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Mente & cervello 92- Agosto 2012

Siamo ricordi che camminano nello spaziotempo. I ricordi però non descrivono l’accaduto bensì come l’accaduto appare di volta in volta alla nostra mente. La memoria, infatti, è un processo dinamico: «Rievocare un ricordo lo riporta temporaneamente in una condizione di instabilità, in cui la ricerca può essere arricchita, modificata o addirittura cancellata» (A. Piore, p. 86). Ogni volta che ricordiamo un evento esso si modifica un poco nella nostra mente. Questa caratteristica della memoria rende per principio possibile la cancellazione dei ricordi traumatici, eventualità resa in modo assai chiaro e intrigante nel bel film di Michel Gondry Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004). E tuttavia Paul Root Wolpe afferma giustamente che «“La memoria, i ricordi, sono una parte fondamentale della nostra natura. Perciò dobbiamo andare davvero cauti prima di modificarli o cancellarli” […] Wolpe teme, inoltre, che alcune persone spinte da loschi motivi facciano abuso di una medicina che induce altre persone a dimenticare» (Id., 93).
Come sempre, nulla ha un solo aspetto nella vita degli umani. Le possibilità sempre più praticabili di ibridazione tra il corpomente e le strutture artificiali possono migliorare le nostre facoltà di percezione e di attenzione ma possono anche costituire una via per progettare e realizzare dei soldati-macchine, privi di paura, di sensibilità e di memoria, un incrocio tra il biologico e il macchinico sempre pronto allo sterminio [ne parla D. Ovadia in questo numero di Mente & cervello].
La nostra dotazione naturale è vasta ma non è illimitata. Ce ne accorgiamo ogni giorno con i comportamenti multitasking, quelli che ci inducono a fare cose diverse nello stesso momento. In realtà, molte ricerche indicano «che un multitasking troppo frequente porta a prestazioni peggiori» (D.L. Strayer e J.M. Watson, 48) come nel caso, tanto frequente quanto pericoloso, di chi guida e insieme parla al telefono: «in coloro che guidavano parlando al cellulare o inviando sms il rischio d’incidente era spesso superiore addirittura a quello osservato nei guidatori al limite legale del tasso alcolico nel sangue» (Id., 51).
Siamo animali complessi, siamo colonie di animali, come quelli che a miliardi abitano la nostra pancia, i microrganismi che ci aiutano a digerire e ci proteggono da sostanze dannose: «le conoscenze più recenti ci confermano fino a che punto corpo e mente sono collegati. Anche i miliardi di microrganismi che ospitiamo dentro di noi hanno un posto stabile in questo sistema e potrebbero contribuire a risistemare una mente che aveva perso il suo equilibrio» (S. Reinberger, 39).
Marco Cattaneo, direttore di Mente & cervello, sostiene che Feuerbach aveva ragione a «predicare l’inscindibile unità tra psiche e corpo, per cui per pensare meglio dobbiamo alimentarci meglio» (3). Un’unità che fa sì che dei maschi eterosessuali provino piacere se pensano che ad accarezzarli siano delle femmine oppure provino fastidio se ritengono che a toccarli siano altri maschi, anche se le carezze  -senza che loro lo sappiano- provengono sempre da una donna: «I partecipanti potevano vedere chi li toccava solo su uno schermo, e l’immagine condizionava le loro reazioni: quando vedevano una donna giudicavano la carezza piacevole, il contrario se nello schermo appariva un uomo. Eppure, le carezze venivano sempre fatte da una donna. […] Non è vero che ci sono circuiti cerebrali separati per l’elaborazione delle proprietà fisiche del tocco e per la sua interpretazione emotiva- spiega Michael Spezio- la corteccia somatosensoriale è sensibile anche al significato sociale delle carezze» (M. Saporiti, 24).
Nell’unità dinamica e molteplice che siamo ogni evento è legato a tutti gli altri. Antichi avvenimenti ci seguono per anni e determinano le nostre reazioni a fatti e persone del tutto nuovi. Così un «eccessivo senso di colpa», che magari affonda nella nostra infanzia, «e l’autobiasimo avrebbero un ruolo chiave nella depressione» (C. Visco, 23). Ma tutto è molto più complesso di quanto appaia anche agli schemi psicologici e neurologici. Un uomo tra i più famosi al mondo –Mozart– visse l’ultimo suo anno di vita, il 1791, intrecciando «insieme gloria e disonore, vergogna e opere musicali immortali» (V. Andreoli, 17).
Siamo uno -Identità- ma siamo anche tanti -Differenza-, disseminati nello spazio e nel tempo.

