Skip to content


Gadda, i luoghi, la Gnosi

Verso la Certosa
di Carlo Emilio Gadda
(1961)
A cura di Liliana Orlando
Adelphi, 2013
Pagine 249

Libro nato da travagliato parto, come spesso in Gadda, ma che di tale fatica non risente. Nella varietà dei suoi temi parla infatti una scrittura classica, direi radicalmente classica nelle sue variazioni espressionistiche, violente, e però sempre intrise di un’armonia inimitabile. Milano e la Lombardia rappresentano l’orizzonte geografico e antropologico privilegiato: la Fiera campionaria; i luoghi visitati e vissuti da Petrarca; la bizzarria della Borsa; il mercatino di Senigallia; il risotto alla milanese descritto in uno stupefacente capitolo/ricetta dal quale si sprigiona il sapore stesso della pietanza. E poi il titolo. Verso la Certosa per i milanesi vuol dire infatti anche verso il cimitero, verso il luogo dove cesseranno insieme lo «scarso cervello del mondo» (p. 11) e «la disperazione» che «mi chiamava, chiamava, dal fondo dei suoi deserti senza carità» (36). A Milano c’è questo e c’è tutto il resto, per chi sappia vederlo e viverlo, poiché «tutto esiste a Milano, Milano è la scansia d’ogni possibilità […] dentro la cerchia dell’onniprassi milanese» (48).
Gadda intrattiene uno stretto rapporto con Manzoni, il cui nome e le cui parole tornano spesso, condite di costretta ammirazione e d’ironia liberatrice, come nel «magno seggiolone» scoperto tra i mobilieri brianzoli e sul cui barocco d’imitazione «par di vedere assiso, col suo collare di pizzo, il Conte Zio» (94), o nei pensieri di fronte al Resegone: «Il totem orografico della manzoneria lombarda mi pareva levantarsi, castigo ingente, da un fallimentare ammucchio di bozzoli: emerso dal vaporare delle filande, di tutte le bacinelle di Brianza: o dell’Adda o del Brembo» (34).
Parla spesso in queste pagine l’ingegnere, anche con dettagli tecnici come quelli descritti per il Duomo di Como o la critica esatta e pungente all’utilizzo esclusivo del cemento armato nelle case, nei falansteri vittime della scarsa inerzia del calcestruzzo, del rimbombare di ogni pur minimo suono, vittime dello «svantaggio termico: le stanze si raffreddano e si riscaldano al variare della temperatura esterna con le ore del giorno: il sorgere del sole è percepito attraverso la scemenza dei forati dall’inquilino a levante, la bestiale autorità del sole estivo delle sedici diciotto è patita attraverso la inefficienza dei forati dalla indifesa agonia e dal sudore turco dell’inquilino a ponente» (122).
Al di là della Lombardia, Gadda vede ovunque moltiplicarsi ciò che Ortega Y Gasset definiva il pieno, lo spremersi e infoltire degli umani nello spazio, come nella Versilia che fu dei poeti e che adesso è invasa da scalmananti e turistiche folle: «Infiniti giornali, infinita gente, infinite tasse di soggiorno, infiniti pullman: infinite biciclette, ora: e l’oblioso ozio, nel giorno, d’una gente che sguazza, si cura i piedi, cuoce, cuoce sotto il sole» (115). Masse che ben servono da carburante e da combustibile a quei singoli che proclamano di parlare e agire a lor vantaggio e che invece è naturalmente al proprio e personale bene che sanno puntare lestamente. Nell’arco storico che da Mussolini va a Renzi, e passando per i troppi intermediari che li uniscono, sembra davvero che in Italia comandi sempre l’incessante e «truculento guappismo dei novatori coûte que coûte», lo «sconsiderato padreternismo dei tira linee quattordicenni: sì, età mentale quattordici» (121). Coûte que coûte è il «costi quel che costi» proclamato a ogni piè sospinto da Renzi, dal suo -per l’appunto- «truculento guappismo» di «novatore».
Osservando il mondo, vivendolo, andando verso la Certosa, lo scrittore Carlo Emilio Gadda conclude con una giustificata bestemmia nei confronti del funesto demiurgo che ha dato essere alle cose che son vive. Meglio non l’avesse fatto, «che il diritto è una bella balla: e che Giove Pluvio è un cialtrone, un istrione, e un porcone» (127).

