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Potere / Idiozia

Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve
(The 100-Year-Old Man Who Climbed Out the Window and Disappeared )
di Felix Herngren
Svezia, 2013
Con Robert Gustafsson (Allan Karlsson), Iwar Wiklander (Julius Jonsson), David Wiberg (Benny), Mia Skäringer (Gunilla), Ralph Carlsson (il detective Aronsson)
Trailer del film

Il centenario che saltò dalla finestraDurante la guerra di Spagna combatte dalla parte dei repubblicani ma diventa amico di Franco; dà un contributo fondamentale alla costruzione della bomba atomica; viene rapito dai sovietici e finisce in Siberia ma poi diventa una loro spia; è però anche al servizio della CIA; contribuisce alla decisione di smantellare il muro di Berlino. Adesso sta per compiere cento anni di vita e fugge dalla casa di riposo in cui si trova; ruba casualmente un’enorme somma di danaro a una banda di criminali; viene aiutato da un ferroviere quasi in pensione, da uno studente universitario che ha dato decine di esami senza però ancora laurearsi, da una ragazza che vive in compagnia di un’elefantessa.
Allan Karlsson attraversa tutto questo con la calma imperturbabile di Chance the Gardener, difeso dal potente scudo che sempre la stupidità rappresenta di fronte alle insidie della vita umana. Un film divertente e assolutamente lieve -in pratica una serie di scene comiche una dopo l’altra- ma che ha la capacità di fare del suo inossidabile protagonista un disvelatore dell’idiozia dei potenti: dal detective ispettore capo Aronsson -un autentico cretino- ai dittatori e ai criminali che incontra lungo il suo cammino secolare. I criminali fuorilegge li fa fuori uno dopo l’altro, i criminali che sono la legge li vede transitare e tramontare mentre lui sta lì a godersi infine il mare di Bali.

Mammona

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Lehman Trilogy
di Stefano Massini
Regia di Luca Ronconi
Con: Massimo De Francovich (Henry Lehman), Fabrizio Gifuni (Emanuel Lehman), Massimo Popolizio (Mayer Lehman), Paolo Pierobon (Philip Lehman), Roberto Zibetti (Herbert Lehman), Fausto Cabra (Robert Lehman), Martin llunga Chishimba (Testatonda Deggoo), Fabrizio Falco (Salomon Paprinskij), Raffaele Esposito (Pete Peterson), Denis Fasolo (Lewis Glucksman), Francesca Ciocchetti, Laila Maria Fernandez
Scene di Marco Rossi
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Sino al 15 marzo 2015

Henry, Emanuel e Mayer Lehman provenivano da Rimpar, un paesino della Baviera. Nel 1850 fondano a Montgomery (Alabama) la loro società. Da commercianti di tessuti che erano si sono inventati un nuovo mestiere, quello di mediatori. Comprano il cotone dalle piantagioni e lo rivendono agli industriali che lo trasformano in tessuti. Dopo la Guerra di Secessione si trasformano in banchieri, oltre che in commercianti di caffè. Finanziano le ferrovie attraverso le obbligazioni, con le quali diventano ricchi, molto ricchi. Poi il petrolio, l’impegno in politica di uno dei loro figli come governatore di New York e senatore. Sopravvivono al crollo del 1929. Durante e dopo la Seconda guerra mondiale estendono i loro affari in tutti i continenti. Finanziano l’industria dello spettacolo, la televisione, i prodotti di consumo. Negli anni Ottanta e Novanta del Novecento la Lehman Brothers giunge al culmine del suo Beruf, della vocazione-professione a «comprare soldi per vendere soldi, per prestare soldi, per scambiare soldi», come afferma Philip Lehman già alla fine dell’Ottocento. Il core business della Lehman Brothers diventa quindi il trading, la pura speculazione sui prodotti finanziari più rischiosi, sui titoli spazzatura, sui mutui subprime, sui derivati, sulle truffe più legali che esistano. Sino al crollo finale. Il 15 settembre del 2008 la Banca dei fratelli Lehman cessa di esistere.
Centosessanta anni di storia del capitalismo ebraico-statunitense narrati in modo calmo, lucido, onirico, interiore e oggettivo dalle voci dei Lehman, dalle loro azioni, dai loro entusiasmi, dalla loro abilità, dalla loro spregiudicatezza, dai loro sogni e incubi, dai loro matrimoni, dalle loro mogli, dai loro figli, dalle loro morti. All’inizio veniva rispettato lo Shivà, i sette giorni di lutto alla morte di un membro della famiglia, poi gli affari non potranno più aspettare, la Borsa non chiude mai.

