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I Mann e la Germania

Teatro Franco Parenti – Milano
Mephisto
Ritratto d’artista come angelo caduto

liberamente ispirato alla carriera di Gustaf Gründgens
raccontata da Klaus Mann
Regia e drammaturgia di Luca Micheletti
Con Federica Fracassi, Luca Micheletti, Michele Nani, Massimo Scola, Lidia Carew

La famiglia Mann ebbe un rapporto tormentato con la Germania. Le Considerazioni di un impolitico di Thomas (1918), per quanto successivamente in parte criticate dallo stesso autore, costituiscono una esplicita presa di posizione a favore della Kultur contro la Zivilisation e dunque dell’identità tedesca contro la decadenza europea. Mephisto di Klaus (1936) va invece in direzione opposta e rappresenta una dura denuncia del tradimento che gli artisti tedeschi attuarono aderendo al nazionalsocialismo. La vicenda di Hendrik Höfgen è quella del cognato di Klaus -l’attore Gustaf Gründgens- il quale transitò da posizioni rivoluzionarie all’adesione al regime nazista, con tutti i vantaggi che questo comportò.
Pur affrontando una tematica sempre attuale -qual è la relazione tra arte, pensiero, potere- il romanzo di Klaus Mann mostra i suoi anni e il suo radicamento in un contesto esistenziale e politico assai preciso. Luca Micheletti e gli altri ottimi attori fanno di tutto per renderne vivi i contenuti ma lo spettacolo risulta un poco kitsch e molto urlato. Forse certi libri bisogna lasciarli riposare in pace.

Quaderni neri

Quaderni_neri_1931_1938

Recensione a:
Quaderni neri 1931 / 1938 (Riflessioni II-VI)
di Martin Heidegger
(Bompiani 2015, pp. X-704)
in Discipline Filosofiche (10 dicembre 2015)

 

 

 

 

 

Intrisi di pensiero e declinati in un continuo domandare, i Quaderni costituiscono anche e soprattutto un costante invito alla filosofia, le cui definizioni si moltiplicano pervenendo ogni volta a un’essenza che riduzionismi di varia natura inutilmente cercano di cancellare, poiché «Filosofia è – filosofia: niente di più e niente di meno» (p. 614). Questo sapere «inutile ma signorile» (p. 364) è un «dire che lavora alla costruzione dell’Essere tramite la costruzione del mondo in quanto concetto» (p. 278), è un «portare, domandando, all’evento il dispiegarsi essenziale dell’essere» (p. 334).

 

Il tempo in un arazzo

Storia di un arazzo
POLLICE VERSO
Arte e industria nella Milano di fine Ottocento
A cura di Fausta Squatriti
Nardini Editore, 2015
Pagine 192

Un libro dedicato a un finto arazzo -esattamente un telo figurato- costruito con telaio Jacquard nel 1898, sulla base di una xilografia pubblicata nel 1874 su un numero dell’Illustrazione universale. Xilografia che riproduceva il dipinto di un artista totalmente avverso alle avanguardie nascenti, Jean-Léon Jérôme (1824-1904), il quale nel 1872 raffigurò La morte del gladiatore, poi universalmente noto con il titolo di >Pollice verso. Un libro quindi ultraspecialistico, per esperti d’arte ottocentesca e cultori della tecnologia applicata? No, per quanto sorprendente possa apparire, questo libro è altra cosa: è un’enciclopedia. In esso, infatti, convergono prospettive, suggestioni, conoscenze che coniugano saperi assai diversi: estetica, sociologia, storia dell’arte, critica letteraria, narrativa, storia politica, storia della tecnologia, filosofia, storia sociale.

Pollice verso è prima di tutto la storia di una famiglia, la vicenda di patrimoni accumulati con tenacia e dilapidati con leggerezza e incoscienza da personaggi che potrebbero ben apparire in una saga romanzesca come I Buddenbrook, il romanzo nel quale Thomas Mann racconta in quegli stessi anni (1901) l’apogeo e il declino (Verfallen) di una famiglia di agiati commercianti di Lubecca. La vicenda della famiglia Angioletti è ricostruita con grande rigore e vivacità nel contributo di Dario Generali; in essa si alternano e si susseguono figure ben consapevoli della durezza della vita e altre assolutamente velleitarie; personalità solidamente borghesi e avventurieri di vario genere; zie religiosissime e cantanti liriche che vanno a cercar fortuna in Sudamerica; rigorosi imprenditori ed ex prostitute molto attente a rubare la fortuna accumulata dagli altri.

