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Il Gran Consiglio e la Russia

Non conosco l’autore del testo che pubblico qui sotto né la rivista sulla quale è uscito.
Ma importa poco. Chiunque siano Gabriele Giorgi e la rivista Cambiailmondo, quella che segue mi sembra un’analisi assai lucida, informata e intelligente della guerra in corso tra da una parte la NATO/USA e dall’altra la Federazione Russa, con vittima la popolazione ucraina. Vittima in primo luogo del governo di quel Paese, pesantemente inquinato da elementi e ideologie neonaziste e guidato da un attore cocainomane e completamente sottomesso alla NATO. Un governo che ha un analogo, pur se con modalità diverse, nel governo italiano, guidato da un soggetto che Francesco Cossiga definì «vile affarista» e che tale in effetti si sta rivelando.
Di fronte alla rovina dell’Italia e dell’Europa, a vantaggio degli USA e per difendere il governo fantoccio dell’Ucraina, ci sarebbero le condizioni per processare i governi in quanto colpevoli di «alto tradimento» degli interessi e della sicurezza dei loro cittadini.
È quello che propone anche questo testo, il quale denuncia la grave crisi economica, i rischi bellici, la miseria politica di un governo definito «Gran Consiglio del Draghismo», del quale fanno parte tutti i partiti presenti in Parlamento, dalla Lega di Salvini al Partito Democratico di Letta e con il sostanziale sostegno anche di Fratelli d’Italia. La formula indica una plausibile analogia con il Gran Consiglio del Fascismo.
Segnalo quindi l’articolo di Giorgi e ne consiglio vivamente la lettura.

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Il popolo italiano deve decidere se accetta o no l’entrata in guerra
di Gabriele Giorgi
Fonte: Cambiailmondo, 24.6.2022

L’ora delle decisioni irrevocabili si sta rapidamente avvicinando. Anzi è già stata presa. Resta da stabilire la data della comunicazione ufficiale. Non a Piazza Venezia, ma a reti unificate, appoggiata da un’azione sui social già iniziata mesi fa, che si farà pressante verso la fine dell’estate. Dichiarazione al popolo e, solo in seconda istanza, al Parlamento, visto che da tempo, si governa per decreti e l’urgenza è diventata la prassi consueta, analogamente a quanto avviene per le condannabili autocrazie che ci apprestiamo a sconfiggere.

Per chi, tra le elìtes istituzionali, si oppone all’entrata in guerra, vi è una sola possibilità: lavorare alla caduta del Gran Consiglio del Draghismo, dichiarare la neutralità e la sospensione dell’adesione alla Nato, seguendo le indicazioni della maggioranza del popolo italiano che ha capito da tempo l’obiettivo del variegato movimento guerrafondaio: una nuova, lunga stagione di oppressione dei lavoratori e lavoratrici, dipendenti o autonomi, dei precari, dei giovani, degli studenti, dei pensionati, che deve durare decenni; per salvaguardare gli interessi, ma soprattutto il potere, dei rappresentanti della grande impresa, di grandi banche, del capitale finanziario e speculativo, di tutti coloro che per sopravvivere devono continuare ad avere la possibilità di salassare i produttori reali.

La secessione del ministro degli esteri Di Maio – con la contemporanea convergenza di Fratelli d’Italia a sostegno di Draghi – è stata la mossa preventiva per ovviare al potenziale inconveniente della caduta del Gran Consiglio. Ne seguiranno altre. Si tenta cioè di chiudere ogni via parlamentare “legittima” al possibile posizionamento del paese contro la partecipazione diretta alla guerra in Europa e ad una terza guerra mondiale pienamente dispiegata.

Sono i seguiti di quanto deciso un mese prima dell’invasione russa dell’Ucraina, in occasione della rielezione di Mattarella alla Presidenza della Repubblica, quando si è riusciti a bloccare ogni opzione che non fosse di piena garanzia per gli anglosassoni e per il loro prediletto giocattolo, la Nato.

