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Cristianesimo e Filosofia

L’insieme degli scritti con i quali filosofi come Celso, Porfirio, Giuliano, Ierocle criticarono e confutarono  la demens superstitio -‘l’irrazionale superstizione’– dei cristiani ci è noto quasi soltanto dalle citazioni, dalle polemiche, dalle refutazioni e manipolazioni dei cristiani stessi, poiché i testi originali furono distrutti e bruciati in modo sistematico dai loro avversari.
È questo il dato al centro della ricostruzione accurata, anche se a volte ripetitiva, che Marco Zambon in «Nessun dio è mai sceso quaggiù». La polemica anticristiana dei filosofi antichi (Carocci, 2019) conduce del tentativo attuato dai filosofi antichi, nell’età che va all’incirca da Marco Aurelio a Giustiniano (II-VI secolo),  di mostrare l’incompatibilità tra il loro mondo e la fede dei cristiani.

Filosofia e fede cristiana sono inconciliabili per tre ragioni fondamentali.
La prima concerne lo statuto della verità, che per la filosofia è una ricerca sempre aperta, svolta a partire dalla convergenza tra ciò che si osserva del mondo – il dato empirico e quello fenomenologico – e la riflessione razionale che viene condotta su di esso. Per i cristiani, invece, la verità è un dato della rivelazione al quale si accede con la fede e che rimane sempre identico, incontestabile, fuori da ogni discussione e argomentazione.
La seconda ragione riguarda lo statuto del divino, che per la filosofia è plurale e molteplice, mentre per il cristianesimo e le altre religioni del Libro è un’identità monoteistica che respinge da sé ogni differenza.
La terza ragione si riferisce allo statuto dell’umano, il quale per la filosofia ha nel mondo una specificità che non diventa mai privilegio ontologico e superiorità assiologica. Privilegio e superiorità che conducono a immaginare un dio che diventa egli stesso uomo e che persino muore tra sofferenze atroci per salvare gli umani da lui stesso condannati. Il «carattere spiccatamente antropomorfo e l’irrazionalità del loro Dio […] indicavano la natura non filosofica della religione dei cristiani» (p. 257), alla quale Celso oppone un atteggiamento ancora una volta plurale e che oggi definiremmo animalista. Il filosofo infatti, 

polemizzava contro l’antropocentrismo dei cristiani, partendo dal principio che ‘le cose tutte non sono state generate per gli uomini più che per gli animali privi di ragione’ (Cels. IV 74). Egli si sforzava, perciò, di mostrare la superiorità naturale degli animali rispetto all’uomo (dal momento che non hanno bisogno di coltivare la terra per nutrirsi, né servono loro strumenti per attaccare gli uomini e divorarli; Cels. IV 76, 78-79) e il fatto che anch’essi avessero una complessa organizzazione sociale, conoscessero  le scienze, praticassero il culto degli dèi (Cels. IV 81. 83-85. 88. 98 (p. 315).

Ai tre elementi fondamentali concernenti la verità, il divino e l’umano, si aggiungeva l’inaccettabile rozzezza concettuale e stilistica del linguaggio biblico, della quale molti tra gli stessi apologeti cristiani erano consapevoli, costituendo anche «per loro un serio ostacolo e un motivo di imbarazzo» (p. 184), che cercavano di superare con una lettura radicalmente allegorica della Bibbia; lettura della quale il maggiore sostenitore fu Origene.

Questi elementi di dottrina si coniugavano con i comportamenti pratici dei cristiani, i quali in generale «negavano ogni dignità agli dèi visibili, gli astri, e però veneravano un cadavere» (p. 99) e lo strumento che era servito al suo supplizio, la croce. In particolare, poi, i monaci, descritti dai cronachisti dell’epoca ricordano l’abbigliamento, le pratiche e la violenza dagli attuali militanti dell’Isis, ai quali li accomuna la certezza di detenere l’unica verità e una fede salvifica. Eunopio, ad esempio, «dopo aver narrato la distruzione del serapeo di Alessandria, compiuta nel 391 sotto il patriarcato di Teofilo, ‘capo dei maledetti’ (V. soph. VI 11, 2), descrive in questi termini l’occupazione del sito da parte di monaci cristiani:

6 In seguito, introdussero in quei luoghi sacri i cosiddetti ‘monaci’; uomini, per quel che riguarda l’aspetto, ma, quanto alla loro vita, maiali, che apertamente tolleravano e compivano innumerevoli cose malvagie e indescrivibili. Eppure questa pareva loro pietà: disprezzare il divino. 7. Allora, infatti, aveva un potere tirannico chiunque indossasse un abito nero ed esercitasse in pubblico una condotta indegna
(Eunopio, V. soph. VI 11, 6-7; p. 100). 