La componente religiosa emerge in tutta la sua forza da questo testo e dalla sua messinscena. Una componente identitaria, dove la struttura fondamentale è sempre il danaro. Produzione di danaro per mezzo di danaro, Baruch Aschem, benedetto il Signore. Una produzione infinita che causa una rovina determinata non «da fenomeni di corruzione o di malaffare, quanto invece da un insieme, verrebbe da dire, di patologie sistemiche» (Stefano Massini, Programma di sala, p. 14). Sistemica perché a un certo punto della storia europea prima e mondiale poi, il danaro non è stato più cercato per ottenere qualcosa ma è stato cercato per se stesso. Una differenza fondamentale rispetto al millenario desiderio di essere ricchi e di vivere più agiatamente. Una patologia che non è rimasta limitata a cerchie ristrette di banchieri, usurai, avari, paperon de’ paperoni nuotanti nell’oro, ma è diventata la frenesia di milioni di persone che affidano i loro risparmi e le loro speranze a una finanza molto più rischiosa del gratta e vinci o del gioco delle tre carte negli angoli più nascosti delle città perdute. Massini ricorda che il vicepresidente di Lehman «al momento del crollo non ebbe problemi a dichiarare che nessuno di loro aveva idea di quanti e quali fossero i debiti della banca» (p. 19).
Ma davvero tali patologie non hanno nulla di corrotto o di malaffare? «Le agenzie di rating  nel 2007, alla vigilia di una nuova crisi, promuovevano ancora con ottimi voti alcune banche virtualmente fallite» (Sergio Romano, p. 25). Solo incompetenza? Non lo credo possibile. «Richard Fuld, l’amministratore della banca, aveva da tempo presentato dei falsi bilanci e negli ultimi dieci anni aveva versato 300 mila dollari a deputati e senatori del congresso americano per corromperli, è stato messo sotto inchiesta da altri membri del congresso stesso» (Wikipedia). Complicità, dunque, e conflitti di interesse: «Il valore teorico di tutte le categorie di derivati è aumentato negli ultimi vent’anni di venti volte ed è oggi calcolato in 600 trilioni di dollari, vale a dire 10 volte il prodotto interno lordo mondiale» (S. Romano, pp. 25-26).

I Lehman Brothers attinsero alla volontà di ricchezza di milioni di persone e ne fecero il fondamento del loro desiderio di non morire, di diventare immortali, come dichiara Robert Lehman. Il modo in cui Massini, Ronconi e i magnifici attori che interpretano Lehman Trilogy mettono in scena tutto questo è coinvolgente sino all’immedesimazione e al divertimento. Il ritmo variabile della scrittura e del testo raggiunge un vertice e un vortice durante una delle scene finali, quando Robert Lehman, dopo aver creato una specifica Divisione Trading nella Banca assumendo a questo scopo i più spregiudicati finanzieri, comincia a ballare insieme a due di loro il twist. In quel tremare e godere di tutto il corpo dei tre attori sembra di toccare e sentire la follia più fonda, la ὕβρις.
Cinque ore di teatro, di affabulazione, di passioni, di epica vissuta su un palcoscenico assai semplice, nel quale ogni oggetto, ogni insegna, ogni sedia, ogni movimento dice una cosa sola: Mammona. «Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Lc. 16,13). Ma c’è chi ci riesce benissimo.

Chagall, il coro umano

Marc Chagall
Una retrospettiva 1908-1985
Palazzo Reale – Milano
A cura di Claudia Zevi e Meret Meyer
Sino al 1 febbraio 2015

Chagall-Composizione-con-cerchi-e-capra-1920-Imponente riepilogo dell’opera di questo longevo Maestro (1887-1985), la mostra milanese ne percorre la vicenda dal villaggio russo della giovinezza alle capitali del mondo -Parigi soprattutto- nelle quali Chagall ebbe la fortuna di vedere riconosciuto da vivo il proprio valore. Si può, in questo modo, osservare la costanza nella differenza. Costanza nei temi -i contadini; gli animali simbolici come la capra, il gallo, l’asino, la vacca; la coppia; i riti ebraici-, differenza nelle forme, nel percorso dentro molti stili ma sempre con una inconfondibile spazialità capovolta e dinamica. I risultati più coinvolgenti miChagall_Don-Chisciotte_HD_1973 sembrano quelli segnati dal cubismo e da variabili geometrie. Mano a mano che si procede dentro l’opera e dentro il secolo, i colori diventano sempre più accesi, cupi, profondi; il simbolismo ebraico-cristiano sempre più pervasivo; la materia pittorica sempre più raggrumata sulla tela.
Rispetto alle assai conosciute spose volanti e rabbini preganti, tre opere spezzano un poco la monotonia simbolica. Un Bue squartato che è quello di Rembrandt ma sullo sfondo di un villaggio russo (1947), la Composizione con cerchi e capra (1920) frutto dell’iniziale slancio delle avanguardie post-rivoluzionarie, un quadro che va al di là del sogno e della felicità, cogliendo la pura forma come senso del dipingere; il Don Chisciotte del 1974, un dipinto storico e cosmico la cui struttura si ispira a El Greco e riassume la coralità che costituisce la vera cifra dell’opera di Chagall.