È immaginabile che, in vista del voto di marzo 2023, in considerazione del succedersi degli eventi, si stiano valutando diverse altre possibilità di contenimento di pericolosi orientamenti che tentino di mettere in forse l’applicazione pedissequa del canovaccio già scritto; fino al possibile rinvio della campagna elettorale e delle elezioni o al varo di un governo provvisorio di salute pubblica che gestisca l’emergenza energetica, inflazionistica e bellica (causate ovviamente dai cattivi russi).

È già evidente che abbiamo solo due/tre mesi di autonomia energetica, dopodiché la riduzione o la chiusura del flusso di gas dalla Russia provocherà la sospensione di altrettante fabbriche nei settori produttivi più esposti all’aumento dei prezzi, disoccupazione di ingenti masse di lavoratori, razionamento energetico nelle case, aumento vertiginoso dell’inflazione con parallela svalutazione dei redditi da lavoro e dei profitti delle piccole imprese (quelle che resteranno in campo) e della perdita di competitività generale di un sistema paese orientato all’export sui mercati internazionali.

Si tratta di uno scenario che prevede solo due opportunità: la guerra appunto, oppure una generale revisione da attuare in più passaggi, il primo dei quali non può che essere quello di uscire dalla logica di guerra. Poi si vedrà.

Come mostrato dai risultati delle elezioni politiche in Francia, la questione non riguarda solo noi. E gli effetti accennati coglieranno in pieno, assieme all’Italia, anche la Germania. Il vagone ferroviario del treno da Varsavia a Kiev, che ospitava Draghi, Macron e Schulz, da questo punto di vista, è l’immagine storica di un fallimento. La soluzione che i tre hanno proposto e che oggi è stata confermata dall’UE, di accettazione della candidatura dell’Ucraina, è una mossa incerta per prendere tempo in attesa di vedere come si evolvono le cose e per verificare la possibilità di un parziale sganciamento di Kiev dai solidi fili manovrati da Washington e Londra.

Ma l’inserimento nell’agenda dell’adesione anche della Moldavia (e già si preannuncia della Georgia) e la chiusura del transito ferroviario tra Bielorussia e l’enclave russa di Kalinigrad, a sole 48 ore dalla missione dei tre leader a Kiev, mostra che gli angloamericani e i loro non pochi sodali nella UE, hanno rilanciato in modo drastico facendo risalire la tensione ai livelli più alti.

Ammesso che Francia, Germania e Italia tentino convintamente di giocare una carta parzialmente autonoma negli scenari di guerra, essa è tardiva e contraddetta dai fatti. Sarebbe peraltro strano che due paesi che ospitano le più grandi basi Nato in Europa e nel mondo (e una in chiaro declino) possano essere in grado di mutare in extremis un’agenda euroatlantica alla quale si lavora da oltre un decennio.

Le redini dello scontro sono saldamente in mano a Usa/Uk e Russia. Entrambi giocano il loro gioco sul campo ucraino e allo stesso tempo in Europa, che costituiscono un unico anche se diversificato obiettivo: per la Russia si tratta di capire se l’Europa o parte di essa può tornare a costituire in tempi medi, un partner, dopo l’imposizione della chiusura del Nord Stream-2. Per gli anglosassoni si tratta di evitare definitivamente e per un tempo molto lungo che ciò possa accadere, pena la loro crescente marginalizzazione e perdita di influenza nello scenario globale.

La compenetrazione e il comando delle elìtes neoliberiste delle economie euroatlantiche non lascia molto spazio a dubbi: per Francia, Germania e Italia non c’è, dentro il quadro istituzionale e politico attuale, nessuna convincente opportunità; chi ha provato a perseguire questo disegno sembra esserne uscito sconfitto. La narrazione mediatica della immaginaria mediazione di Draghi appare in questo contesto, financo ridicola: essa si sarebbe dispiegata a partire dall’incontro con Biden fino al viaggio in treno a Kiev; ma Draghi ha dovuto ricordare e ricorda in ogni occasione che la decisione finale su quale pace sia possibile, spetta a Kiev, cioè a Biden e Johnson.

Dunque, a parte l’escamotage di un attivismo di propaganda, le porte sono chiuse e tutti lo sanno. A Di Maio deve essere stato chiarito in diversi briefing sollecitando una sua opzione esplicita a garanzia di un suo futuro politico.

