarsi ai device presenti in una determinata cella per chiamare e minacciare i malcapitati di venire uccisi in caso si dovessero rifiutare di fare da spia per le loro, controllando la presenza di eventuali individui nascosti nelle case e nei palazzi e riferendola ai militari israeliani. L’unica e vera democrazia del medioriente è in grado di sabotare qualsiasi catena di approvvigionamento di persone o organizzazioni non gradite, e poco importa se, facendo simultaneamente brillare a sorpresa migliaia di apparecchi, ci rimette la pelle una bambina di dieci anni o altri perfetti innocenti. Ma d’altra parte, non sarebbe l’unica e vera democrazia del medioriente se non facesse saltare in aria scuole come se fossero pop corn e se non avesse ucciso, in un solo anno, oltre 16.756 bambini e feriti almeno 6.168 (L’UNICEF la definisce “una guerra contro i bambini“). 

Ebbene grazie, unica vera democrazia del medio oriente & partners occidentali conniventi e complici, per mostrarci così plasticamente cosa possa essere l’inferno e lo schifo autentico, per aiutare noi ultime ruote del carro a toccare con mano la più cieca rabbia e renderci più semplice il compito di dirigerla prima o poi contro voi responsabili del nostro massacro. In particolare in questa fase un sentito grazie a mr.Netanyahu e al suo governo di criminali per facilitarci di molto il gravoso compito di tornare ad indignarci e disgustarci, motore fondamentale di una qualsiasi rivoluzione.

[Foto di Dyaa Saleh su Unsplash]

Valerio Adami

Valerio Adami. Pittore di idee
A cura di Marco Meneguzzo
Palazzo Reale – Milano
Sino al 22 settembre 2024

Una pittura colorata e tragica, che dichiara di voler essere oggettiva, lontana dalla interiorità, dalla psicologia e dall’astrazione di molta arte del Novecento. Ma che invece è del tutto intrisa di onirismo e di psicoanalisi, come lo stesso Adami ha di frequente riconosciuto. E per quanto riguarda la figurazione, si riconoscono certo situazioni, personaggi, volti e paesaggi ben precisi. Su molti dei numerosi ritratti c’è il nome del soggetto e varie tele portano al proprio interno il titolo.

E però si tratta anche in questo caso di una figuratività espressionistica e tuttavia povera della densità di quello stile. Una figuratività geometrica del tutto riconoscibile ma anche ripetitiva.
Adami è un citazionista, i cui riferimenti sono numerosi e anche questi tradizionali. Alcuni nomi: il mito greco in generale, poi Bacon, Picasso, Dürer, Raffaello, Kokoschka, De Chirico. E Adami è pittore della buona società, riconosciuto sin dall’inizio e ben inserito nell’industria culturale. Soprattutto è artista completamente immerso nello Zeitgeist, nello spirito del tempo, con una propria cifra, certo, ma con niente di realmente autonomo dalle mode e dai linguaggi manieristi di molta arte contemporanea.
Un figurativismo cerebrale e un’astrazione incompiuta hanno il proprio esempio e cifra in alcune opere intrise di un erotismo gelido, come quella che appare qui sotto.

Ma c’è un’eccezione, almeno una. Si tratta di un dipinto del 2006 come sempre dalle ampie dimensioni (2 metri per 2,65), dal titolo Über Berg und Tal (Kubin) Sils-Maria. La raffigurazione della località svizzera è straordinaria, i colori sono molto diversi da quelli che segnano le altre opere e in ogni angolo di questo bellissimo dipinto si sentono il transito, il gelo, le cime, la dimora, il vuoto, il cosmo, il colore freddo della vita. Nietzsche, davvero. La mostra milanese merita di essere visitata per toccare con mano i limiti di Adami ma soprattutto per essere attraversati dalla bellezza di queste forme.