Illusione Abbandono Gelosia Tradimento

Teatro Litta – Milano
Don Giovanni a mosca cieca
da Anatol di Arthur Schnitzler
di Corrado Accordino
Con Marco Cacciola, Tamara Balducci, Lara Guidetti, Chiara Petruzzelli, Alessia Vicardi, Greta Zamparini
Coreografie di Lara Guidetti
Regia di Silvia Giulia Mendola
Produzione: LITTA_produzioni e Compagnia PianoInBilico
Sino all’8 luglio 2011

Don Giovanni è tante verità. È il maschio predatore, è la preda del proprio bisogno d’amore, è l’amore. Don Giovanni è superficiale per profondità, si muove tra i sentimenti e i corpi come un bambino tra giocattoli sconosciuti, che vorrebbe tutti possedere senza poterli tutti saggiare. Don Giovanni si butta via e butta via le donne. Egli è la donna che vorrebbe possedere. Il doppio lo intride. Don Giovanni e Leporello sono la stessa maschera, che nel testo di Schnitzler-Accordino dispiega la propria natura ermafrodita. Il servitore e amico Max -questo il suo nome qui- mostra alla fine di essere la quinta donna di Anatol / Don Giovanni, il suo ultimo amore, dopo che ha vissuto, goduto, respinto, tritato le precedenti relazioni.
Ma queste donne ritornano tutte, anzi «rinascono» -come afferma Anatol- dentro la sua vita, nella memoria, nel corpo. Quest’uomo vorrebbe disfarsene, cancellarle. Le incontra una a una «per l’ultima volta» ma saranno loro a dire, in modi diversi, che più non lo vogliono, che lo hanno tradito, che non lo amano. Il seduttore è sedotto, l’abbandonante è abbandonato. L’oblio, il riso, la compassione, il sarcasmo si chiudono su di lui, lenti come un gorgo, inesorabili come il buio. Anatol non sa più chi tocca nel gioco feroce della mosca cieca. Cieco all’inganno, è ingannato. Cieco all’altra, è annullato. Don Giovanni è la solitudine. All’inizio, mentre Anatol gli comunica l’intenzione di andarsene, fuggire, “lasciar le donne”, Max scrive sul muro queste quattro parole: Illusione Abbandono Gelosia Tradimento.
Accompagnato dalle musiche di Mozart, debole in alcune delle interpreti, dinamico nei movimenti, questo spettacolo inquieta perché penetra a fondo nella vaga sostanza del desiderio.

Io, Don Giovanni

di Carlos Saura
Austria / Italia / Spagna, 2009
Con: Lorenzo Balducci (Da Ponte), Lino Guanciale (Mozart), Tobias Moretti (Casanova) Emilia Verginelli (Annetta), Ennio Fantastichini (Salieri), Ketevan Kemolidze (Adriana Ferrarese / Donna Elvira), Francesca Inaudi (Costanza), Sergio Foresti (Leporello), Borja Quiza (Don Giovanni)
Fotografia di Vittorio Storaro
Trailer del film

io,don_giovanni

Nato ebreo, convertito al cattolicesimo per poter studiare; diventato prete ma anche massone, poeta e drammaturgo; amico di Giacomo Casanova e da lui protetto; condannato all’esilio dall’Inquisizione veneziana, Lorenzo Da Ponte incontra a Vienna Salieri e Mozart, con il quale scrive e compone delle opere splendenti. L’argomento dell’ultima gli è suggerito da Casanova e il risultato è una riscrittura radicale di un mito ormai antico: Don Giovanni. All’inizio scettico, Mozart penetra sempre più nelle pieghe del personaggio e nei versi di Da Ponte, sino a generare il dramma giocoso più conturbante dell’intera storia della musica.

Finalmente un film che pone al centro il testo del Don Giovanni mozartiano e il suo autore. Conquistatore egli stesso, Lorenzo Da Ponte è una figura simbolo del Settecento e della lotta di quel secolo per la libertà della creazione intellettuale. Carlos Saura immerge la vicenda del fascinoso abate nella piena teatralità dei luoghi -ricostruiti con palese finzione- e mette in scena un Don Giovanni fatto di tenebra e di luce, che giunge al culmine nell’incontro (anticipato sin dalla prima inquadratura del film) tra il libertino e il Commendatore, una sinestesia nella quale la musica si fa colore -il bianco della statua vivente, il nero delle forze infere, il rosso dei fiumi di lava che avvolgono Don Juan- e lo spazio è diviso in un controcampo che al volume incombente del fantasma oppone la forza vitale dell’uomo dei piaceri. La grandezza di Don Giovanni sta anche nel rompere e invertire lo schema moralistico: «Chi a una è fedele / con le altre è crudele».

Deh, vieni alla finestra

Da Don Giovanni
Wolfgang Amadeus Mozart / Lorenzo Da Ponte
Baritono Ruggero Raimondi
Orchestra e Coro dell’Opera di Parigi
Direttore Lorin Maazel

Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro!
Deh, vieni a consolar il pianto mio:
se neghi a me di dar qualche ristoro,
davanti agli occhi miei morir vogl’io.

Tu ch’hai la bocca dolce più che il miele,
tu che il zucchero porti in mezzo al core,
non esser, gioia mia, con me crudele:
lasciati almen veder, mio bell’amore!

[audio:Mozart_Don_Giovanni.mp3]

 

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