Gli eventi vanno inesorabilmente verso il diretto coinvolgimento dell’Europa nel conflitto, via Lituania, Polonia, Nato; questa è la sola condizione, per gli angloamericani, di poter saggiare, da lontano e senza gravi rischi, se la Russia può essere messa in ginocchio o fortemente indebolita e, insieme, l’occasione di uno stress-test sul progetto Brics di ricomposizione multipolare dell’ordine mondiale, prima di avventurarsi nello scontro diretto con la Cina.

Gli altri attori non resteranno certamente con le mani in mano, aspettando che si concluda definitivamente quel nuovo secolo americano inaugurato nel 2001.

Per evitare la fine dell’Europa (o quella anticipata del mondo), non abbiamo altre opportunità che non siano quelli della caduta dei gran consigli nel continente. Uno di questi, niente affatto secondario, è quello italiano.

Virus e dispotismo 

Il testo di questa brachilogia non è mio ma esprime compiutamente ciò che penso, ciò che ho pensato da subito e che lo svolgersi degli eventi va confermando. L’autore è Gianfranco Sanguinetti definito da Afshin Kaveh (nel suo recente Le ceneri di Guy Debord, Catartica 2020, p. 17) «l’amico e situazionista» che intrattenne un rapporto costante, per quanto come sempre travagliato, con Guy Debord sino allo scioglimento dell’Internazionale Situazionista e anche oltre.
È stato Kaveh a segnalarmi questo testo e gliene sono grato. Condivido infatti per intero quello che scrive Sanguinetti.
Il link (in nota n. 2) a un articolo di Jacques Attali del 2009 è impressionante: Attali descriveva e auspicava ciò che sta avvenendo oggi: «On devra, pour cela, mettre en place une police mondiale, un stockage mondial et donc une fiscalité mondiale. On en viendra alors, beaucoup plus vite que ne l’aurait permis la seule raison économique, à mettre en place les bases d’un véritable gouvernement mondial», così tradotto da Franco Senia: «Dovrà essere, pertanto, istituita una polizia mondiale, un sistema di scorte a livello mondiale e, di conseguenza, una fiscalità mondiale. In questo modo, arriveremo in breve, assai prima di quanto lo avrebbe consentito la sola ragione economica, a porre le basi di un vero e proprio governo mondiale». Tutto molto chiaro.
Le analisi di Elias Canetti vengono ogni giorno confermate: non c’è bisogno di alcun complotto -ma di interessi finanziari sì- poiché la paranoia del potere si alimenta da sola, fa di sé il proprio combustibile.

Aggiungo solo, a questo proposito, due brani dell’articolato documento di un’associazione di medici -AMPAS– i quali si chiedono:
«se le informazioni provenienti dalle figure che operano come consulenti del Ministero della Salute siano diffuse con la comunicazione dei conflitti di interesse che essi possano avere con aziende del settore. Non sarebbe etico né lecito avere consiglieri che collaborano con grandi aziende farmaceutiche. 
Sempre in tema di conflitto di interessi: è stato il Parlamento a stabilire i componenti della Task force costituita recentemente per affrontare la cosiddetta fase2? Sono presenti possibili conflitti di interesse? Tali soggetti pare abbiano chiesto l’immunità dalle conseguenze delle loro azioni. Ma non dovrebbero essere figure istituzionali a prendere “decisioni” sul futuro del nostro paese? Una cosa è la consulenza, altro è decidere “in nome e per conto”. Con quale autorità?
Il giornalismo dovrebbe essere confronto di idee, discussione, valutazione di punti di vista diversi. Ci chiediamo quanto sia garantita la libertà di espressione anche di professionisti che non la pensano come noi. Vediamo invece giornalisti che festeggiano la “cattura” di un povero runner sulla spiaggia da parte di un massiccio spiegamento di forze, e la sistematica cancellazione di ogni accenno a diversi sistemi di cura rispetto alla “narrazione ufficiale” del salvifico vaccino, si tratti di vitamina C o di eparina, in totale assenza di contraddittorio.
In questo quadro intossicato, le reti e i giornali maggiori mandano in onda continuamente uno spot, offensivo per l’intelligenza comune, in cui si ribadisce a chiare lettere che la loro è l’unica informazione seria e affidabile: il resto solo fake. Viene così creata l’atmosfera grazie alla quale si interviene su qualunque filmato, profilo social, sito internet che non si reputi in linea con la narrazione ufficiale. Nessuna dittatura può sopravvivere se non ha il supporto di una informazione asservita».