L’atteggiamento violento dei cristiani verso i loro avversari e verso i beni altrui si manifestava anche e appunto nella «violenza con la quale i monaci s’impadronivano delle terre dei contadini, dichiarandole sacre e saccheggiandole» (101).

La violenza appare talmente intrinseca alle fedi monoteistiche da esprimersi nella violenza anche verso se stessi, come risulta chiaro dalla questione delle persecuzioni verso i cristiani, le quali – tranne in pochi e circoscritti intervalli temporali – furono in realtà una invenzione degli apologeti e della storiografia cristiana.
Le leggi romane e i loro giudici furono infatti per lo più riluttanti a punire i cristiani. L’imperatore Traiano ordinò che essi non venissero cercati e non si desse seguito a denunce anonime nei loro confronti. Anche quando arrivavano a processo, le condizioni per andare assolti erano assai miti. Come molti altri, il proconsole Saturnino «chiedeva ai cristiani non di rinunciare alle proprie convinzioni, bensì di giurare ‘per il genio del nostro signore, l’imperatore’ e di offrire  ‘suppliche per la sua salute’ [Act. Mart. Cil. 1-14]; una cosa che gli sembrava del tutto ragionevole, compatibile con una sana e semplice pietà religiosa e con i doveri di un cittadino romano» (72). La risposta dei cristiani era per lo più pervasa di una fede millenaristica che li rendeva certi della imminente fine del mondo e li induceva quindi a cercare essi stessi la condanna a morte. A confermarlo è un testimone del tutto affidabile, uno dei più tenaci difensori del cristianesimo, Tertulliano, il quale scrive che «mentre Arrio Antonino in Asia li perseguitava duramente, tutti i cristiani di quella città, radunatisi insieme, si presentarono al suo tribunale. Egli allora, dopo averne fatti portare alcuni a morte, disse agli altri: ‘Miserabili, se volete morire, avete i burroni oppure impiccatevi!’ (Tert. Ad Scap. V 1)» (p. 97).
In generale, «prima di Costantino, i cristiani non sono vissuti in uno stato di persecuzione generalizzata; anzi, hanno potuto contare per lo più su un’ampia tolleranza di fatto da parte delle autorità» (359). Una volta arrivati al potere, il loro atteggiamento verso quanti continuavano a rimanere fedeli all’antica religione fu invece molto violento: distruzione sistematica dei templi e degli altri luoghi di culto pagani, incendio delle biblioteche che conservavano libri e documenti di culture millenarie, omicidi individuali e stragi collettive (cfr. Catherine Nixey, Nel nome della croce. La distruzione cristiana del mondo classico, Bollati Boringhieri, 2018)

Violenza che divenne atto giuridico repressivo con l’editto emanato nel 380 a Tessalonica da Graziano, Valentiniano e Teodosio: «Ordiniamo che coloro che seguono questa legge siano compresi sotto il nome di cristiani cattolici, mentre tutti gli altri, considerandoli dissennati e folli, ordiniamo che sopportino l’infamia della loro dottrina eretica e le loro conventicole non ricevano il nome di Chiese; essi devono essere puniti anzitutto dalla vendetta divina, poi anche dalla pena comminata dalla nostra iniziativa, ispirata dalla volontà celeste (Cod. Theod. CVI 1,2 = CIC Cod. I, 1,1)» (p. 418). A questo editto si aggiunse la costituzione dell’8 novembre 392 con la quale Teodosio «vietava il culto pagano in qualsiasi forma su tutto il territorio dell’Impero (Cod. Theod. XVI 10, 10-12)» (p. 420). Violenza rivolta non soltanto ai pagani ma a chiunque non seguisse il credo cristiano come era stato stabilito nel 325 al Concilio di Nicea.
Quando Celso scrive che «‘nessun dio, o giudei e cristiani, e nessun figlio di dio è mai sceso, né potrebbe scendere quaggiù’ (Orig. Contra Celsum [Cels.] V 2)» (p. 13), questo significa anche che nessuna fede assoluta nella parola e negli insegnamenti di un uomo – tanto più se quest’uomo si presenta come un dio – può esimere il cammino umano dalla fatica del comprendere e del costruirsi. Diventare umani implica non l’accoglimento acritico «di un intervento proveniente dall’esterno, ma l’attuazione, faticosa e progressiva, della propria vera natura da parte di un’anima a ciò preparata» (296).
È anche per questo che la filosofia riemerge sempre dalle macerie delle certezze fideistiche, perché il bisogno e l’inquietudine della ricerca appartengono alla natura stessa dell’animale umano.

