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Le scuole occidentali

Armand
di Halfdan Ullmann Tøndel
Norvegia, 2024
Con: Renate Reinsve (Elisabeth), Ellen Dorrit Petersen (Sarah), Endre Hellestveit (Anders)
Trailer del film

I fenomeni sociali, che siano spontanei o che vengano costruiti da una volontà di controllo sui corpi collettivi, alla fine si incontrano e scontrano con le strutture antropologiche, con ciò che l’umano è per natura al di là del costruzionismo politico che pure molta influenza esercita sulla vita degli individui e delle collettività.
Un ambito nel quale tale dinamica è particolarmente evidente, delicata e quindi anche distruttiva, è la formazione, è la scuola. Da alcuni decenni, e in modo sempre più accelerato, la scuola permeata dai principi pedagogici dell’occidente anglosassone – e quindi sostanzialmente dal behaviorismo coniugato con il moralismo – vede al centro alcuni fenomeni, quali:
-la presenza sempre più ossessiva dei genitori nelle scuole, con il conseguente primato della componente emotiva e privata a danno della componente professionale e oggettiva, vale a dire gli educatori, i maestri, i professori;
-la conseguente perdita di identità e sicurezza da parte dei docenti, ridotti o a burocrati o a domestici delle famiglie, e affetti in modo ormai preoccupante dalla sindrome da burnout;
-una ossessione iperprotettiva rivolta ai bambini e agli adolescenti, che si presume dover salvaguardare da ogni più piccola difficoltà, dispiacere e soprattutto conflitto. Risultano evidenti non soltanto l’impossibilità empirica di un simile programma – l’esistenza è attrito e conflitto – ma anche la distruttiva conseguenza del non far crescere le persone, lasciandole in una condizione di infantilismo e di perenne dipendenza che chi insegna all’università – e dunque si occupa della formazione in una fase nella quale le persone dovrebbero essere ormai autonome e adulte – percepisce in modo evidente (a volte anche con sgomento).

Questo è lo sfondo educativo nel quale prende corpo la vicenda di Armand. Che accade in una scuola  norvegese, vale a dire in quella Scandinavia che ha accolto da tempo e in modo acritico i dogmi della pedagogia anglosassone e della società del controllo nella quale l’individuo è seguito in modo occhiuto e alla fine tirannico ‘dalla culla alla tomba’.
Accade quindi che un bambino di sei anni – Jong – venga trovato piangente in bagno e risponda che il suo compagno – Armand,  anche lui di sei anni – ha cercato di violentarlo nell’ano. La implausibilità di una simile eventualità, a sei anni il pene umano non è capace di una erezione tanto potente, viene quasi scartata. Vengono convocati i genitori dei bambini. Elisabeth, la madre di Armand, è presto sottoposta a un processo che attinge alla sua vita privata e che nulla ha a che fare con l’episodio oggetto della convocazione. Di fronte ai genitori stanno una maestra giovane, onesta e volenterosa ma la cui presenza viene annullata da quella di un preside tanto vigliacco quanto instabile e incompetente (tre caratteristiche che descrivono ottimamente la più parte dei ‘dirigenti scolastici’ italiani) e da una psicologa del tutto inconcludente e afflitta da continue perdite di sangue dal naso.

Ma il significato e il valore di questo film stanno nello scarto rispetto a una trama che così raccontata sembra quella di un film sociologico. No, si tratta si un’opera antropologico-simbolica nella quale alcuni eventi, la loro collocazione spaziotemporale, i diversi colori delle stanze acquisiscono una funzione primaria. Una funzione particolarmente e densamente fisica. Il film si allontana infatti da ogni semplice verosimiglianza almeno in tre scene: il sorridere e ridere di Elisabeth durante il colloquio con i genitori e i docenti; il danzare di questa madre insieme a un inserviente della scuola; il passaggio dell’odio degli altri genitori verso Elisabeth da una dimensione interiore e psicologica a una del tutto fisica nella quale i molti si avventano a poco a poco contro uno. Tranne poi capovolgere l’esito quando i fatti vengono chiariti nel loro reale accadere.
Ogni elemento di questo film è pensato e meditato con attenzione. Il significato del racconto è reso evidente sin dall’inizio mediante un elemento che non descrivo qui per lasciare a chi vedrà Armand di scoprirlo da sé, ma è un elemento ‘tecnico’ assai chiaro.

