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Antropologia napoletana

Teatro Elfo Puccini – Milano
Il sindaco del rione Sanità
di Eduardo De Filippo
Con Eros Pagni, Federico Vanni, Maria Basile Scarpetta, Gennaro Apicella, Massimo Cagnina, Angela Ciaburri, Orlando Cinque, Gino De Luca, Federica Granata, Cecilia Lupoli, Rosario Giglio, Luca Iervolino, Marco Montecatino, Gennaro Piccirillo, Pietro Tammaro
Produzione Teatro Stabile di Genova – Teatro Stabile di Napoli
Regia di Marco Sciaccaluga
Trailer dello spettacolo
Sino al 14 febbraio 2016

sindaco_2Finito lo spettacolo appare una frase dal Riccardo II di Shakespeare: «La morte è poca cosa ma risana la ferita della vita». La stessa affermazione viene pronunciata all’inizio da Don Antonio Barracano: «La morte non tene crianza ma un merito ce l’ha: chiude una ferita mortale, la ferita della vita». Nel testo di Eduardo queste parole non ci sono ma bene ha fatto Sciaccaluga a inserirle, poiché delineano in modo limpido l’antropologia che sta al fondo dell’opera. Un’antropologia disincantata, che non crede alla giustizia delle leggi e delle ‘autorità’ ma cerca anche di evitare le carneficine che ogni vendetta privata e ogni ingiustizia subìta scatenano.
Il guappo Antonio Barracano cerca sempre di sentire «le due campane» di ogni disputa, conflitto, odio, e di indicare o -se necessario- imporre la soluzione più equa. Al medico che collabora con lui da trentacinque anni e che è stanco di ricucire e curare i corpi di disgraziati, di canaglie che non lo meritano, Barracano risponde che costoro sono delle vittime, «sì vittime dell’ignoranza e l’autorità comanda più facilmente sugli ignoranti». Don Antonio tiene sempre aperto sulla scrivania il Codice Penale, ne conosce bene contenuto e articoli ma ritiene -come Solone- che le leggi somiglino alla ragnatele: gli insetti piccoli ne vengono catturati, quelli grossi le sfondano. In questo disinganno amaro e profondo sta, certo, la radice delle camorre e delle mafie ma abita anche l’anelito libertario. Tra ‘l’uomo lupo per l’altro uomo’ e il sogno platonico della giustizia affidata ai saggi, si declina uno dei testi più ricchi e complessi della drammaturgia di Eduardo.
La regia di Sciaccaluga è essenziale e punta tutto sulla densità del testo. Eros Pagni è un Antonio Barracano credibile sino alla commozione. Uno spettacolo molto bello, nel quale la tragedia e il comico si intrecciano e fanno pensare ancora a Platone: «Tutto ciò che è umano non è, in complesso, degno di essere preso molto sul serio; tuttavia bisogna pur occuparsene, per quanto possa essere un compito ingrato» (Leggi 803 b).

Napoli, lingua e musica

Pizzica minore
di Eugenio Bennato & Carlo D’Angiò
voce Teresa De Sio
da Musica Nova (1978)

La festa, il canto, il disincanto.
Tutto questo vibra nella Pizzica minore della Nuova Compagnia di Canto Popolare.
Tutto questo vibra a Napoli, città sempre sottomessa e sempre libera.
Bellissima è la lingua che vi si parla.

Musica nova«E io l’aggio sentuta na musica nova, / e io l’aggio sentuta na musica nova, / a la festa de nisciuno, / senza sotto nè padrune, / a la festa ‘e tutte quante, / senza diavule senza sante.
Sta musica è comm’a na minaccia, / chello che tene a dicere t’o dice ‘nfaccia, / faticammo, menammo ‘e mmane, / ca a magnà ce pensamme dimane / e chi tene ‘a panza chiena / a sta festa nun ce vene.
[…]
E mo fenimmo chesta jacuvella / sente comme te tira la tarantella, / si sta musica ce aiuta / chi cumanna nun pò cchiù pazzià / e mò abballa ‘nsieme a nuje / e sinnò ha fennuto ‘e campà».