 

In difesa della trattativa

La trattativa
di Sabina Guzzanti
Italia, 2014
Con Enzo Lombardo, Filippo Luna, Franz Cantalupo, Claudio Castrogiovanni, Sergio Pierattini, Maurizio Bologna, Sabina Guzzanti, Nicola Pannelli, Michele Franco, Sabino Civilleri, Ninni Bruschetta
Trailer del film

«Quanto sia lodabile in un principe mantenere la fede, e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende: non di manco si vede per esperienza ne’ nostri tempi, quei principi aver fatto grandi cose che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare i cervelli degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà. […] Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare»
(Niccolò Machiavelli, Il Principe, cap. XVIII, Cremonese editore, 1955, pp. 70-71).
Di fronte dunque alle stragi perpetrate da Cosa Nostra in Italia all’inizio degli anni Novanta del XX secolo, che cosa avrebbe dovuto mai fare il Principe? Il suo dovere -per garantire pace e ordine- era trovare un accordo con un’autorità che non si poteva sconfiggere militarmente. E non la si poteva sconfiggere perché in realtà non di un nemico esterno si trattava ma di una parte delle istituzioni della Repubblica. Si trattava -e si tratta- di una fazione della quale hanno fatto parte dal 1945 amministratori locali e nazionali, capi di partito, magistrati, militari, altri e alti funzionari dello Stato. Tale appartenenza dimostra che l’obiettivo dell’organizzazione che va sotto il nome di Cosa Nostra non è mai stato soltanto l’arricchimento dei suoi membri tramite l’uso della violenza ma anche il mantenimento del sistema democratico e dei partiti che ne costituiscono il fondamento. Fu l’esercito statunitense, infatti, a porre uomini di Cosa Nostra a capo dei comuni siciliani. E furono i mafiosi a dare un contributo fondamentale alla permanenza dell’Italia nella sfera occidentale contro il pericolo comunista. Il sostegno, inoltre, alle aziende edili che rinnovarono Palermo, alla produzione e ai commerci durante l’impetuoso sviluppo economico, alle nuove realtà imprenditoriali come Mediaset, è sempre da tenere in considerazione quando si giudica la mafia.
Era quindi fisiologico che il maggior partito italiano -la Democrazia Cristiana- si fondesse, in Sicilia ma non solo, con Cosa Nostra. Fisiologico che la massoneria accogliesse nelle proprie logge molti suoi esponenti, sino a rendersi di fatto indistinguibile da CN. Fisiologico che la più importante realtà culturale e spirituale della nazione, la Chiesa cattolica, collaborasse attivamente con quegli uomini per il mantenimento dell’identità religiosa del Paese. Da tutto questo scaturisce con evidenza come fosse altrettanto -e soprattutto- fisiologico che le istituzioni della Repubblica non soltanto entrassero in ‘trattative’ contingenti e specifiche con Cosa Nostra ma che si scambiassero con regolarità informazioni, strutture, finanziamenti, uomini.
Soltanto se si comprende tutto questo si può, credo, capire che cosa sia stata la cosiddetta trattativa. Essa costituì l’inevitabile accordo tra il Ministero degli Interni guidato da Nicola Mancino, il Ministero della giustizia, la commissione Antimafia di Luciano Violante, la presidenza del Consiglio retta da diversi soggetti, i carabinieri del ROS del colonnello Mori, i Servizi di sicurezza di Contrada e dall’altra parte i capi moderati di Cosa Nostra come Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano. Lo scopo fu quello di arginare da un lato la tattica stragista dei fratelli Graviano e di Salvatore Riina; e di arginare dall’altro l’oltranzismo giudiziario di magistrati come Falcone e Borsellino. Lo scopo fu di salvare la Repubblica. E tale scopo venne raggiunto. Il segno più evidente di tale risultato fu la scomparsa di molti partiti ormai superflui o vecchi e la nascita di una formazione nuova, dinamica, aperta come Forza Italia. Uno dei cui fondatori fu per l’appunto un mafioso di primo piano -giudicato tale ormai anche dai tribunali- come il palermitano Marcello Dell’Utri, al quale Silvio Berlusconi ha più volte correttamente e pubblicamente attribuito l’identità e il successo elettorale del suo partito. Che Berlusconi accogliesse nella propria casa e tra gli amici più intimi esponenti importanti di CN, come Vittorio Mangano, è soltanto una delle manifestazioni di tale profonda consonanza.
Venendo al tempo a noi più vicino, è del tutto in linea con tale storia la giusta difesa che l’attuale Presidente della Repubblica conduce strenuamente a favore del suo amico e allora Ministro Mancino. Non solo: uno degli elementi di maggiore importanza e significato della strategia del Presidente Renzi consiste nell’innovare, sì, ma rimanendo in continuità con le forze più moderate, occidentaliste e pragmatiche del Paese, a cominciare dalla massoneria nei suoi esponenti più vicini al mondo degli affari, compreso ovviamente il mondo di Cosa Nostra. Non a caso le attività di tali organizzazioni sono state di recente e finalmente inserite dall’Istat tra quelle che concorrono a formare il Prodotto Interno Lordo dell’Italia.
Infine, ma per me è la questione più importante di tutte, c’era e c’è un problema di giustizia. Non si vede infatti in base a quale criterio etico e politico alcuni dei soggetti che hanno concorso e concorrono a tale vicenda debbano stare in carcere -e subire addirittura le restrizioni dell’articolo 41 bis- e altri soggetti altrettanto responsabili di tutto questo debbano stare nei ministeri e in istituzioni ancora più importanti. L’omicidio, a suo tempo, dell’onorevole Salvo Lima fu una delle espressioni più chiare anche se dolorose di tale esigenza di giustizia.
Il film di Sabina  Guzzanti si occupa in parte di tutto questo, coniugando molta documentazione con un po’ di immaginazione. E in tal modo offrendo una buona sintesi della storia italiana nella seconda metà del XX secolo e negli anni Zero e Dieci del XXI.