Di questa ascesa e declino degli Angioletti fu ed è simbolo un manufatto, il grande arazzo il cui stesso titolo riflette le ambiguità dei segni e delle vicende umane. Non è infatti del tutto accertato, come chiarisce nel suo saggio Sandro Scarrocchia, se il pollice verso significasse una sentenza di condanna o no. «Si continua a discutere ancora oggi se il gesto indichi verdetto di morte» poiché secondo alcune ipotesi è possibile che i romani «si servissero del pollice chiuso nel pugno, come una spada rinfoderata, per indicare la concessione di grazia e il pollice in alto, che indicherebbe la spada sguainata, per il verdetto di morte e, quindi, se non usassero affatto il pollice in giù, tanto meno per decretare verdetto di morte» (p. 98). Il significato fatale del pollice verso il basso si deve proprio al quadro di Gérôme, un gesto ripreso di continuo nell’immaginario artistico e cinematografico sino, ad esempio, al film Il Gladiatore di Ridley Scott (2000). Anche per tale ermeneutica di un gesto decisivo -un atto che può significare vita o può decretare morte- si comprende l’importanza di questo libro.

Ma il dipinto e l’arazzo non si limitano a tale gesto. Il gladiatore mirmillone che ha atterrato il gladiatore reziario preme il proprio piede sul collo dello sconfitto, nell’attesa che imperatore e folla stabiliscano la sentenza. Ebbene, «rimaniamo molto colpiti quando anche membri delle forze dell’ordine fanno ricorso ancora oggi a questa posizione di immobilizzazione a terra, enfatizzando il fatto di avere in mano, anzi nei piedi, cioè sotto gli stivali anfibi, la vita altrui, e simboleggiando così la potenza della repressione» (Scarrocchia, p. 95).

Questo insieme di persone, di eventi e di simboli si incarna e diventa figura nell’opera d’arte che Pollice verso è. Opera nella quale modelli greco-romani, forme neoclassiche, inquietudini romantiche sembrano fondersi in un soggetto nel quale l’immaginario storico declina e si estenua, sino a esprimersi anche come sadismo e culto della morte. Una sensibilità che lungo tutto il Novecento sembrava irrimediabilmente finita, sconfitta, oltrepassata e della quale invece -nella sua splendida e avvincente lettura- Fausta Squatriti mostra la particolare vitalità, oggi.

Già quando furono realizzati, sia il quadro sia l’arazzo, l’arte accademica esalava i suoi ultimi respiri e Cézanne stava lavorando a distruggere quel mondo di deliri romantici, di velleitarie buone intenzioni metaforiche, immagini letterarie non sempre di prima qualità, per dare inizio alle avanguardie del Novecento (40).

E tuttavia il postmoderno -vale a dire la trasformazione dei grandi modelli rivoluzionari delle avanguardie moderne in un corpus di citazioni da rileggere di volta in volta alla luce del presente- ha prodotto il singolare ma del tutto comprensibile risultato che<

a distanza di un secolo e mezzo, l’interesse per quel periodo di passaggio è forte, l’innamoramento per le avanguardie, diluite nel loro lento defluire nel vasto estuario del contemporaneo, appare sfumato e tutto diventa citazione, memoria, cultura, ripensamento. […] L’eccesso di artisticità permea di malinconia il semi-brutto che ci offre, più docilmente del bello, indizi narrativi che lasciano spazio allo spirito conservatore, che non muore mai (49).

Lo spirito conservatore che non muore mai, questa formula con la quale Squatriti conclude il suo saggio può essere spiegata anche alla luce di quanto Scarrocchia afferma a proposito del dipinto di Gérôme in quanto emblema del «segreto del potere imperiale. Giusta la teoria di Elias Canetti, secondo la quale ‘il segreto sta nel nucleo più interno del potere’» (111). Uno dei concetti fondamentali di Massa e potere è la spina. Forse quel pollice -indirizzato che sia verso l’alto o verso il basso- ha in ogni caso la stessa struttura verticale della spina come parte della morte che viene dall’alto, una spina che si conficca in chi la riceve, che non si potrà dimenticare e da cui ci si potrà liberare solo trasmettendo a un altro lo stesso identico comando. Questo dipinto-arazzo è anche un simbolo dell’angoscia del comando, del suo dare la morte e poterla sempre ricevere, al minimo capovolgersi delle sorti e del tempo.