«que plus rien existe…»

Rigodon
di Louis-Ferdinand Céline
(1961)
Traduzione di Giuseppe Guglielmi
Introduzione di Massimo Raffaeli
Terzo volume della Trilogia del Nord
Einaudi, Torino 2007
Pagine XIV-271

rigodonCéline, la moglie Lili, il gatto Bébert attraversano nella primavera del 1945 l’Europa in guerra, sondano le rovine, si immergono nella «Germania in furia nichilista» (pag. 61), con le sue città in fiamme, colpite dalle bombe al fosforo lanciate sempre dalle stesse potenze, ad Amburgo allora come nel Vicino Oriente oggi, scagliate da «gente ricca…ricca senza fondo…uuuh! …che questo li diverte…e che illuminazione!» (142), come a «Hannover…dei fuochi di resti di case…bisogna avere visto…ogni casa giusto nel mezzo…tra ciò che erano i suoi quattro muri, una fiamma che ruota, gialla…viola…turbina…fugge!…alle nuvole!… danza … scompare… riprende… l’anima di ogni casa…una farandola di colori, dalla prime macerie a tutto là in fondo…» (136). Un mondo finito, dove «c’è mica speranza, disgraziati!» (6) ma la speranza è la scrittura, è saper guardare e dire senza esitazioni e consolazioni tutto l’orrore delle cose. L’orrore dell’uomo che è «un degenerato un mostro tra gli altri, che per fortuna si riproduce sempre più di rado» (186), l’orrore del Cosmo, che è anch’esso menzogna, è la bugia delle «stelle che brillano, miliardi pieno il firmamento, falsarie…che sono morte da miliardi di anni! …evaporate!» (96).
E in questa menzogna universale che è l’esserci, rimangono soltanto due elementi nella loro potenza primigenia e costante: «Solo la biologia esiste, il resto è blablà…» (109), solo la forza della vita che vuole vivere ancora, cieca e insensata, l’energia dei corpi che pur affamati malati stanchi storpiati feriti si trascinano per regioni e città, alla ricerca di una salvezza purchessia; l’altro elemento è la scrittura, è la petite musique, è lo stile sincopato, estremo, vivo, jazzistico, con i suoi «tre puntini…da farmi perdonare» (171), con il rifiuto del «“solido buon senso”» anche nella scrittura, poiché esso è «la morte del ritmo!» (269), con la certezza visionaria e insieme lucida di essere «pieno di stile […] che li renderò tutti illeggibili! …tutti gli altri! […] l’epoca è mia! io sono il benedetto delle Lettere!» (181). Uno stile che somiglia, appunto, al rigodon, la danza arcaica, immobile e tuttavia frenetica nel suo «delirio di immobilità» (M. Raffaeli, pag. VIII), «…il ballo al bersaglio, il rigodon che è tutto! per la madonna che si salta!» (268).
Questo stile si scaglia contro coloro che andranno a occupare le terre di Palestina, «tutti così perseguitati, ansanti, eroi del lavoro e del dissodamento, della falce, della banca e del martello…» (255); contro le masse e i politicanti sempre pronti a correre in soccorso del vincitore, come disse una volta Flaiano: «Ci fosse stato qui per esempio l’Hitler a vincere, c’è mancato un pelo, vedreste ve lo dico io l’ora attuale, che sarebbero tutti per lui…a chi che avrebbe impiccato il più di ebrei, chi che sarebbe stato il più nazi…tirato fuori l’entragna a Churchill, portato in giro il cuore strappato a Roosevelt, fatto il più di tutti l’amore con Goering…» (268); contro una delle più radicali espressioni della spietatezza e dell’intolleranza: «Bibbia il libro più letto del mondo…più porco, più razzista, più sadico che venti secoli di arene, Bisanzio e Petiot mescolati! …di quei razzismi, fricassee, genocidi, macellerie dei vinti che le nostre più peggio granguignolate vengono pallide e rosa sporco in confronto» (14). Tutto questo è frutto dell’umano. E perciò il libro ha una splendida dedica «Agli animali».
Ancora una volta -e sino all’ultima parola che chiude il romanzo e la vita di Céline- questa lingua feroce e dolente è una «luce così cruda così violenta quasi da straziare le facce…» (183), una luce assoluta, «di quelle profondità spumose che più niente esiste…» (271).