Umanità

 

Tre notizie da Televideo Rai (19-20 marzo 2024), notizie tra le tante, notizie come sempre, notizie da millenni, notizie che mostrano e confermano con la chiarezza della sintesi che cosa l’umano sia, che cosa sia davvero.
L’umano è in gran parte – non del tutto, certo, ma appunto in gran parte – un grumo di profonda, istintiva, pura malvagità. L’umano è un animale non soltanto feroce ma di una ferocia anche sadica, vale a dire che gode, sinceramente gode, dei dolori che infligge e che vede. L’umano è un terrificante sterminatore di ogni altra specie animale; e infatti gli altri animali hanno ben imparato a guardarsi dall’essere umano: appena passiamo vicino a un gatto o a un cane randagio o a un uccello, questi subito si allontanano. L’umano è un’intelligenza posta in gran parte al servizio della guerra, della distruzione e della morte. L’umano, in sintesi, è non soltanto una nullità ontologica nel cosmo ma è anche un errore politico nella storia. L’umano è probabilmente una linea deviata e sbagliata dell’evoluzione animale, è un vicolo cieco.
L’umano è soprattutto la presunzione, l’arroganza e la ὕβρις di ritenersi, nonostante questa sua tenebrosa natura, «l’essere libero nel mondo della necessità, l’eterno taumaturgo, sia che agisca bene, sia che agisca male, la sorprendente eccezione, il super-animale, il quasi-Dio, il senso della creazione, il non pensabile come inesistente, la parola risolutiva dell’enigma cosmico, il grande dominatore della natura e dispregiatore di essa, l’essere che chiama la sua storia storia del mondo!» (Nietzsche, Umano, troppo umano II. Il viandante e la sua ombra, in «Opere», IV/3, af. 12, p. 141).
Le tre religioni del Libro – ebraismo, cristianesimo e islam – costituiscono l’espressione parossistica di tale pretesa. Esse ritengono che l’umano sia l’immagine di Dio e persino che Dio stesso sia diventato un uomo e sia stato torturato e ucciso per lui, un’idea francamente sconcertante. In sintesi, esse ritengono che l’essere umano sia un’espressione del sacro, pretesa che è una bestemmia e un sacrilegio. Ritenere entità sacre quelle che sono capaci di compiere azioni di gratuita, totale e inemendabile ferocia come quelle da cui sono partito e milioni di altre azioni analoghe delle quali la vicenda umana è costellata, ritenere davvero che i miliardi di essere umani transitati nella storia siano tutti figli di Dio e per questo sacri, è un’affermazione la cui tracotanza, narcisismo e stupidità appaiono palesi a ogni sguardo razionale, umilmente razionale, ontologicamente antropodecentrico.
In realtà alcuni, pochi, essere umani sono una luce per sé e per gli altri. La più parte costituisce una struttura ontologica miserabile e perduta. Questa è una delle verità della Gnosi, una tesi antropologica che mostra ogni giorno e ovunque la sua plausibilità.
È anche partendo da qui che uno gnostico contemporaneo ha potuto scrivere che la morale cristiana, e religiosa in genere, così come la morale kantiana sono in realtà un’immensa fatica «per non essere semplicemente, profondamente se stessi, cioè immondi, atroci, assurdi», una fatica volta a nascondere la radicale malvagità degli umani, la loro «sporca anima eroica e fannullona», una fatica volta a non capire «fino a qual punto gli uomini sono carogne», gli uomini, queste «bestie verticali» (Céline, Viaggio al termine della notte, Corbaccio 1995, pp. 459, 21, 33 e 159). Sono fatti, eventi e circostanze come quelli ricordati sopra, il cui numero è incalcolabile, a darne costante conferma.
L’umano è un orrore che l’intera storia della specie attesta e mostra. Due recenti testimonianze (tra le innumerevoli che sarebbe possibile addurre), sono un video di denuncia realizzato dalla LAV – Lega Antivivisezione  che documenta l’inaudita crudeltà di due esseri umani contro un gregge di pecore e una come sempre pacata e implacabile riflessione di David Benatar dal titolo Un argomento misantropico per l’antinatalismo (testo pubblicato sul numero 29 di Vita pensata).
Ripeto: che una religione o un’etica possano definire i membri di una specie siffatta come tutti sacri o perché figli di un Dio o in quanto semplicemente esseri umani, è qualcosa che a uno sguardo disincantato e razionale appare non soltanto privo di ogni fondamento ma anche perverso. 