Sul genocidio dei Palestinesi

Sul genocidio dei Palestinesi
in Dialoghi Mediterranei
n. 68, luglio-agosto 2024
pagine 176-186

Indice
-Premessa. Un evento coloniale
-«It is not a war, it is murder»
-Schizofrenie imperialiste 
-Alcuni appelli
-«Né Dio né l’Idf hanno pietà dei bambini»
-Anatomia di un genocidio
-Conclusione

In questo saggio ho cercato di sintetizzare nel modo più chiaro possibile quanto so e quanto ho compreso del genocidio palestinese in atto dal 1948 al presente.
Mi sono particolarmente soffermato su quattro fonti relative a ciò che sta accadendo dal 7 ottobre 2023 a oggi:
-un documento del Ministero dell’Intelligence dello Stato di Israele – Dipartimento tematico, Documento politico: opzioni per una politica riguardante la popolazione civile di Gaza;
-il rapporto ufficiale diffuso il 25 marzo 2024 dall’ONU e stilato dal «Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967», incarico attualmente ricoperto dall’italiana Francesca Albanese. Il documento ha come titolo:  A/HRC/55/73, Anatomia di un genocidio;
-i testi di alcuni appelli sottoscritti da centinaia di docenti e studiosi italiani in questi mesi;
-alcuni articoli e riflessioni del filosofo italiano Eugenio Mazzarella.
Una delle conclusioni è che le generazioni future si vergogneranno di un’epoca “democratica e progressista” che ha permesso il genocidio giustificando in tutti i modi i carnefici. Si chiederanno come sia potuto accadere. Troveranno le risposte nel fanatismo della storia; nel razzismo degli eletti da Dio; nella situazione geopolitica; negli interessi finanziari del capitalismo trionfante; nella menzogna sistematica dei media (tra i quali spicca il quotidiano italiano la Repubblica); nell’indifferenza diffusa tra le persone.

Pavese poeta

Lunedì 8 aprile 2024 alle 18.00 alla libreria Feltrinelli di Catania parteciperò alla presentazione del volume che raccoglie tutta l’opera in versi di Cesare Pavese, i suoi testi editi e inediti, le traduzioni da poeti greci – specialmente Omero -, latini, moderni, soprattutto i romantici. Il libro, edito da Mondadori, è stato curato da Antonio Sichera e Antonio Di Silvestro, colleghi italianisti del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict.
Si tratta di un libro/oceano, non soltanto nella mole (1728 pagine) ma soprattutto nella potenza, nell’energia ermeneutica e filologica. È un libro necessario, che permette di avere con sé e davanti a sé l’opera poetica di uno dei maggiori scrittori italiani di ogni tempo. Un libro amico, per l’evidente affetto che traspare nella cura, negli apparati, nelle introduzioni; un’amicizia non priva di contrasti e di momenti di distanza, come tutte le amicizie profonde, autentiche, feconde.

Da Lavorare stanca

I mari del Sud
Camminiamo una sera sul fianco di un colle,
in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo
mio cugino è un gigante vestito di bianco,
che si muove pacato, abbronzato nel volto,
taciturno. Tacere è la nostra virtù.
Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo
– un grand’uomo tra idioti o un povero folle –
per insegnare ai suoi tanto silenzio.

(vv. 1-8; p. 77)

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Da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Sempre vieni dal mare (19-20 novembre ’45)
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d’acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.
[…]
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.

(vv. 1-10 e 40-44; pp. 201-202)