«Tu sei maledetta!»

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Quando il tiro si alza / When the barrage lifts
Il sangue d’Europa: 1914-1918
Scritto, diretto e interpretato da Guido Ceronetti e dagli attori del Teatro dei Sensibili
Con: Luca Mauceri (Baruk), Eléni Molos (Dianira), Valeria Sacco (Egeria), Filippo Usellini (Nicolas)
e con la partecipazione di Elisa Bartoli (Durga, la ballerina ignota)
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
3-5 ottobre 2014

Prima che il sipario si apra campeggia La Guerre di Henri Rousseau (1893). Poi sta e rimane sullo sfondo  una scritta: «1914-1918. La storia dal volto inumano». È vero, certo. Quell’evento terrificante, la cui responsabilità a Versailles venne attribuita alla sola Germania, ha avuto una molteplicità di cause complesse e intricate tra di loro. In ogni caso, ha rappresentato l’avvenimento sinora più importante della contemporaneità. La Prima Guerra Mondiale pose fine non soltanto a un periodo di 44 anni di pace in Europa, non soltanto alla lievità della Belle Époque e alla fiducia del positivismo nelle sorti umane. Pose fine soprattutto all’Europa, per mezzo di quel «suicidio obbligatorio di massa» (così lo definì Guido Piovene, qui ricordato) nel quale vennero massacrate dieci milioni di persone e altre venti furono ferite, storpiate, infollite. Fu il suicidio dell’Europa a favore dell’oriente russo e dell’occidente americano. Ne seguirono la rivoluzione bolscevica, il fascismo, il nazionalsocialismo, la Seconda Guerra Mondiale, Hiroshima e Nagasaki, la Guerra Fredda, il dominio attuale della finanza criminale. Tutto partì da lì, da quello sparo di Sarajevo che in realtà era stato preparato da lungi e nel quale si condensò qualcosa che va oltre le volontà le strutture le cause.
È per questo che quella scritta non è del tutto corretta. Tra il 1914 e il 1918 la storia svelò anche uno dei volti umani più profondi: quello della ferocia. Svelò il volto del Leviatano, di una struttura costruita per evitare la distruzione e che invece della distruzione diventa la causa determinante. Ferocia che arrivò al suo culmine negli Stati Maggiori di tutti gli eserciti, in quell’atteggiamento folle, incompetente e fanatico che accomunò Cadorna ai suoi colleghi di tutti i fronti e che viene descritto in modo perfetto da Kubrick in Orizzonti di gloria.
Guido Ceronetti ha scritto e costruito un cammino lucido, poetico e doloroso dentro il massacro. Lo ha fatto dando voce a testimoni e narratori -Apollinaire, Bloy, Jünger, Döblin, Remarque, Zweig, Lavedan, Ungaretti, Céline- e soprattutto dando carne e movimento ai suoi attori, tutti giovani, intensi, tragici. Il cammino si conclude con un soldato «crocifisso al legno della vostra demenza sadica».
A distanza di un secolo dall’inizio della fine, su quella Guerra sono state pronunciate infinite parole ma essa rimane qualcosa che va oltre le parole.