Sul suicidio

Interrogarsi sulla morte e sull’esperienza della finitudine
il manifesto
7 giugno 2022
pagina 11

La condanna penale del suicidio -con gravi punizioni per il cadavere e per i beni lasciati dal defunto- è stata la regola nei Paesi cristiani sino a tempi recenti; in molti Paesi islamici il suicidio è tuttora un reato penale. Le civiltà pagane hanno tenuto di solito un atteggiamento ben diverso ed efficacemente sintetizzato da Hume quando ricorda che «la facoltà di suicidarsi è considerata da Plinio un vantaggio che gli uomini possiedono addirittura rispetto agli dèi.  Deus non sibi potest mortem consciscere, si velit, quod homini dedit optimum in tantis vitae  poenis, Lib. II, Cap. 7».
È che le culture e filosofie politeiste sono molto più consapevoli della centralità della materia e della potenza della natura. Cosa che crea uno stretto «legame fra materialismo scientifico, libero pensiero antireligioso e diritto al suicidio» (Simon Critchley, Note sul suicidio,  p. 47), come si vede nelle filosofie libertine (ispirate da Spinoza) o in Hume, il cui saggio Del suicidio, ha un fondamento antropodecentrico. Il filosofo scrive infatti che «la vita di un uomo non ha maggiore importanza per l’universo che quella di un’ostrica» (§ 9) per delineare alla fine una prospettiva radicata in ciò che successivamente sarà chiamato termodinamica: «Quando sarò morto, i principi di cui sono composto continueranno a svolgere il loro ruolo nell’universo e saranno ugualmente utili nel suo grandioso tessuto come quando formavano questa singola creatura. La differenza, per il tutto, non sarà più grande di quella tra quando sono in una stanza e quando sono all’aria aperta. Un cambiamento per me è più importante dell’altro; ma non lo è per l’universo» (§ 20).

«Per Dio farei qualsiasi cosa»

Parola di Dio
(мученик [Martire])
di Kirill Serebrennikov
Russia 2016
Con: Pyotr Skvortsov (Veniamin Yuzhin), Viktoriya Isakova (Elena Krasnova), Yuliya Aug (Inga Yuzhina), Svetlana Bragarnik (Lyudmila Stukalina), Aleksandr Gorchilin (Grigoriy Zaytsev)
Trailer del film

Veniamin legge la Bibbia. La impara a memoria. La cita continuamente. A sua madre, per metterla in guardia dall’inferno nel quale precipiterà per il fatto di essere divorziata e adultera. Ai suoi compagni e soprattutto compagne, per maledire la loro lussuria e chiedere che in piscina portino il costume intero (richiesta che la scuola accoglie). Ai professori, in particolare all’insegnante di biologia, per accusarla di pensare che la Bibbia dica bugie. Non è vero che la Terra sia sia formata in milioni di anni; è stato Dio a crearla in sei giorni «e il settimo si riposò». Non è vero che l’evoluzione sia stata altrettanto lenta e comprenda anche la specie umana. No, l’uomo è stata creato direttamente da Dio. Non è morale che si utilizzino gli anticoncezionali poiché Yahweh ha ordinato di crescere e moltiplicarsi. E ha anche maledetto gli omosessuali -a Sodoma e Gomorra– e ha stabilito la pena di morte, condivisa da Gesù: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco.» (Mt. 18,6-9, traduzione CEI). Gesù ha anche aggiunto «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde» (Mt., 12,30). Confidando nella fede che sposta le montagne, Veniamin cerca di allungare la gamba di un suo compagno zoppo. Confidando che Dio è con lui elabora anche progetti di morte per coloro che rifiutano la sua Parola.
Qualcuno (tra chi sta leggendo) riderà di un simile fanatismo, qualcuno lo giudicherà frutto di semplice follia. Eppure la forza del film sta nel fatto che tutte le citazioni di Veniamin sono autentiche, tutti i brani che lo ispirano si trovano nella Bibbia, tanto da apparire sullo schermo con i riferimenti esatti.
Ecco un film da far vedere a quanti sostengono che la Chiesa cattolica – o altre chiese – abbiano tradito la Parola di Dio ed è a essa che bisogna tornare. Significherebbe tornare alle stragi, agli assassini, alla violenza delle quali la Bibbia è intrisa e che Céline ha riassunto nel suo caratteristico stile: «Bibbia il libro più letto del mondo…più porco, più razzista, più sadico che venti secoli di arene, Bisanzio e Petiot mescolati! …di quei razzismi, fricassee, genocidi, macellerie dei vinti che le nostre più peggio granguignolate vengono pallide e rosa sporco in confronto» (Rigodon, Einaudi 2007, p. 14). Veniamin è una efficace testimonianza della verità di queste parole.
L’elemento più inquietante del film non è tuttavia la radicalità della fede del ragazzo bensì l’accoglienza che il mondo degli adulti rivolge alle sue parole. Madre, prete (ortodosso), professori – tranne la biologa – sembrano come soggiogati da tanta autorevolezza e convinzione. È un mondo dove quel minimo di razionalità necessario alla vita è dissolto da centinaia di parole di Dio. Il cui esito è fatale.
Veniamin è un buon prosecutore del santo monaco Scenute d’Atripe (IV-V sec.), il quale afferma che «non esiste crimine per chi ha Cristo», principio ribadito da sant’Agostino e da san Girolamo, il quale nelle Lettera 109, 32  scrive che «non esiste crudeltà per quanto concerne l’onore di Dio». È a quest’onore che il film è dedicato.

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