[audio:Pizzica_Minore.mp3]

Napoli livida

Perez.
di Edoardo De Angelis
Italia, 2014
Con Luca Zingaretti (Demetrio Perez), Massimiliano Gallo (Buglione), Simona Tabasco (Tea), Marco D’Amore (Corvino), Gianpaolo Fabrizio (Merolla).
Trailer del film

PerezUn avvocato vive e lavora nel Centro Direzionale di Napoli, a due passi dal Palazzo di Giustizia. Non ha ambizioni, non ha desideri, non ha vita. Ha soltanto la figlia Tea, che si innamora di un giovane camorrista, sino a ospitarlo latitante a casa. Un giorno però un criminale d’alto rango sceglie Perez come proprio avvocato allo scopo di proporgli un affare, un grosso affare. Incerto, timido, chiuso in sé, Perez accetta e una nuova adrenalina comincia a scorrere dentro i suoi giorni.
La trasformazione di Demetrio Perez è descritta senza forzature, senza spettacolo. Come se tutto accadesse dentro i pensieri di quest’uomo apparentemente rassegnato. È una sola la materia umana che prende corpo nel camorrista disincantato e determinato, nel giovane violento e impulsivo, nel routinario della giustizia. La materia umana della disperazione che sa di esserlo.
Tutto questo è narrato dentro la luce livida di una Napoli senza folclore, ombraluce anch’essa di Perez.

Espressionismo partenopeo

Teatro Bellini – Napoli
Le voci di dentro

di Eduardo De Filippo
Con: Toni Servillo (Alberto Saporito), Peppe Servillo (Carlo Saporito), Gigio Morra (Pasquale Cimmaruta), Betti Pedrazzi (Rosa Cimmaruta), Chiara Baffi (Maria, la cameriera), Lucia Mandarini (Matilde Cimmaruta), Vincenzo Nemolato (Luigi Cimmaruta), Marianna Robustelli (Elvira Cimmaruta), Marcello Romolo (Michele, il portiere) Rocco Giordano (capa d’Angelo), Antonello Cossia (un brigadiere), Maria Angela Robustelli (Teresa Amitrano), Francesco Paglino (Aniello Amitrano), Daghi Rondanini (Zi’ Nicola)
Regia di Toni Servillo
Coproduzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, Teatri Uniti di Napoli, Teatro di Roma
Sino al 18 gennaio 2015

voci_di_dentroAlberto Saporito non sa che ciò che ha visto con tanta nettezza -l’assassinio del suo amico Aniello da parte della famiglia sua dirimpettaia, i Cimmaruta- lo ha in realtà soltanto sognato. ‘Soltanto’? Quando cerca nella casa dei vicini le prove, le carte, il sangue che ha pensato di avere visto, non trova niente. E lo ammette davanti al brigadiere, lo ammette davanti ai Cimmaruta. Ma questi ultimi non credono alla versione del ‘sogno’ e cominciano a chiedergli di tirar fuori le prove che inchiodano gli altri membri della famiglia.
Tutti contro tutti. Anche il fratello di Alberto non aspetta altro che di vederlo in galera -per calunnia- in modo da appropriarsi della povera e sgangherata azienda di famiglia. Soltanto il vecchio zi’ Nicola sembra stare dalla sua parte ma lui è uno che da tanto ha smesso di parlare perché «se il mondo è sordo, lui ha diritto di essere muto». Il riapparire di Aniello Amitrano, ben vivo, non assolve nessuno. Anzi. Alberto Saporito ha compreso e ha snidato «ciò che vi è di mostruoso nell’ovvio» (Toni Servillo, p. 11 del Programma di sala), lo stare conficcato di ciascuno nel proprio delirio, nei propri sogni, nel proprio dormire, nell’odio profondo che riversiamo sui nostri simili, nel desiderio di saperli colpevoli, di vederli morti.
C’è davvero «una forza oscura nel testo» di Eduardo, una forza che «lo distanzia nettamente dai manichini dechirichiani di Pirandello» (Servillo, pp. 9-10), anche se allo scrittore siciliano deve certamente la rottura di ogni realismo a favore del linguaggio e della mente, della parola che produce il mondo. Questo linguaggio diventa in Eduardo De Filippo la musica dolorosa e potente della parlata di Napoli, si fa segno universale, canto, capacità di esprimere con ironia, con sdegno, con lucidità, l’universale ferocia degli umani. È questo espressionismo partenopeo, questo assurdo napoletano, che Eduardo aveva in mente «come spettacolo completo messo in scena e recitato nei minimi particolari, esattamente come io l’ho voluto, visto e sentito e come, purtroppo, non lo sentirò mai più quando sarà diventato realtà teatrale» (E. De Filippo, Il teatro e il mio lavoro, «Programma di sala», p. 21).
Il rigore e la profondità dell’interpretazione e della regia di Toni Servillo restituiscono alla scena lo spettacolo umano, le sue voci, il sogno.