Aldo Moro /  Stato

Televideo Rai, 12.11.2014, ore 15.31

Moro, pg: Pieczenik indiziato su omicidio

15.31 Nei confronti dell’americano Steve Pieczenik, ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa e ‘superconsulente’ del Governo italiano ai tempi del sequestro di Aldo Moro, vi sono “gravi indizi circa un suo concorso nell’omicidio” dello statista democristiano. Lo sostiene il procuratore generale di Roma, Luigi Ciampoli, che chiede alla procura di procedere. C’è anche un altro indiziato, ma è morto: è il colonnello Camillo Guglielmi, già in servizio al Sismi, presente in via Fani la mattina del 16 marzo 1978 quando fu rapito Moro.

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Aldo Moro venne sequestrato e assassinato da organi dello Stato italiano su incarico del governo degli Stati Uniti d’America. Le Brigate Rosse furono il braccio armato di tale operazione.
È quello che pensava Guy Debord, il quale giudicava il «terrorisme illogique et aveugle» delle Brigate Rosse una emanazione della P2, da lui definita Potere Due (Préface à la quatrième édition italienne de La Société du Spectacle, in Commentaires sur la Société du Spectacle [1988], Gallimard 1992, p. 138).
La concordia tra lo Stato e il terrorismo rosso è per Debord svelata da un lapsus: S.I.M., la sigla con la quale le BR indicavano lo “Stato Imperialista delle Multinazionali” non sarebbe altro che il modo con cui le Brigate Rosse firmavano senza volerlo la loro vera natura di succedanee del Servizio Informazioni Militari del regime fascista (Ivi, p. 135).
Condivido l’analisi di Debord. Ulteriori conferme arriveranno. Tardi ma arriveranno. Lo Stato è un mostro che divora anche se stesso poiché «Staat heisst das kälteste aller kalten Ungeheuer. Kalt lügt es auch; und diese Lüge kriecht aus seinem Munde: ‘Ich, der Staat, bin das Volk’. Lüge ist’s! […]  Aber der Staat lügt in allen Zungen des Guten und Bösen; und was er auch redet, er lügt. […] Falsch ist Alles an ihm». [«Stato si chiama il più gelido di tutti i freddi mostri. Freddo anche nel mentire; e questa menzogna striscia dalla sua bocca: ‘Io, lo Stato, sono il popolo’. È una menzogna!  […] Ma lo Stato mente in tutte le lingue riguardo al bene e al male: e qualunque cosa dica, egli mente. […] Tutto è falso in lui»] (Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra, parte I, «Vom neuen Götzen [Del nuovo idolo]»

La guerra

torneranno i prati
di Ermanno Olmi
Italia, 2014
Con: Claudio Santamaria (l’ufficiale), Francesco Formichetti (il capitano), Domenico Benetti (il sergente), Alessandro Sperduti (il tenente)
Trailer del film

torneranno i pratiAncora la maledetta, ancora quella guerra 1914-1918 che fu il suicidio dell’Europa, che pesa sul nostro presente, che costituisce uno degli esempi più chiari -forse il più chiaro di tutti in epoca contemporanea- di dove possano condurre le classi dirigenti quando nulla le può più schiodare dalle loro convinzioni politico-economiche diventate dogma.
Di quella tragedia infinita Ermanno Olmi ha saputo dipingere la miseria, l’angoscia, la rassegnazione, lo schifo, lo sporco, la paura, l’insensatezza. Ha saputo descrivere la trincea. Uomini rinchiusi sotto metri di neve nel gelido inverno del fronte di nord-est. Davanti a loro uomini, gli austriaci, che mai si vedono né si sentono e dai quali arrivano colpi di mortaio e spari di cecchini. Dall’altra parte le condizioni erano identiche. Gli austriaci dalle trincee italiane vedevano arrivare colpi di mortaio e spari di cecchini. Lo stesso nelle trincee di tutti i fronti, come raccontano anche Erich Maria Remarque e Stanley Kubrick  per il fronte occidentale. Ovunque la lordura, gli insetti, i ratti, la fame, la febbre, la disperazione di chi è intrappolato e non vede, non ha vie d’uscita.
torneranno i prati è capace di raccontare tutto questo insieme al canto di un soldato napoletano, al pianto degli ufficiali e della truppa, alla luna che splende immensa e serena sugli altopiani di Asiago mentre una volpe attraversa -libera- la neve, il filo spinato, i boschi.

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