Il regista, trentenne, è stato un maestro elementare. Una condizione forse necessaria per pensare, progettare e realizzare un film così corrispondente a quanto di assurdo accade oggi nelle scuole dell’occidente anglosassone e che era stato con la consueta lucidità prefigurato da Ivan Illich in Tools for Conviviality (in italiano Convivialità, 1973): «The inevitable catastrophic event could be either a crisis in  end: end by annihilation or end in B. F. Skinner’s world – wide concentration camp run by a T. E. Frazier» (p.120 dell’edizione Fontana del 1975).
Illich aveva ben compreso, ma non era difficile per gli spiriti liberi, che di fronte alla dismisura della crescita infinita postulata dal capitalismo, una delle possibili conseguenze sarebbe stata la società del controllo. Controllo che già Hannah Arendt aveva intuito che sarebbe stato totalitario, portando al collasso le società liberali, che erano nate come ‘open society’. Illich analizza dunque e critica la «Skinner Box», una società guidata da algoritmi mediante l’utilizzo sistematico del protocollo stimolo/risposta che per Skinner – rispetto a Watson – non deve essere passivo ma richiede l’attiva e positiva adesione del controllato. In questo modo il comportamentismo appare per quello che è sempre stato: una pratica rivolta all’obbedienza interiore e a un pervasivo controllo. È ovviamente emblematico che uno dei libri più importanti dello psicologo statunitense Burrhus Frederic Skinner si intitoli Beyond Freedom and Dignity (1971). Tale è la tendenza dell’occidente contemporaneo e dunque delle sue scuole e università. Armand parla anche di questo.

I Quisling

La scelta del re
(Kongens Nei)
di Erik Poppe
Norvegia, Germania, Danimarca, Svezia, 2016
Con: Jesper Christensen (il re), Anders Baasmo Christiansen (il principe ereditario), Karl Markovics (l’ambasciatore tedesco)
Trailer del film