Ridere della tristezza

Piccolo Teatro Studio – Milano
Jucatùre
(Els Jugadors)
di Pau Mirò
Con: Renato Carpentieri, Enrico Ianniello, Tony Laudadio, Marcello Romolo
Traduzione e regia di  Enrico Ianniello
Produzione Teatri Uniti in collaborazione con OTC, Institut Ramon Llull
Sino al 18 gennaio 2013

Un barbiere che sta perdendo il lavoro e spera soltanto che la moglie non lo lasci. Un becchino innamorato di una prostituta ucraina. Un attore che viene regolarmente scartato ai provini e che ruba nei supermercati. Un docente universitario di matematica che ha picchiato uno studente insolente e che ora è sottoposto a processo. Tutti e quattro si ritrovano a casa del professore per giocare a carte e anche -di tanto in tanto- per recarsi a un casinò nel quale perdono gran parte dei loro denari. Una mattina il professore trova sotto il cuscino la pistola che fu del padre. Propone agli altri di compiere una rapina.

La figura del Padre è al centro di questo testo. Un’ombra, un’autorità, un modello. E una sorda ribellione alla dipendenza da lui. Il Professore, che è ossessionato dalla memoria paterna, dalle punizioni, dai doveri, diventa a sua volta il punto di riferimento per gli altri. I quattro personaggi possiedono ciascuno una connotazione molto forte, ben scolpita, differente dagli altri tre. Ma l’insieme risulta unitario e delinea delle vite del tutto plausibili e comuni, che nella normalità del quotidiano mostrano in modo lampante quanto l’esistenza possa diventare atroce per gli umani. E tuttavia si ride, si ride davvero molto per la vivacità del testo, l’intelligenza delle numerose battute umoristiche, l’efficacia dei tempi comici scelti dal regista. Regista -Enrico Ianniello- che non soltanto interpreta in modo intenso la figura per molti versi più ricca, quella del becchino, ma che trasponendo la vicenda da Barcellona a Napoli e traducendola dal catalano in napoletano, rende Jucatùre estremamente espressivo, carnale come il desiderio e ironico come la morte.
Si può ridere della tristezza. Uno dei miracoli del teatro.

Napoli vive!

Canta appress’a nuie
di Edoardo Bennato
Da È Goal! (Live, 1984)

Uno dei luoghi arcaici, ctoni, tenebrosi e sempre nuovi. Questo è Napoli, città meravigliosa e come nessun’altra in Europa uccisa dal male. La sua parlata è una lingua  capace di andare al cuore stesso della materia, dei corpi e delle passioni. La monnezza che la camorra impone è specchio della camorra stessa, del suo tanfo entropico, e non dell’intero popolo che abita Napoli. Il canto al quale invita Edoardo Bennato è segno della gioia che trascina questo luogo, della vita dolente ed entusiasta di cui è impastato. Auguro a Partenope di diventare ciò che è, di tornare bella.

[audio:Bennato_Live.mp3]

Milano, Napoli, la speranza

Sono felice che una delle mie due città si sia finalmente liberata da vent’anni di tristezza, di incapacità amministrativa, di rapina del territorio, di esclusione, di arroganza. E sono felice anche per Napoli, un luogo che amo molto, capace di sorprendere sempre, come ha fatto in questa occasione eleggendo un magistrato contro chi per ottenere qualche voto prometteva impunità sulle costruzioni abusive. Vorrei far parlare delle amiche, una milanese e l’altra napoletana, che ieri mi hanno inviato due sms: «Sono felice per l’affermazione di Pisapia anche se al primo turno ho scelto il mov. [5 stelle]. A Napoli poi la cosa è incredibile, quasi commovente»; «Sono commossa…da tempo non vedevo nulla, più nulla. Questa napoletana abbraccia il milanese adottivo [proveniente da ] un sud di cui essere orgogliosa».

Due donne che non si conoscono tra di loro hanno utilizzato la medesima parola, «commozione», come quando si esce in modo insperato da una lunga malattia e si rivede qualche frammento di futuro. Queste amiche sono delle cittadine che cercano di pensare e di capire, simili alle tante persone che hanno affollato le piazze di Milano e di Napoli per festeggiare non l’illusione di una vittoria risolutrice dei problemi ma l’inizio delle condizioni minime per poterli affrontare. Ed è questo la speranza: poter cominciare ad agire per fare della decenza e della misura i criteri delle azioni. Non so come amministreranno Pisapia e De Magistris di fronte alle enormi difficoltà di una ricostruzione dalle macerie civili e sociali delle due città. Temo, ad esempio, che Pisapia non avrà la forza e le intenzioni di ridimensionare l’enorme sperpero di danaro e di spazio che è l’Expo milanese, il cui unico risultato è stato sinora la moltiplicazione del cemento.  Sono però certo che governeranno senza volgarità, che tenteranno una politica normale, fatta anche di limiti, errori, compromessi, ma non una politica criminale come quella che invece è ancora al comando della nazione.

 

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