Il tempo è dunque il vero nucleo di questo libro e degli eventi che narra, descrive, mostra, documenta. Che cosa sono le fotografie di cui è intessuto, a partire dalla grande immagine che a p. 21 mostra la famiglia Angioletti in vacanza nel 1895 sul Lago Maggiore? Che cosa sono i testi d’archivio che sin dai primi decenni del XIX secolo narrano la storia degli istituti che accoglievano i bambini ‘esposti’? Che cosa è questo grande arazzo/telo figurato? Tutto questo è il tempo. È negli oggetti e nei corpi che sin dall’inizio e finalmente il tempo diventa visibile, lo diventa in ciò che Marcel Proust nelle pagine conclusive del Tempo ritrovato  descrive come un teatrino di marionette «baignant dans les couleurs immatérielles des années, des poupées extériorisant le Temps, le Temps qui d’habitude n’est pas visible, pour le devenir cherche des corps et, partout, où il les rencontre, s’en empare pour montrer sur eux sa lanterne magique». (À la recherche du temps perdu, Èdition publiée sous la direction de J.-Y. Tadié, Paris, Gallimard, 1999, p. 2307).

Uno dei problemi comuni al moderno e al postmoderno è quello che inevitabilmente e giustamente in questo libro emerge a più riprese: il significato dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Un’epoca la quale, nota giustamente Squatriti, «vede sfumare i confini tra vero e falso, tra originale e riproduzione o copia» (38). Con il Pollice verso della manifattura di Angelo Angioletti siamo davvero «di fronte ad un esempio di riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, non riconducibile alla fotografia, come vuole l’ermeneutica benjaminiana, ma all’arte tessile. Con implicazione di un processo ideativo e realizzativo di grande rilievo» (Scarrocchia, p. 93). E quindi «il concetto di unicità dell’opera d’arte comincia a vacillare a fronte della sua riproducibilità in forma seriale, anche se bisognerà attendere parecchio per avere riproduzioni a colori, più prossime all’originale» (Squatriti, p. 40).

Esattamente. E ciò ha implicazioni estetiche di fondamentale importanza. Ad esempio -per quanto oggi ci sembri singolare- ancora nei primi decenni del Novecento tutte le riproduzioni artistiche erano monocromatiche. Ma è stata anche questa difficoltà nel vedere il colore -nota giustamente Eleonora Marangoni in Proust. I colori del tempo (Electa, 2014)- a rendere possibile il particolarissimo modo in cui Proust parla dei pittori e la continua creazione dei colori di cui la Recherche è fatta. Il bianco e nero aiuta infatti la memoria a ricreare il mondo, gli eventi, gli spazi, gli umani.

Il gesto del gladiatore vincente, il gesto del gladiatore sconfitto, il gesto della folla, il pollice verso, rappresentano il tempo dinamico e insieme immobile della morte, l’istante della fine, l’istante opposto al καιρός. E credo che sia questo a costituire il fascino e la potenza dell’arazzo.

Pollice verso

15-VI-2015 - Locandina present arazzo Crociera Alta
 
 
 
Lunedì 15 giugno 2015 alle 16,30 parteciperò alla presentazione del volume Pollice verso: storia di un arazzo. Arte e industria nella Milano di fine Ottocento, a cura di Fausta Squatriti, Firenze, Nardini 2015.

L’incontro si terrà nello spazio della Crociera Alta, presso l’Università degli Studi di Milano, Via Festa del Perdono 7.

 

Picasso / Segni

Picasso e le sue passioni
Castello Ursino – Catania
A cura di Stefano Cecchetto e Dolores Durán Úcar
Sino al 28 giugno 2015

Duecento opere di Picasso. Soprattutto incisioni. Varie ceramiche -vasi e piatti- e alcuni oli. Tutte opere che si dipanano in mezzo ai segni greco-romani e medioevali del magnifico Castello voluto a Catania da Federico II.
picasso_baccanale_1955Tra questi antichi spazi emergono le tauromachie, dove la crudele e inaccettabile morte del toro si trasforma anch’essa in segno. Nel semplice e bellissimo Baccanale del 1955 vi è il segno mediterraneo: il mare, il verde, le colonne, il canto, la luce. I Vingt poèmes de Gongora sono il segno poetico. I segni delle ceramiche dipinte trasformano questi oggetti in enti semantici e non soltanto d’uso. Il più suggestivo è una brocca con fondo nero sul quale si staglia un Picador. picasso_picador_1952Il segno geometrico vive nella serie dedicata alla Carmen, incisioni senza sangue, senza passioni, senza amore, senza dolore, pura forma. Il segno figurativo è in cinque incisioni a colori di impianto neoclassico, tra realismo magico e puntillismo. Il segno politico domina nella Figura di donna ispirata alla Guerra di Spagna, non presente in mostra ma visibile in una installazione che ne spiega la forte valenza antifranchista, con questa «dama dal culo cristiano che getta delle monete ai soldati mori difenpicasso_Figura de mujer inspirada en la guerrasori della vergine». La mostruosità della figura umanoanimale -simbolo della nobiltà spagnola di fede cattolica che esulta per la vittoria del dittatore- è il segno atroce del potere.
Il segno, infine, della scrittura nella quale Picasso disse che «no, la pittura non è stata inventata per decorare appartamenti. Essa è un’arma di offesa e di difesa dal nemico».