Pasolini / Milano

LA NEBBIOSA. Lo sguardo di Pasolini su una Milano ormai scomparsa
Milano – Palazzo Moriggia / Museo del Risorgimento – Laboratorio di Storia Moderna e Contemporanea
A cura di F.G. Confalonieri
Sino al 14 settembre 2014

«Che Pasolini non fosse interessato a Milano è un luogo comune duro a morire» affermano giustamente i curatori di questa mostra. Vorace di vita e curioso di sapere com’era, Pasolini capiva infatti che la città lombarda era il luogo dove la mutazione antropologica degli italiani stava avvenendo nel modo più chiaro. Anche per questo accettò nel 1959 la proposta di scrivere la sceneggiatura di un film ambientato nel mondo dei teddy boys, dei giovani teppisti imitatori dello stile di vita statunitense.
Nel novembre di quell’anno Pasolini esplora dunque la città «con un gruppo di ragazzi teppisti quanto basta, che gli fanno da guida linguistica e antropologica». Il titolo del progetto era La Nebbiosa, a indicare uno dei massimi luoghi comuni sulla città ma certamente anche evocativo delle sue atmosfere. Quel film poi non si fece -o fu realizzato in modi lontanissimi da quanto Pasolini aveva pensato- e la sceneggiatura integrale è stata pubblicata soltanto di recente (sul numero 3 della rivista Arabeschi Maria Rizzarelli ne fa un’analisi densa e rigorosa ).
La mostra consiste in immagini scattate negli anni Sessanta, alle quali si accompagnano brani della sceneggiatura pasoliniana. Il risultato è davvero coinvolgente sia per la qualità delle fotografie (di Cattaneo, Berengo Gardin, Scianna, Colombo, Dabbrescia, Garolla, Oliviero, Barbey, Benzi, Zanni, Milani, Strizzi, Gelmi) sia per la densità e bellezza del testo.
La vicenda accade tutta in un giorno, il giorno di Capodanno, uno di quei momenti nei quali l’obbligo di divertirsi può condurre ai peggiori esiti. L’itinerario dentro la città ha inizio a Metanopoli e si conclude a San Siro, nei pressi di quello stadio che una foto del 1964 mostra ancora immerso nel verde, mentre adesso è -ovviamente- circondato da case e quartieri. Tra questi due luoghi si dipana ciò che può accadere a un gruppo di teppistelli in cerca di emozioni, trasgressione, alcol, donne. Pasolini sa che la loro violenza -anche contro i padri- è del tutto sterile. Scrive: «Ma non li odiate abbastanza…perché, in fondo, siete come loro» e infatti veniamo a sapere che nel 1995 «si fanno vivi con i giornali i due principali informatori di Pasolini  -il Gimkana e El Lobo- […] diventati nel frattempo stimati professionisti». Questi futuri professionisti non praticano soltanto eccesso e violenza ma con i loro compagni ballano a lungo in un locale «tutti presi dal ritmo che ha qualcosa di religioso, di mistico» e sanno anche gioire: «Le loro risa di gioia risuonano nella strada deserta, in fondo alla quale si intravede la sagoma dello stadio, una costruzione che pare metafisica».
Altre costruzioni emergono nel freddo della notte e dell’alba: «Dietro quell’ammasso di macerie splendono le sagome di quattro, cinque, grattacieli: il Galfa, il Pirelli ecc.  Sono immagini stupende: sfolgorano di luci come giganteschi diamanti, come colossali fantasmi pietrificati». A risuonare è spesso soltanto il silenzio di giovani che -dirà qualche anno dopo Pasolini- «sanno solo ghignare o sghignazzare» (Lettere luterane, Einaudi 1976, p. 9). Una profonda malinconia attraversa dunque questo progetto: «Di nuovo nessuno gli risponde: e, fuori, quel paesaggio ossessivo di immagini tristi, di viali, senza speranza».
La Nebbiosa fu pensato da Pasolini anche come risposta alla Milano di Giovanni Testori, i cui testi lo avevano affascinato, in particolare Il Dio di Roserio. Entrambi guardano agli umani e ai loro spazi con disincanto ma anche con pietà e con poesia.