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Il Dispotismo Occidentale
di Gianfranco Sanguinetti
Versione originale francese: Mediapart – 15.4.2020
Traduzione italiana di Franco Senia, rivista dall’autore

La conversione, delle democrazie rappresentative occidentali, a seguito del virus, a un dispotismo del tutto nuovo ha assunto la forma giuridica della «forza maggiore» (in giurisprudenza, com’è noto, la forza maggiore è un caso di esonero dalla responsabilità). E dunque il nuovo virus è, allo stesso tempo, sia il catalizzatore dell’evento sia l’elemento di distrazione delle masse per mezzo della paura 1.
Per quante ipotesi io avessi formulato fin dal mio libro Del Terrorismo e dello Stato (1979) sul modo in cui sarebbe avvenuta una tale conversione, a mio parere ineluttabile, dalla democrazia formale al dispotismo reale, devo confessare che non avevo mai immaginato che sarebbe potuta avvenire col pretesto di un virus. Ma le vie del Signore sono davvero infinite. E lo sono anche quelle dell’astuzia della ragione hegeliana.
L’unico riferimento, se vogliamo, tanto profetico quanto inquietante, è quello che ho trovato in un articolo che Jacques Attali, ex presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERD), scriveva su L’Express ai tempi dell’epidemia del 2009:

«Se l’epidemia si aggraverà un po’, cosa possibile, dal momento che è trasmissibile dall’uomo, potrebbe avere delle vere e proprie conseguenze planetarie: economiche (i modelli suggeriscono che potrebbe causare una perdita di 3.000 miliardi di dollari, ossia un crollo del 5% del PIL mondiale) e politiche (dovute ai rischi di contagio…) Dovrà essere, pertanto, istituita una polizia mondiale, un sistema di scorte a livello mondiale e, di conseguenza, una fiscalità mondiale. In questo modo, arriveremo in breve, assai prima di quanto lo avrebbe consentito la sola ragione economica, a porre le basi di un vero e proprio governo mondiale» 2

Quindi, la pandemia era già stata prospettata: quante simulazioni saranno state fatte dalle maggiori compagnie di assicurazioni! E dai servizi di protezione degli Stati. Pochi giorni fa l’ex primo ministro britannico, Gordon Brown, è ritornato sulla necessità di un governo mondiale: «Gordon Brown ha esortato i leader mondiali a creare una forma temporanea di governo mondiale per affrontare le due crisi, quella sanitaria e quella economica, causate dalla pandemia di Covid-19» 3.
Si può aggiungere che il fatto che una simile occasione possa essere o colta oppure creata, non cambia molto il risultato. Una volta che l’intenzione c’è, e che la strategia è stata delineata, basta avere il pretesto, e poi agire di conseguenza. Tra i capi di Stato, nessuno è stato preso alla sprovvista, se non proprio all’inizio, lasciandosi andare a questa o a quella stupidaggine. Subito dopo, da Giuseppe Conte a Orban, da Johnson a Trump, ecc., tutti questi politici, per quanto rozzi siano, hanno rapidamente capito che il virus li avrebbe autorizzati a fare carta straccia delle vecchie Costituzioni, regole e leggi. Lo Stato di necessità giustifica ogni illegalità.