La trasparenza totalitaria

Lo scorso 14 maggio 2015 alla Scuola Superiore di Catania si è svolto un incontro molto interessante con la Prof. Valeria Pinto (Università Federico II di Napoli), dedicato al tema della Valutazione. Pinto ha iniziato col dire che mentre preparava l’intervento -dal titolo programmato La bêtise: valutazione e governo della conoscenza– le è sembrato necessario fare un passo indietro e concentrarsi sul nesso valutazione/trasparenza. Tema cui, dopo il libro del 2012 Valutare e punire, ha dedicato uno dei suoi saggi più recenti e più profondi: Trasparenza. Una tirannia della luce, pubblicato nel volume collettaneo Genealogie del presente. Lessico politico per tempi interessanti (a cura di F. Zappino, L.Coccoli e M. Tabacchini, Mimesis 2014). Ha quindi proposto come titolo più adeguato La moneta della conoscenza. Trasparenza e valutazione nella Entrepreneuerial University.
Ho cercato di riassumere per il Bollettino d’Ateneo dell’Università di Catania le linee fondamentali di un intervento che non ha voluto soffermarsi sugli aspetti semplicemente tecnologici della valutazione ma si è incentrato sulla sua sostanza concettuale e politica. L’articolo è stato pubblicato sul numero del 19.5.2015.

ΓΝΩΘΙ  ΣEΑΥΤΟN

Mario Dondero
Terme di Diocleziano – Roma
A cura di Nunzio Giustozzi e Laura Strappa
Sino al 22  marzo 2015

Terme_DioclezianoAll’ingresso della enorme sala XI delle Terme di Diocleziano si trova un mosaico che rappresenta uno scheletro con sotto la frase ΓΝΩΘΙ ΣEΑΥΤΟN, conosci te stesso, contempla la tua finitudine, renditi conto che sei tempo che cammina e destinato a finire. In questo magnifico luogo, uno dei più emozionanti di Roma, è ospitata un’antologia delle opere di Mario Dondero. Immagini che aiutano a comprendere che cosa siamo: storia, tempo, divenire.
Nella sua attività professionale e artistica, Dondero si ispira a Robert Capa, tanto da fotografare anche la collina dove venne scattata l’immagine del miliziano che muore. Dondero è stato ovunque e ha fotografato tutto, perché non è il soggetto che conta ma è lo sguardo di chi lo osserva. Dalle molte scene di vita quotidiana alle immagini dei capi politici, degli intellettuali, degli artisti, degli eventi, scorrono in queste sale il Novecento e il XXI secolo.
Nel Portogallo rurale e profondo dei tempi di Salazar, una donna che visita il marito in prigione ha i colori e le forme di Vermeer. I braccianti emigrati a Torino negli anni Cinquanta hanno le stesse pose dei contadini di Bronte. Il gruppo del Nouveau Roman è fotografato a Parigi il 16 ottobre 1959. Nella stessa città un uomo dorme, solo, in una stazione della metropolitana.
Dondero_Pasolini_madre_1962Scrittori (Sanguineti, Gadda, Morante, Ionesco, Caproni, Genet), attori, pittori (Tadini, Rotella), registi, turisti, soldati, contadini, maestre, nomadi, pescatori, operai, terremotati, la fierezza degli afghani, i medici di Emergency, professori (come Vovelle che tiene lezione sulla Rivoluzione Francese nel 1967 alla Sorbona), Panagulis e i colonnelli greci, filosofi (Marcuse, Anders, Sartre, Russell, Althusser) capi politici (Castro, Sihanouk, Reagan, Gorbaciov).
E ancora: Licia Pinelli pochi giorni dopo l’assassinio del marito; Pasolini nella sua casa all’Eur insieme alla madre; una giovane maestra italiana che negli anni Cinquanta cerca di insegnare a leggere e a scrivere a ragazzini e adulti; una mamma di Berlino Ovest che porta a passeggio il suo bambino e parla con un soldato di Berlino Est, vicino a quel muro Dondero_Berlino_1989che pochi giorni dopo non sarà più. γνωθι σeαυτοn

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