Nell’aprile del 1940 la Germania attacca la Norvegia, sino ad allora neutrale. Le forze tedesche sono chiaramente preponderanti ma il Paese scandinavo resiste. Il governo tuttavia si dimette. Il re Haakon VII -eletto dopo un referendum popolare nel 1905- respinge le dimissioni, così come rifiuta di avallare il colpo di stato del collaborazionista Vidkun Quisling (nella foto qui sopra con Hitler). L’ambasciatore tedesco Curt Bräuer, pur amico dei norvegesi, comunica al sovrano una proposta di accordo che avrebbe reso la Norvegia uno Stato vassallo della Germania, come era già diventata la Danimarca. Haakon rifiuta la proposta -il titolo originale significa infatti «Il no del re»- e comunica il suo rifiuto a governo e parlamento, i quali concordano con lui. Inizia la guerra, vinta facilmente dalla Germania, alla cui conclusione il re torna sul trono e Quisling viene giustiziato per alto tradimento.
Il film narra i giorni tragici e concitati dell’attacco tedesco e delle trattative. Si incentra soprattutto sulla psiche del sovrano e sulle vicende della famiglia reale. Il buio delle notti e il bianco della neve formano il reciproco controcanto della tenebra che porta a compimento il suicidio dell’Europa, iniziato nel 1914 a Sarajevo. Un re rappresentativo e folcloristico, come gli altri sovrani scandinavi, mostra di aver preso sul serio il fatto di essere stato eletto dal popolo norvegese sulla base di princìpi di partecipazione  e di libertà che soggetti come Quisling disprezzano e negano.
Storia? Certo, anche storia. Le cui strutture permangono nel tempo pur mutando referenti e posizioni. Gli Stati Uniti d’America e i loro più fidi alleati creano infatti di continuo dei governi collaborazionisti in ogni parte del mondo. Non solo nel Vicino Oriente (Amid Karzaj e altri in Afghanistan; Ahmed Chalabio in Irak, ad esempio) o in America Latina (un nome per tutti: Augusto Pinochet) ma anche in Europa e in Italia, con molti governi proni alle volontà del potente ‘alleato’, la cui presenza o ‘ispirazione’ è stata determinante nei momenti più tragici della storia repubblicana: dalla strage di Piazza Fontana all’omicidio di Aldo Moro, dal caso Mattei ai governi presieduti da soggetti mai eletti, come l’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi. Questi Qusling vengono additati come esempi di virtù politica e persino morale, mentre le azioni e le idee di chi si oppone a tali governi fantoccio sono definiti con l’epiteto di terrorista, estremista, comunista, antipatriottico.
Tutto questo conferma come i concetti storici di collaborazionismo e resistenza non solo non rappresentino –come è ovvio- degli assoluti ma siano soggetti a mutare di referente in stretta relazione al punto di vista del vincitore. Ma dato che la storia di cui stiamo parlando è anche quella che stiamo vivendo, sarebbe bene che i collaborazionisti europei del governo statunitense recuperino «l’autonomia di giudizio e di azione alla quale i complessi di inferiorità conseguenti alla seconda guerra mondiale li hanno spinti a rinunciare, sciogliendosi da quell’abbraccio con un alleato di giorno in giorno sempre più simile ad un dispotico padrone che potrebbe di qui a qualche tempo rivelarsi, per loro, mortale» (Marco Tarchi, Diorama Letterario 260, luglio-agosto 2003, p. 5).
Un attempato re norvegese mostrò di possedere maggiore dignità e senso della democrazia rispetto a tanti politici contemporanei, anche italiani, finanziati da un governo straniero, al servizio dei suoi interessi e non di quelli dei popoli che dovrebbero rappresentare.

Vetro

Thelma
di Joachim Trier
Norvegia, Francia, Danimarca, Svezia, 2017
Con: Eili Harboe (Thelma), Kaya Wilkins (Anja), Henrik Rafaelsen (Trond), Ellen Dorrit Petersen (Unni), Grethe Eltervåg (Thelma a sei anni)
Trailer del film

Forse perché chiusi dentro case e circondati dal limpido gelo della neve e della luce, il teatro e la letteratura scandinavi hanno sempre scavato dentro l’orrore familiare, dentro le dinamiche di affetti necessari ma segnati da cupe lontananze, dentro il rifiuto luterano delle passioni e della gioia, che naturalmente scatena le passioni e rende così fondo il desiderio della gioia.
Fatto sta che Thelma ha vissuto sin da bambina relazioni molto contrastate con i genitori, in particolare da quando è nato un fratello verso il quale è ovviamente gelosa, sentendosi come tutti i bambini sostituita nell’affetto dei parenti. Ora che è al primo anno di università -in una Oslo linda e tersa come solo quei luoghi sanno essere [qui a sinistra il magnifico Teatro d’Opera della città]- e dunque affidata alla propria solitudine, le si affastellano pensieri, desideri, ricordi e relazioni che la fanno sorridere come mai ha sorriso, vivere come mai ha vissuto ma che trasmettono anche molta paura a lei e a tutto ciò che la circonda. Thelma ha infatti il potere di far vibrare oggetti, umani e animali seguendo i percorsi dei propri sentimenti. Sino a chiamarli, incendiarli, farli sparire. E poi, a volte, tornare.
La potenza del corpomente, delle sue emozioni, del furore, del desiderio e della morte trovano in questa ragazza la propria sinuosa differenza. Thelma sa infatti sorridere con la solare spontaneità di una bambina, sa piangere nella cupa notte bergmaniana, sa stupirsi con candore per ciò che accade, sa perdonare e sa essere implacabile.
La sua storia accade nel vetro cristallino della Norvegia ma il suo significato è universale, è quello che ciascuno di noi vorrebbe fare dei propri simili: annichilirli e ritrovarli quando vuole.