Morandi

Giorgio Morandi
1890-1964

Palazzo Reale – Milano
A cura di Maria Cristina Bandera
Sino al 4 febbraio 2024

Un rigore formale che attinge alle geometrie di Piero della Francesca ma con la tonalità tutta novecentesca di un immanentismo che si fa anch’esso distanza dagli eventi e dalla morte, come accade allo slancio verticale di Piero. Una prospettiva stratificata su più piani, attraverso forme e pennellate che all’inizio sembravano vicini alla Metafisica e al Realismo magico e poi divennero altro, divennero il sacro che dalle tele di Morandi spira.
Una luminosità fredda e antica si fa forma nelle fronde immobili, in un dolore oggettivo, nelle conchiglie, nei fossili, negli oggetti che si raggrumano e producono nel loro tacere luce. È un mondo fatto di geometrie, di parallelepipedi, di paesaggi «inameni», come li definì Roberto Longhi. Un mondo abitato da una forza di gravità interiore che stringe sempre più gli oggetti gli uni con gli altri, rendendo fermo lo spazio.
Giustamente la curatrice della mostra milanese afferma che in Morandi «la  luce ha un’incidenza metafisica. Lo spazio non è misurabile né percepibile» e nelle opere ultime la sua è «una materia che sta scomparendo». Una materia che si dissolve nella pienezza dell’essere. Morandi lo intuì e scrisse che «quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose».

Morandi. Natura morta, 1918-1919

L’arte di Morandi mostra tale essenza, dispiega la potenza della materia e del silenzio. Nessun umano appare nei suoi quadri. Anche per questo offrono la pace della materia che in un suo intervallo sarà stata anche protoplasmatica, vegetale e animale, sarà stata materia artificiale e macchinica. Ma a rimanere sarà la materia minerale e cosmica, la sua potenza. Rimarrà la materia e basta. Non più gli umani, materia miserrima dentro il cosmo, e neppure soltanto gli altri animali, vertebrati o invertebrati, di terra o di mare, volatili e insetti. Nemmeno le piante, i fiori, il grano. Rimarrà soltanto la materia, le rocce, le lave. E le stelle. La pura luce, la loro luce. Le trasformazioni elettromagnetiche che invadono di fulgore lo spazio silenzioso e perfetto nel quale di tanto in tanto la materia si raggruma in polvere, pianeti, astri. Qui non c’è sofferenza. Non c’è mai stata. Nulla nasce e nulla muore. E il tempo accade senza posa nel movimento delle masse e nella potenza dell’energia.

Morandi. La strada bianca, 1941

[L’immagine di apertura è una Natura morta del 1957. Le ultime righe di questo testo sono già state utilizzate da me in altre pagine del sito, parlando della musica di Jean-Philippe Rameau, di un film di fantascienza (Life, 2017), di una lezione alla Scuola Superiore di Catania. Si tratta infatti di una concezione della materia/luce del tutto affrancata da ogni antropocentrismo, una tesi per me fondamentale]

Ugo Spirito

Ugo Spirito, un filosofo del presente
Recensione a:
Ugo Spirito
L’avvenire della globalizzazione
Scritti giornalistici (1969-1979)
A cura di Danilo Breschi
Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice – Luni Editrice, Milano 2022
Pagine 392
in  il Pequod , anno IV, numero 8, dicembre 2023, pagine 103-105

Ugo Spirito (1896-1979) ha attraversato quasi per intero il Novecento. Allievo principale di Giovanni Gentile, si allontanò dall’attualismo per una esigenza di ricerca, innovazione, slancio verso il futuro che percorre anche gli scritti giornalistici degli ultimi dieci anni di vita, selezionati, raccolti e introdotti da Danilo Breschi. Da Gentile Spirito assorbe lungo tutto il proprio percorso l’immanentismo radicale, l’antropocentrismo, il panteismo per volgere poi – in modalità anche sconcertanti – queste radici in qualcosa che dal pensiero di Gentile è davvero assai distante.
Il problematicismo – così Spirito definì la propria filosofia – che si esprime in questi testi e in varie sue opere è una teoresi esplicitamente antitradizionalista, una sorta di positivismo critico che vive di una fiducia profonda nelle scienze e nelle loro espressioni tecnologiche, per quanto non ne nasconda i rischi anche esiziali. Ma Spirito è un filosofo dai molti strati e se da una parte difende scienze e tecnocrazia, dall’altra è del tutto consapevole del totalitarismo dei media da cui discende la possibilità di nuovi regimi dispotici, di comunità collettive e stati politici i quali «richiedono l’imprimatur per ogni espressione di opinioni personali», definizione che Spirito applica ai regimi fascisti e che si sta pericolosamente incarnando nel politicamente corretto.
Ho cercato in questo breve testo di presentare e discutere alcuni dei temi che Spirito affronta sempre in modo critico e assai vivace.