Sul terrorismo statunitense

Lo scorso 10 agosto ho scritto che «l’Iraq era una società laica e multietnica. La stolta guerra degli USA e dei loro servi lo ha consegnato agli islamisti più fanatici».
Ieri mi sono trovato a leggere, tra le molte altre, queste parole:

===================
1) Innanzitutto occorre mettere in discussione, una volta per tutte, la leadership nordamericana. Gli USA non ne hanno azzeccata una in Medio Oriente. Hanno portato morte, instabilità e povertà.
Hanno dichiarato guerra al terrorismo e il risultato che hanno ottenuto è stato il moltiplicarsi del fenomeno stesso. A Roma, nel 2003, manifestammo contro l’intervento militare italiano in Iraq. Uno degli slogan era “se uccidi un terrorista ne nascono altri 100”. Siamo stati profeti anche se non ci voleva un genio per capirlo. Pensare di fermare la guerra in atto in Iraq armando i curdi è una follia che non credo che una persona intelligente come il Ministro Mogherini possa davvero pensare. Evidentemente le pressioni che ha subito in queste settimane e il desiderio che ha di occupare la poltrona di Ministro degli esteri della Commissione europea, l’hanno spinta ad avallare le posizioni di Obama e degli USA ormai autoproclamatisi, in barba al diritto internazionale, poliziotti del mondo.Loro, proprio loro, che hanno sostenuto colpi di stato in tutto il pianeta, venduto armi a dozzine di dittatori, loro che hanno impoverito mezzo mondo, loro che, da soli, utilizzano oltre il 50% delle risorse mondiali.
Loro che hanno invaso Iraq e Afghanistan con il pretesto di distruggere le “cellule del terrore” ma che hanno soltanto progettato oleodotti, costruito a Baghdad la più grande ambasciata USA del mondo ed esportato, oltre alla loro democrazia, 25.000 contractors in Iraq, uomini e donne armati di 24ore che lavorano in tutti i campi, dalle armi al petrolio passando per la vendita di ambulanze. La guerra è davvero una meraviglia per le tasche di qualcuno.

2) L’Italia, ora che ne ha le possibilità, dovrebbe spingere affinché la UE promuova una conferenza di pace mondiale sul Medio Oriente alla quale partecipino i paesi dell’ALBA, della Lega araba, l’Iran, inserito stupidamente da Bush nell’asse del male e soprattutto la Russia un attore fondamentale che l’UE intende delegittimare andando contro i propri interessi per obbedire a Washington e sottoscrivere il TTIP il prima possibile. Essere alleati degli USA non significa essere sudditi, prima di applicare sanzioni economiche a Mosca, sanzioni che colpiscono più le imprese italiane che quelle russe, si dovrebbero pretendere le prove del coinvolgimento di Putin nell’abbattimento dell’aereo malese. Non dovrebbe bastare la parola di Washington, soprattuto alla luce delle menzogne dette sull’Iraq.
===================

È soltanto un brano dell’ampia analisi che Alessandro di Battista dedica alla situazione geopolitica contemporanea. Analisi che chiede ciò che ormai è improrogabile: uscire dal Novecento e dalle sue guerre, a partire da quella del 1914-1918.
Ho fatto proprio bene a votare, alle ultime elezioni politiche italiane, per queste persone.

[p.s. Ancora una volta il sistema implacabile dei media -della «Società dello spettacolo»- ha ridotto alla misura della propria inevitabile superficialità un intervento storico-politico lungo, articolato e complesso. Abbandonate le varie Pravde, cari amici, e cercate, là dove è possibile, di andare alle fonti dei fatti e delle parole].