Una volta che il terrorismo – del quale si converrà che se ne era un po’ troppo abusato – aveva esaurito la maggior parte delle sue potenzialità, così bene sperimentate dappertutto nei primi quindici anni del nuovo secolo, è arrivato il momento di passare alla fase successiva, come avevo annunciato, già nel 2011, nel mio testo Dal Terrorismo al Dispotismo.
Del resto, l’approccio contro-insurrezionale, adottato immediatamente e ovunque in quella che viene impropriamente chiamata la ‘guerra contro il virus’, conferma l’intenzione che sta alla base delle operazioni ‘umanitarie’ di questa guerra, la quale non è contro il virus, ma piuttosto contro tutte le regole, i diritti, le garanzie, le istituzioni e le popolazioni del vecchio mondo. Sto parlando del mondo e delle istituzioni che si erano formate a partire dalla Rivoluzione francese, e che ora stanno rapidamente scomparendo sotto i nostri occhi nel giro di qualche mese, come è sparita, in modo altrettanto repentino, l’Unione Sovietica. L’epidemia finirà, ma non altrettanto le misure, le possibilità e le conseguenze che ha scatenato e che stiamo ora vivendo. Ci troviamo in mezzo al doloroso parto di un nuovo mondo.

Noi assistiamo alla decomposizione e alla fine di un mondo e di una civiltà: quella della democrazia borghese con i suoi Parlamenti, i suoi diritti, i suoi poteri e contropoteri ormai perfettamente inutili, perché le leggi e le misure coercitive vengono dettate dall’esecutivo, senza essere ratificate immediatamente dai Parlamenti, e il potere giudiziario, così come quello della libera opinione, perdono perfino l’apparenza di ogni indipendenza, quindi la loro funzione di contrappeso.
Si abituano così bruscamente e traumaticamente i popoli (come aveva stabilito Machiavelli, «Le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno»): il cittadino, essendo oramai già da tempo scomparso a beneficio del consumatore, ecco che quest’ultimo si vede ora ridotto al ruolo di  semplice paziente, sul quale si ha diritto di vita e di morte, a cui può essere somministrata qualsiasi cura, oppure decidere di sopprimerlo, a seconda della sua età (se è produttivo o improduttivo), oppure secondo qualsiasi altro criterio deciso arbitrariamente e senza appello, a discrezione del sanitario, o di altri. Una volta che è stato imprigionato ai domiciliari, o in ospedale, cosa può fare contro la coercizione, l’abuso, l’arbitrio?

La Carta Costituzionale viene sospesa, ad esempio in Italia, senza che venga sollevata la benché minima obiezione, neppure da parte di chi è ‘garante’ delle istituzioni, il presidente Mattarella. I sudditi, divenuti delle semplici monadi anonime e isolate, non hanno più da far valere alcuna ‘uguaglianza’, né diritti da rivendicare. È il diritto stesso che smette di essere normativo, e diventa già discrezionale, come la vita e la morte. Abbiamo visto che, con il pretesto del coronavirus, in Italia si possono uccidere immediatamente ed impunemente 13 o 14 detenuti disarmati, dei quali non ci si preoccupa neppure di elencare i nomi, né i loro eventuali crimini, né le circostanze in cui sono stati uccisi, e senza che di questo importi niente a nessuno. Si fa anche meglio di quanto fecero i tedeschi nella prigione di Stammheim. Almeno per i nostri crimini, dovrebbero ammirarci!
Non si discute più di niente, se non di soldi. E uno Stato come quello italiano si vede ridotto ad andare a mendicare dal sinistro ed illegittimo Eurogruppo i capitali necessari alla trasformazione della forma democratica nella forma dispotica. Quello stesso Eurogruppo che nel 2015 ha voluto espropriare tutto il patrimonio pubblico greco, ivi compreso il Partenone, e cederlo a un fondo con sede in Lussemburgo, sotto controllo tedesco: perfino Der Spiegel definì allora i diktat dell’Eurogruppo come ‘un catalogo di atrocità’ per mortificare la Grecia, e sul Telegraph  Ambrose Evans-Pritchard scrisse che se si fosse voluto datare la fine del progetto europeo, la data avrebbe dovuto essere quella. Ecco che ora la cosa è fatta. Rimane solo l’Euro, ma molto provvisoriamente.
Il neoliberismo non ha avuto a che fare con la vecchia lotta di classe, non ne ha neppure memoria, ritiene anzi di averla cancellata perfino dal dizionario. Si crede ancora onnipotente; questo non significa che non ne abbia paura: dal momento che sa bene ciò che si prepara ad infliggere ai popoli. È evidente che ben presto la gente avrà fame; è ovvio che i disoccupati aumenteranno senza limite; è chiaro che le persone che lavorano in nero (4 milioni in Italia) non avranno alcun aiuto. E chi ha un lavoro precario, e non ha niente da perdere, comincerà a lottare e a sabotare. Ciò spiega perché la strategia di risposta alla pandemia è innanzitutto una strategia di contro-insurrezione preventiva. In America ne vedremo delle belle. I campi di concentramento della FEMA si riempiranno presto.