Il fatto artistico

RiEvolution.
I grandi rivoluzionari dell’arte italiana. Dal futurismo alla Street art

Palazzo della Cultura – Catania
A cura di Raffaella Bozzini e Giuseppe Stagnitta, con il coordinamento storico-scientifico di Marco Di Capua
Sino al 7 gennaio 2024

Rara è a Catania, e in Sicilia in genere, l’occasione di intraprendere un percorso così ricco e articolato nell’arte del Novecento. 130 dipinti, sculture, installazioni, video che vanno dal Futurismo al presente e che mostrano ciò che a più di un secolo dai suoi inizi è la poetica del Novecento, una poetica unitaria e ben riconoscibile nonostante la grande varietà di forme, nomi, espressioni, materiali, ideologie.
Astrattismo e realismo; formalismo e intenti politici; materiali poveri di uso quotidiano e materiali di nuovissima invenzione; vibrazioni tragiche e declinazioni puramente tecniche si intrecciano, si confondono, dialogano e producono il risultato di un divertimento dal quale si apprende. La svolta romantica ha segnato ciò che Giuseppe Frazzetto ha esattamente descritto come metamorfosi dell’artista artigiano nell’artista sovrano, il quale abbandona la prospettiva, un punto di vista oggettivo sul mondo, a favore di una pluralità di punti di vista creati dall’artista stesso, padrone dello spazio, delle relazioni, delle durate e della stessa indicazione di qualsiasi oggetto o situazione come arte. Da allora siamo immersi nella funzione collettiva e sociale, e soprattutto nella valenza radicale, ontologica, del fatto artistico dentro il mondo umano.
Ben si vede anche da questa mostra come l’estetica contemporanea pensi – in modo più o meno radicale ma pervasivo – all’opera come manipolazione di materiali che si fa smascheramento, leggerezza, denuncia e sorriso. Nella prima sala appaiono subito le scatolette nelle quali Piero Manzoni racchiuse la sua «merda d’artista», uno degli esiti più ironici ed emblematici del Novecento. 

Piero Manzoni, Merda d’artista, 1961

Nel 1939 Charles Morris propone di cogliere nell’arte non più enunciati – segni che vogliono dire qualcosa al di là di sé – bensì iconi, segni che non rinviano ad altro ma presentano il significato, lo incorporano in se stessi. L’opera d’arte non significa nulla al di là del proprio stesso significare, la potenza della forma. Questo non vuol dire, però, che l’arte sia solo un gioco. È anche un gioco ma nel suo carattere ludico diventa la sostanza stessa delle società e degli umani. Sta qui il nucleo delle avanguardie, la loro perenne fecondità.

Gianni Colombo, Spazio elastico, 1976

In un corso di estetica tenuto a Berlino nell’a.a. 1822-23 Hegel argomenta come l’arte sia «inferiore al pensiero per l’espressione; ma fa intravedere il pensiero, l’idea; contrariamente al mondo sensibile dove è immediatamente nascosto il pensiero. L’arte non si distingue, del resto, dalla maniera in cui appare» (Estetica. Il manoscritto della «Bibliothèque Victor Cousin», a cura di Dario Giugliano, Einaudi 2017, p. 3, foglio 1 del manoscritto). La sostanza dell’arte è dunque fenomenologica, è l’apparire. Nell’apparire dell’opera d’arte confluiscono pertanto la forma/espressione, il contenuto/concetto, la società che li genera.
Elementi ed esperienze che appaiono assai chiari anche nel percorso dentro il fare artistico contemporaneo che questa mostra consente di intraprendere.
La foto di apertura rappresenta l’opera di Grazia Varisco Filo rosso F (2009).

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