Piccolo Teatro Grassi – Milano
Non si sa come
(1934)
di Luigi Pirandello
Con: Sandro Lombardi (Romeo Daddi), Pia Lanciotti (Bice Daddi), Francesco Colella (Giorgio Vanzi), Elena Ghiaurov (Ginevra Vanzi), Marco Brinzi (Nicola Respi)
Scene di Pier Paolo Bisleri
Costumi di Giovanna Buzzi
Regia di Federico Tiezzi
Sino al 2 febbraio 2014
Il consueto interno (o terrazzo) borghese, la consueta duplice coppia, con un quinto personaggio funzionale alla consueta follia di uno dei quattro. Stavolta si tratta della pazzia di Romeo Daddi, il quale non si sa come si prende per una volta la moglie del suo amico Giorgio Vanzi, senza che i due capiscano -per l’appunto- come sia potuto accadere. Tutto finirebbe lì (Einmal ist keinmal) se tale «delitto» non ricordasse a Daddi un lontano e più consistente crimine che aveva commesso da ragazzo. Questo innesca la consueta lacerazione interiore del protagonista, il suo consueto bisogno di rifletterci sopra nella maniera più sottile e più pedante con l’inevitabile esigenza di esternare le proprie riflessioni, il consueto disordine che tale pensiero ad alta voce genera nelle consuetudini e nelle forme ordinate della vita sociale. E infine la consueta rivelazione e il conclusivo dramma.
Se tutto ciò ha avuto un grande significato dentro le forme sociali e drammaturgiche della prima metà del secolo scorso, oggi è diventato una consuetudine banale a sua volta. Un modo di fare teatro e di pensare la vita del tutto oltrepassato dal cinismo individuale e collettivo che vede nei sentimenti o degli strumenti per qualche altro scopo o delle improvvise e temporanee eruzioni della psiche. Sono sin troppo morigerati, ormai, gli scandali che costellano il teatro pirandelliano. Per tacere, poi, dell’«identità», questione che si è rivelata ben più ordinaria e insieme assai più complessa di come lo scrittore l’avesse pensata.
Pirandello vuole dire troppo mentre il miglior teatro contemporaneo esprime piuttosto la rarefazione della parola. Pirandello non ha un briciolo di ironia; in questo è un siciliano atipico, che non a caso sottovaluta il comico a favore dell’umoristico mentre la tragedia è inseparabile dal comico. Pirandello sente il bisogno di emulare la filosofia ma sapendo di non essere filosofo costruisce testi nei quali per un bel pezzo i protagonisti conducono una mascherata lezione di filosofia morale. Tutto questo, insomma, ha poco da dire. È consegnato alla storia del teatro con la sua grandezza e il suo significato ma più passa il tempo più mostra i suoi limiti, non riuscendo Pirandello ad andare oltre l’epoca per la quale ha scritto.
Interpreti e regista qui fanno molto per rendere vivo un testo così segnato dal suo mondo ma il problema non sono loro, il problema è Pirandello.
Appendice didattica
La galleria del Piccolo Teatro Grassi era occupata quasi per intero da studenti dell’ultimo anno di un liceo classico di Milano. I poveretti non ne potevano più (ho dovuto pure richiamarli) e qualcuno ha trascorso le due ore dello spettacolo occupato per intero in un videogioco al cellulare. Mi chiedo, e soprattutto chiedo ai loro insegnanti pur zelanti, che senso abbia portare studenti così fatti a teatro. Non sarebbe meglio dire: «Sentite, ragazzi, c’è questo spettacolo che secondo me potrebbe essere interessante (o didatticamente utile). Se volete, andateci». Invece li intruppano e li portano a vedere qualcosa per la quale, nonostante decenni di scuola e quinquenni liceali, costoro non hanno né voglia né linguaggio. Così è ridotta l’Italica Patria e sarebbe di gran lunga meglio lasciare tali studenti alla televisione e ai videogiochi, alla loro volontaria o involontaria servitù.