Il nuovo dispotismo ha quindi almeno due ragioni forti per imporsi in Occidente: una è quella di far fronte alla sovversione interna che esso stesso provoca e si aspetta; l’altra è quella di prepararsi alla guerra esterna contro il nemico designato, che è anche il dispotismo più antico della storia, al quale non c’è niente da insegnare dai tempi de Il Libro del Signore di Shang (IV secolo a.C.) – libro che tutti gli strateghi occidentali dovrebbero affrettarsi a leggere con la massima attenzione. Se si decide di attaccare il dispotismo cinese, bisogna cominciare a dimostrargli di essere migliori di lui sul suo stesso terreno: vale a dire capaci di edificare un dispotismo più efficiente, meno costoso e più efficace. In breve, un dispotismo superiore. Ma questo resta da dimostrare.
Grazie al virus, si è rivelata alla luce del sole la fragilità del nostro mondo. Il gioco attualmente in corso è infinitamente più pericoloso del virus, e farà anche più morti. Eppure i contemporanei sembrano temere solo il virus…

Sembra che l’epoca attuale si sia assegnata il compito di contraddire ciò che diceva Hegel, a proposito della filosofia della storia: «La storia del mondo è il progresso della coscienza della libertà». Ma la libertà esiste solo in quanto essa stessa lotta contro quello che è il suo opposto, aggiungeva. Dove si trova oggi? Quando in Italia e in Francia la gente denuncia chi non obbedisce?
Se è bastato un semplice microbo a far precipitare il nostro mondo nell’obbedienza al più ripugnante dei dispotismi, ciò significa che il nostro mondo era già così pronto a questo dispotismo che un semplice microbo è stato sufficiente.
Gli storici chiameranno il tempo che sta incominciando ora l’epoca del Dispotismo Occidentale.

Note
1. Vedo che nell’intervista, apparsa il 10 aprile, Edward Snowden arriva alle medesime conclusioni:   on the rise of authoritarianism during the COVID-19 pandemic
2. J. Attali, Avancer par peurL’Express, 6.5.2009
3. Gordon Brown calls for global government to tackle coronavirus The Guardian, 26.3.2020

La trasparenza totalitaria

Lo scorso 14 maggio 2015 alla Scuola Superiore di Catania si è svolto un incontro molto interessante con la Prof. Valeria Pinto (Università Federico II di Napoli), dedicato al tema della Valutazione. Pinto ha iniziato col dire che mentre preparava l’intervento -dal titolo programmato La bêtise: valutazione e governo della conoscenza– le è sembrato necessario fare un passo indietro e concentrarsi sul nesso valutazione/trasparenza. Tema cui, dopo il libro del 2012 Valutare e punire, ha dedicato uno dei suoi saggi più recenti e più profondi: Trasparenza. Una tirannia della luce, pubblicato nel volume collettaneo Genealogie del presente. Lessico politico per tempi interessanti (a cura di F. Zappino, L.Coccoli e M. Tabacchini, Mimesis 2014). Ha quindi proposto come titolo più adeguato La moneta della conoscenza. Trasparenza e valutazione nella Entrepreneuerial University.
Ho cercato di riassumere per il Bollettino d’Ateneo dell’Università di Catania le linee fondamentali di un intervento che non ha voluto soffermarsi sugli aspetti semplicemente tecnologici della valutazione ma si è incentrato sulla sua sostanza concettuale e politica. L’articolo è stato pubblicato sul numero del 19.5.2015.

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