[Photo by Chandler Cruttenden on Unsplash]

Brazil. Terrorismo e burocrazia

Brazil
di Terry Gilliam
USA, 1985
Con: Jonathan Pryce (Sam Lory), Kim Greist (Jill Ayton), Michael Palin (Jack Lint), Ian Holm (Kurtzmann), Robert De Niro (Archibald Tuttle), Katherine Helmond (Ida Lowry). Bob Hoskins (Spoor), Ian Richardson (Warren), Jim Broadbent (Il Dottor Jaff)

Uno degli oppositori -definito naturalmente terrorista viene investito da fogli su fogli che mulinano al vento e che lo coprono interamente. Forse viene proprio ucciso dalle carte. Moduli su moduli, uffici su uffici, commi su commi, code su code. Un delirio burocratico minuzioso e bizzarro cerca di rendere razionale, organizzato ed efficiente l’arbitrio più feroce e la violenza più cruda del sistema totalitario, vale a dire del potere finalmente svelato a se stesso, nella sua effigie, sostanza, scopo ed essenza. Il potere di 1984, al quale il film molto liberamente si ispira.
La burocrazia come lifting, dunque. Lo stesso lifting che cerca di nascondere la decadenza di alcune vecchie signore amiche del regime e che invece le riduce alla fine a maschere orrende e a cadaveri liquefatti. Ma a loro si dice che devono stare tranquille, il problema avrà presto soluzione. Il Natale disneyano nel quale il film è immerso è la conferma delle tesi di Adorno sulla complicità tra ottimismo e barbarie. La citazione della scena/scalinata della Corazzata Potëmkin è un altro tassello ancora di questo doloroso itinerario nell’assurdo della iperrazionalizzazione.
Grottesco, postmoderno e visionario, Brazil è un incubo. Alla lettera.

Frammenti / Materia

Mimmo Rotella. Décollages e retro d’affiches
Palazzo Reale – Milano
A cura di Germano Celant
Sino al 31 agosto 2014

Rotella. Con_un_sorriso_1962«Alcuni pittori stravaganti rifiutano pennelli e tavolozza e realizzano le loro opere usando materie dure e ostili», così si leggeva su un vecchio numero del settimanale Oggi. Tra tali stravaganti Mimmo Rotella, il quale fu capace di trasformare il medium in messaggio, di far dire alla comunicazione popolare del suo tempo ciò che essa affermava ma neppure sapeva di possedere, di porsi al di là della dicotomia tra astratto e figurativo, di condensare nella materia la vittoria della forma, sempre.

A questo scopo Rotella attua un vero e proprio détournement situazionista: strappa dai muri di Roma alcuni dei tanti enormi manifesti che vi si trovavano, li lavora e li ricostruisce nel suo studio, creando così i décollages. I retro d’affiches consistono invece e per l’appunto nella parte posteriore degli stessi manifesti, rielaborati anch’essi. Se i décollages presentano disegni, ritratti, colori definiti, i retro d’affiches sono assai più astratti perché impastati di colla e degli altri materiali che sostengono i manifesti.
Vediamo quindi in tutto il loro frammentato splendore ciò che all’epoca -anni Cinquanta e Sessanta del Novecento- era famoso: titoli di film, pistoleri e pellerossa, star del cinema come Marilyn, personaggi del circo e di Hollywood, bevande, oggetti di consumo. L’ultimo Kennedy del 1963 è un manifesto al quale manca la fronte.
L’allestimento milanese propone un percorso a ritroso che va dal 1964 al 1953 e affianca giustamente alle opere di Rotella artisti che ne resero possibile l’idea, come Marinetti, Prampolini, Piero Manzoni (con i suoi Achrome), Yves Klein (con i Monochrome; bellissimo Pigmento turchese del 1958), Jean Dubuffet. Enrico Baj, Alberto Burri (Bianco, 1954), Lucio Fontana.
La lezione di questi amici e colleghi si condensa in un’opera come Materia-collage (1958; visibile qui accanto), nella quale la violenza dei frammenti, della carta, della colla, della materia emerge in tutta la sua forza, in una vittoria della pura forma, sempre. Nel percorso à rebours si va dal nero e dall’oscuro ai colori sempre più accesi, alle strutture sempre più gioiose. Al centro un’opera fondamentale come Un altro pianeta (1960), un quadro che fa toccare le forme e i colori della dissoluzione.

Vai alla barra degli strumenti