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Un Bacon gentile

Attilio Forgioli. I luoghi del tempo
Museo della Permanente – Milano
A cura di Luca Cavallini
Sino al 10 giugno 2023

Forgioli, Cipressi (2019)

Dense macchie di materiatempo non dicono, non parlano, non esprimono. Semplicemente indicano. Come l’oracolo delfico, come ogni sguardo distante sul mondo.
Tra i segni, alcune volpi dagli occhi verdeazzurro dentro una forma astratta; un uccello grigio che si posa e si riposa dopo un lungo tragitto che lo ha visto volare dall’Africa: «Morire come le allodole assetate / sul miraggio // O come la quaglia / passato il mare / nei primi cespugli / perché di volare / non ha più voglia // Ma non vivere di lamento / come un cardellino accecato»
(Giuseppe Ungaretti, Agonia, da L’Allegria, in «Vita d’un uomo. Tutte le poesie», Mondadori 1977, p. 10).
E poi i colori di Van Gogh e l’uniformità dei cipressi. Su tutto e dentro tutto cromatismi e forme scomposte che intendono trarre disperatamente dagli spazi un’idea, una forma. Trarla anche da due pezzi di Roast Beef, anche dalla morta carne dentro un piatto. L’Autoritratto del 2022 porta a compimento la dissipatio del soggetto, diventato ormai una cosa sola con i colori e con la materia.

Forgioli, Autoritratto (2022)

Attilio Forgioli, vivace novantenne lombardo in questi giorni ospite della Permanente, sembra un Francis Bacon gentile. La stessa potenza della carne e delle figure, la medesima loro dissoluzione, ma senza il gorgoglio dell’orrore, con soltanto l’accettazione matura della fine.

Tempo / Conoscenza

Dürer. L’opera incisa dalla collezione di  Novara
Museo della Permanente – Milano
Sino all‘8 settembre 2013

Le incisioni di Albrecht Dürer vengono da un mondo dove la materia sembra trascendersi non per allontanarsi da sé ma per stare nella propria più piena potenza. Tutta la superficie è densa di segni e i segni rinviano -com’è nella loro natura- ad altro: apocalissi, miti, storie bibliche, tormenti, resurrezioni. Su tutto si stagliano i simboli del tempo e della conoscenza. La clessidra che la morte tiene in mano in Il cavaliere, la morte e il diavolo è ciò verso cui il cavaliere va ma non c’è affanno né disperazione né distrazione. Lo sguardo concentrato e l’andamento senza titubanze fanno di lui la pienezza dell’istante che nella sua forza ha già sconfitto ogni grottesca pretesa di negare il divenire.
I libri e la luce che riempiono San Girolamo nella cella costituiscono una plastica rappresentazione di come la conoscenza possa riempire la vita.
Tempo e conoscenza convergono in Melancholia I. Quella figura, circondata dagli strumenti e dai segni del sapere e tuttavia così intensamente perduta nella contemplazione di un doloroso pensiero, è l’espressione più efficace del limite nel quale il pensatore si sente avvolto, della sua consapevolezza del confine oltre il quale non è possibile spingersi. «C’è falsità nel nostro sapere, e l’oscurità è così saldamente radicata in noi che perfino il nostro cercare a tentoni fallisce»1 , così scrisse Dürer nella lucida e disincantata coscienza che la nostra ignoranza delle cose rimane, per quanto si estenda la nostra conoscenza, inoltrepassabile. Ma è tale consapevolezza il carattere più proprio della filosofia, la fonte della razionalità e della ricerca.

Nota

1. In R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia, Einaudi 1983, p. 341

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