Bianco sangue

In ordine di sparizione
(Kraftidioten)
di Hans Peter Molland
Norvegia-Svezia, 2014
Con: Stellan Skarsgård (Nils), Pål Sverre Hagen (il Conte), Bruno Ganz (Papa), Jakob Oftebro (Aron Horowitz), Birgitte Hjort Sørensen (Marit)
Trailer del film

kraftidiotenIl bianco della neve che si accumula nei giorni e nelle notti della Norvegia. La potenza degli spazzaneve guidati da Nils, un uomo taciturno il cui unico figlio viene trovato morto per overdose. Nils sa che il figlio non era un tossico e scopre la banda che lo ha ucciso a causa di un banale equivoco. Comincia dunque a eliminare uno per uno i criminali. Tutto nel silenzio rarefatto del Nord, poco scalfito dalla rumorosa banda di serbi anch’essa coinvolta nel malaffare. Tutto nel silenzio delle persone, della neve e dei morti che affondano nel fiume. Tutto nel lindore di una società che -come ipotizza uno dei personaggi- «ha bisogno del welfare perché non ha il Sole. O il caldo o il welfare».
L’antica saga dell’uomo pacifico diventato vendicatore della propria angoscia acquista qui l’ironia dell’eleganza, la kantiana sublimità del paesaggio e la truce determinazione della solitudine.

Giornali terroristi

Sembra sia stato dunque un cristiano neonazista -forse da solo, forse aiutato da altri pari suoi- ad attuare l’immane massacro. Dopo aver fatto affluire la polizia nel centro di Oslo, ha poi sterminato con inusitata ferocia centinaia di ragazzi a pochi chilometri dalla capitale norvegese. La  peggiore stampa italiana già gongolava per le colpe da attribuire agli islamici. Il Giornale, un’autentica fogna, aveva intitolato a caratteri cubitali «Sono sempre loro. CI ATTACCANO» e una giornalista/deputata del Pdl scriveva un editoriale coerente con il titolo. In poche ore  il titolo è cambiato e dell’editoriale non c’è più traccia. Si può star certi che se la responsabilità fosse stata degli islamici i titoli cubitali sarebbero andati avanti per giorni. Trattandosi invece di patologico fanatismo cristiano, sul Giornale e su fogliacci simili la notizia è già passata in secondo piano. Debord ci aveva avvertito che uno degli elementi fondamentali dello Spettacolare integrato è una pervasiva disinformazione, la quale «réside dans toute l’information existante; et comme son caractére principal» [risiede in tutta l’informazione esistente; e come sua principale caratteristica] (Commentaires sur la société du spectacle [1988], Gallimard 1992, tesi XVI, p. 69).

 

Il mondo di Horten

(O’ Horten)
di Bent Hamer
Norvegia – Germania – Francia 2007
Con: Baard Owe (Horten), Espen Skjønberg (Trygve Sissener), Ghita Nørby (Fru Thøgersen), Henny Moan (Svea), Bjørn Floberg (Flo)
Trailer del film

ilmondodihorten

Odd Orten è al suo ultimo viaggio sulla tratta Bergen-Oslo, poi andrà in pensione dopo quarant’anni di lavoro da macchinista. I colleghi organizzano una festa durante la quale cominciano ad accadere eventi semplici ma imprevedibili per la sua vita di attempato solitario. Horten incontra bambini imperiosi, nuotatrici lesbiche, cani nella neve, tabaccaie vedove, madri svampite, diplomatici inventori che guidano a occhi chiusi…E finalmente impara a volare.

Toni teneri e surreali in una Norvegia imbiancata e intima. Una meditazione sulla solitudine e sul sorriso. Molte inquadrature -i treni sulla neve, gli incroci urbani-diventano dei veri dipinti, soprattutto nelle riprese dall’alto.

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